Invito alla militanza
di JACOPO D’ALESSIO (FSI Siena)
Per dare torto a questi versi non ci vuole nulla di meno d’una trasformazione, intorno a noi, della vita sociale che per un certo tempo li renda incomprensibili e muti”.
Franco Fortini
Nel periodo precedente lo scorso 4 dicembre, il Fronte Sovranista Italiano si era impegnato nella campagna referendaria a favore per il No in difesa della Costituzione, coinvolgendo i suoi militanti in frequenti volantinaggi sul territorio.
In concomitanza con questo evento mi accorsi per la prima volta che le azioni compiute dal gruppo toscano si stavano svolgendo anche in altre zone d’Italia. Era un susseguirsi di manifesti appesi per le vie di numerose città, accompagnati da racconti che parlavano di quegli epsodi. Da qui nacquero nuove amicizie e frequentazioni insieme a persone con le quali poter spartire un orizzonte di valori comuni.
Fu un momento particolarmente intenso e sentito da tutti. Mi colpì il fatto che il mio io qualunque si potesse ora rispecchiare contemporaneamente in quello di molti, intenti nel realizzare il medesimo scopo, sia pure in luoghi e tempi diversi. Il coinvolgimento fu tale che si aprì per me un rapporto con l’esperienza, qualora accettiamo di considerare quest’ultima come il passaggio attraverso il quale possa avvenire una ricongiunzione della propria interiorità con il piano esterno.
All’uomo moderno la sintonia con il mondo (le correspondences) viene concessa solo per attimi, e tradizionalmente è stato il genere poetico ad incaricarsi di registrare questa presa di coscienza. Quando ci si imbatte in fenomeni inattesi si usa discorrere di epifanie. Il compito dell’epifania è da sempre consistito nell’interrompere la ripetitività dei gesti quotidiani affinché il soggetto potesse estraniarsi dai costumi banali che lo circondavano nell’intento di scoprire la verità [i].
Ma cosa accadrebbe se, per qualche ragione, l’ordine oggettivo delle cose ad un certo punto si fosse ridotto a un cumulo di rovine?
Che aspetto qui girandomi per casa,
che s’alzi un qualche vento
di novità a muovermi la penna
e m’apra a una speranza?Nasce invece una penna senza pianto
né oggetto che una luce
per sé di verità da sé presume
– e appena è un bianco giorno e mite di fine inverno.Che spero io più smarrito tra le cose.
Troppe ceneri sparge a sé la noia,
la gioia quando c’è basta a sé sola.
È quello che leggiamo ad esempio ne Le ceneri di Vittorio Sereni [ii], nelle quali, in modo figurato, la ‘casa‘ dell’io si è ormai frantumata in una polvere priva di senso. Il vuoto di questa condizione è scandito a partire dalla struttura circolare del componimento, dove il ‘che aspetto‘ della prima strofa si ripete con il ‘che spero‘ della terza, quando la conclude. Anche alcune parole come ‘per sé di verità‘ / ‘per sé presume‘ / ‘a sé la noia‘/ ‘a sé sola’ vengono replicate esprimendo, di nuovo, l’impressione di un sempre uguale.
Il soggetto lirico stesso si è tramutato in detrito e corrisponde a quello di un personaggio anonimo, colto in una posa di attesa. Il termine ‘aspetto‘, infatti, potrebbe essere deliberatamente ambiguo, stando ad indicare tanto la persona fisica, quanto il verbo ‘aspettare‘. Potremmo paragonare tale circostanza a quella immaginata da Samuel Beckett in Waiting for Godot (Aspettando Godot).
Sopraggiunge però (‘invece‘) un cambiamento improvviso, così che l’impasse si risolve per mezzo di una consapevolezza:
Nasce invece una penna senza pianto
né oggetto, che una luce per sé di verità presume.
Il gesto critico si coagula nella scrittura (‘nasce invece una penna‘), la quale è illuminante (‘che una luce per sé‘), autentica (‘di verità presume‘), e realistica (‘senza pianto‘), nella misura in cui ha decifrato un principio di realtà soverchiante. Nonostante la sua lucidità, il poeta appare tuttavia sprovvisto (‘né’) di un ‘oggetto‘ che possa indicargli anche la risposta.
Quindi, l’epifania mostra ancora, certamente, la possibilità di accedere ad un signifcato che fino a quel momento sembrava seppellito da concrezioni sociali indissolubili. Ma, al contrario della tradizione, rimaniamo in possesso solo del residuo di un piano esistenziale sconosciuto. Il segnale è raro e breve, un privilegio fortuito, per cui nel momento successivo svanisce come si trattasse di una scena identica alle altre:
e appena è un bianco giorno e mite di fine inverno.
