Società e umanità
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Filippo Lusiani)
Considerare l’intera storia dell’uomo come un processo unitario, fatto di tentativi, errori e importanti conquiste, è l’unico modo per poter usare il passato come punto di riferimento – sia come modello da cui apprendere che come realtà da cui distaccarsi – e per poter rendersi consapevoli delle responsabilità che si hanno nei confronti delle generazioni future.
Da sempre l’uomo pare essere vissuto in comunità. Dalle forme più semplici e grezze, sino all’attuale comunità globale, egli ha cercato di darsi leggi, regole, istituzioni. Oggigiorno è frequente sentir parlare dei problemi della società; si scagliano accuse contro il mondo in cui si vive per la mancanza di lavoro, i disordini sociali legati all’immigrazione, le scelte governative considerate errate. Qualcuno arriva addirittura a sostenere che sarebbe meglio che ognuno pensasse ai fatti suoi, che non vi fosse la politica, che non vi fosse uno Stato.
Ma la società e le sue leggi sono in realtà un fattore fondamentale nello sviluppo delle potenzialità di ciascun individuo e nell’instaurazione delle sue relazioni, sono le condizioni che garantiscono ai cittadini la possibilità di vivere, studiare, lavorare, formare una famiglia e partecipare alla vita pubblica. Nel dialogo intitolato Critone Platone mette in scena la conversazione tra Socrate, condannato a morte dal tribunale ateniese, e il suo amico Critone, il quale è riuscito tramite altri conoscenti a preparare una via di fuga per il filosofo, in modo da farlo evadere e trasferirlo altrove. Socrate si rifiuta di scappare, pur essendo consapevole di essere innocente; sa che la città di Atene e le sue leggi gli hanno permesso una vita felicefino a quel momento, e non vuole tradirle ora che la loro osservanza comporta un sacrificio. Per convincere il suo interlocutore Socrate immagina che le stesse Leggi prendano vita e lo ammoniscano:
Noi t’abbiam dato una vita, cure, un’istruzione. Non c’è Legge che sia una catena o una porta chiusa nel caso in cui uno voglia trasferirsi; ma all’uomo che rimane noi diciamo chiaro che con il suo gesto già si obbliga, concordemente, a eseguire in futuro i nostri comandi. Non obbedire è un’ingiustizia tripla: perché quell’uomo non obbedisce ai genitori (noi lo siamo), non obbedisce ai suoi tutori, e lui, che ha concordato d’obbedire, non lo fa. Nemmeno cerca di persuaderci, se commettiamo qualcosa di poco pulito! Eppure noi offriamo scelta, non imponiamo brutalmente d’eseguire ordini, anzi lasciamo l’alternativa: o convincerci, o obbedire. Ma lui non fa né questo né quello. [..] Era un amore eccezionale ,il tuo, per Atene e per noi altre Leggi, è chiaro. Un paese senza leggi a chi mai può piacere? Se vorrai seguirci, Socrate, non farai la buffonata di evadere da Atene.
Vivere in una determinata comunità, esservi nati e cresciuti, implica una sorta di patto implicito con essa, proprio perché facendone parte se ne devono accettare le regole, per rispetto verso la stessa – e quindi verso gli altri – e per rispetto verso di sé. Non è per niente raro, tuttavia, vedere persone che sfruttano ben volentieri i vantaggi che il vivere comune offre ma non si degnano di contribuire al miglioramento della propria società: non si tratta solamente di pagare le tasse o non infrangere le leggi, ma di avere a cuore le sorti dell’umanità intera, operando certo in un contesto circoscritto – quello del proprio gruppo d’appartenenza – ma considerandosi parte di un’unica grande realtà. Come affermano le Leggi di Atene nel passo sopra citato, ognuno è libero di trasferirsi se ritiene di non poter vivere in accordo con le norme della propria città; ma un comportamento ancor più nobile sarebbe, qualora risultassero non eque e ingiuste, cercare di persuadere con valide argomentazioni i propri concittadini e governanti che vi è la necessità di adoperarsi affinché esse vengano migliorate.
Tuttavia non va mai dimenticato che le comunità umane non possono limitarsi alla ricerca di un buon andamento economico e legislativo: una cospicua ricchezza e un formale rispetto per la legge, se pur importanti, non sono sempre condizioni sufficienti per la felicità degli uomini, e in ogni caso rimangono comunque dei mezzi e non dei fini in sé. Una società dovrebbe innanzitutto fondarsi su un ideale di sviluppo culturale ed etico dei suoi componenti, senza il quale gli altri obiettivi rimarrebbero privi di un senso ultimo. Considerare l’intera storia dell’uomo come un processo unitario, fatto di tentativi, errori e importanti conquiste, è l’unico modo per poter usare il passato come punto di riferimento – sia come modello da cui apprendere che come realtà da cui distaccarsi – e per poter rendersi consapevoli delle responsabilità che si hanno nei confronti delle generazioni future.
Purtroppo al giorno d’oggi è molto diffusa l’opinione che la storia non serva a niente, che l’umanità in sé non abbia un valore superiore ai singoli individui che perseguono i loro interessi privati; non ci si accorge che inevitabilmente ognuno ha la potenzialità di influenzare gli altri, tramite pensieri e azioni, e che le scelte che ciascuno fa non riguardano mai solamente egli stesso, ma hanno ricadute più o meno evidenti su ciò e su chi lo circonda.
J.G. Fichte in Missione del dotto aveva già chiaramente compreso la struttura relazionale della realtà umana, e soprattutto riteneva che solo la consapevolezza di esser parte dell’intera umanità potesse dare a ogni singola persona un senso di compiutezza:
Chiunque tu sia sei un membro di questa comunità immensa. Per incalcolabili che siano gli anelli della catena che diffondono l’incidenza, io in ogni caso opero pure su dite, e tu operi su di me. Io non ti conosco, e tu non mi conosci. Però, come è sicuro che abbiamo la comune missione di esser buoni e di divenire sempre migliori, analogamente, con uguale sicurezza arriverà il giorno in cui accompagnerò pure te nel mio ambito d’incidenza, nel quale pure a te farò del bene e potrò ottenere da te benefici, ambito in cui il mio cuore sarà connesso pure al tuo dallo splendido nesso del vicendevole e libero dare e ottenere.
L’eternità presente in un individuo non sta nella sua singola esistenza, ma nelle eterne conseguenze che le sue azioni avranno e nel fatto che egli è un momento di un unico ed eterno processo. Prospettiva forte, coinvolgente e soprattutto vera, che innalza grandemente la dignità umana, e che d’altra parte richiama severamente ognuno al compito di adoperarsi per il miglioramento della propria società.
Io sono un necessario anello della grandiosa catena che, a partire dal primo uomo, si articola eternamente in direzione della piena coscienza dell’esistenza di questo soggetto.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/societa-umanita-filosofia/
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