Inoltre, non fornisce la chiave ideologica che dovrebbe servire a superare la propria solitudine [iii]:
Che spero io più smarrito tra le cose / la gioia quando c’è basta a sé sola.
Dunque, Sereni ci ha lasciato testimonianza del risveglio. E il presente scritto si rivolge infatti a chiunque sia divenuto scettico (‘io più smarrito‘) sebbene ciò non sia ancora sufficiente. Perché, come giustamente ha suggerito Franco Fortini, soltanto ‘una trasformazione‘ della realtà, che abbiamo dovuto contrastare e cambiare, sarà capace infine di rendere ‘muti‘ questi versi consolatori:
la gioia quando c’è basta a sé sola‘ [iv].
Sorge allora l’identificazione inevitabile tra l’io del componimento e i membri del gruppo politico, dissolti entrambi nella stessa prosa quotidiana, sebbene in quest’ultimi l’ ‘oggetto‘ perduto sia diventato, per scelta, la militanza: ovvero, la pretesa di costruire dei rapporti umani sulla base della cooperazione reciproca e dell’auto-educazione nell’ambito di una comunità. Mentre da una parte, infatti, il soggetto rinuncia al proprio ego, accettando il patto sociale che si è dato insieme agli altri, allo stesso tempo acquista la sostanza di un organismo che interrompe ‘la noia‘ (o spleen), quale ripetizione tautologica della vita.
Troppe ceneri sparge a sé la noia.
Questo accade perché l’organizzazione non demanda le proprie azioni ad un futuro remoto, apparentemente irraggiungibile, quanto piuttosto al momento in cui la si realizza. In altri termini, se l’applicazione della Costituzione del ’48, insieme alla riconquista della sovranità popolare, costituiscono l’obiettivo ideale del progetto, la militanza è la forma concreta in grado di porre in essere il suo contenuto nel presente.
Come è successo all’io del poeta, lo scorso 4 dicembre, molti di noi sono rimasti in attesa che si aprisse un varco dopo il referendum costituzionale, anche se, di lì a breve, l’abbiamo visto nuovamente dileguare nell’effimero dell’identico. Eppure, nella rete concatenata, e spesso fuori controllo, di intrecci causali che accompagnano la nostra condizione di monadi isolate, vengono alla luce anche dei segnali imprevisti e significativi come quello di un invito.
Ma spetta infine solo a te assumerti la responsabilità di accoglierlo per reagire ad uno stato di rassegnazione che, prima di essere politico, è esistenziale.
NOTE
[i] Walter Benjamin ci spiega che le corrispondences descrivono il legame tra io e mondo, e come queste fossero state il tratto peculiare della lirica pre-moderna. Non possono esistere dubbi sull’essere in Petrarca oppure in Foscolo. Viceversa, da Baudaleire in poi, vengono meno le verità così come la percezione di far parte del tutto per lasciare posto alla riflessione sull’estraniamento. Perciò Baudaleire si domanda: come si può continuare a comporre poesia in una società che rifiuta la verità comunicata dall’artista? La sua risposta consisterà nel raccontare l’esperienza vuota della distonia, dove le epifanie si limiteranno a testimoniare il riconscimento della propria condizione reietta in una realtà rimasta orfana di significato, in Walter Benjamin, Passaggi per Parigi, Angelus Novus, Einaudi, Torino, 2000.
[ii] Il componimento fa parte della prima sezione Uno sguardo di rimando, contenuto in Vittorio Sereni, Gli strumenti umani, Einaudi, Torino, 1965, pg. 20.
[iii] Sull’idea generale della poesia di V. Sereni puoi vedere Guido Mazzoni, Forma e solitudine. Un’idea della poesia contemporanea, Marcos Y Marcos, Milano, 2002; Pier Vincenzo Mengaldo, Iterazione e specularità, in Vittorio Sereni, Gli strumenti umani, Einaudi, Torino, 1965; e Franco Fortini, Il libro di Sereni, in Quaderni Piacentini, v. n. 26, Piacenza, marzo 1966.
[iv] Franco Fortini, Ibidem, pg. 63-64.
Una risposta
[…] All’uomo moderno la sintonia con il mondo (le correspondences) viene concessa solo per attimi, e tradizionalmente è stato il genere poetico ad incaricarsi di registrare questa presa di coscienza. Quando ci si imbatte in fenomeni inattesi si usa discorrere di epifanie. Il compito dell’epifania è da sempre consistito nell’interrompere la ripetitività dei gesti quotidiani affinché il soggetto potesse estraniarsi dai costumi banali che lo circondavano nell’intento di scoprire la verità [i]. […]