Racconti sovranisti: “Quel 12 maggio 2012”
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Mentre i miei interlocutori si scambiavano con disinvoltura il mozzicone di quella che avevo intuito essere una canna – ne ebbi la conferma non appena il denso fumo che espiravano ostinatamente nella mia direzione mi pervase le narici – i miei pensieri divagavano solcando itinerari immaginari tra gli alveoli dei loro generosi denti rivestiti di una patina gialla tendente all’ocra. Colsi solo l’essenziale di quella conversazione, tanto ero pieno di emozioni e ricolmo di aspettative in quella umida giornata primaverile milanese. Erano fratello e sorella, avevo trovato il loro appartamento su uno di quei siti che censiscono B&B. Dal viso incartapecorito li immaginai cinquantenni rovinati da una vita di eccessi, e dunque con la pelle raggrinzita di chi è più vicino agli ottanta. Nei lineamenti ricordavano Plinio Fernando, l’attore che interpretava Mariangela Fantozzi nei film di Villaggio. La loro somiglianza mi suggerì che doveva trattarsi di una coppia di gemelli eterozigoti e anche quel singolare modo di darsi il cambio durante la conversazione, in una staffetta coordinata scandita a ritmi precisi, gli stessi con cui si passavano lo spinello tra le dita ossute e affusolate che facevano pendant con i denti, di una tonalità di giallo appena più chiara, mi diede l’idea di una coppia molto affiatata, quasi simbiotica.
Quando quella stessa sera vidi Domenico, davanti a una birra gelata, sentii il bisogno di raccontargli dettagliatamente l’incontro di quella mattina, sorvolando sulle attività e le conoscenze che avevano animato la mia giornata. “Giancu sei finito a casa di due toffa!”, mi disse, riesumando un vocabolo che avevamo appreso a Pavia dal Frà dieci anni prima, quando ci spiegò che Max Pezzali aveva la nominata del tossico e frequentava il Transylvania. “Chi altro potrebbe accogliere uno sconosciuto con un cannone in bocca?”. Il fatto che non mi avessero chiesto neanche i documenti per l’accredito né il pagamento anticipato della notte mi fece propendere per la tesi del Dome. In effetti quella scena mi è rimasta stampata nella memoria e, ad oggi, la rielaboro con la fotografia di un film d’autore.
Quella mattina, scambiati i convenevoli e presi accordi sul resto, abbandonai i miei bagagli nella camera che mi avevano assegnato e mi diressi verso il luogo di incontro. Via Paolo Sarpi è quella strada in cui tutti i milanesi hanno gli occhi a mandorla e le insegne colorate riportano le informazioni utili in ideogrammi cinesi. Nonostante ciò giunsi a destinazione senza grandi complicazioni. Google maps fu la mia stella cometa e la fila fuori dal locale mi rassicurò circa la precisione dell’itinerario suggerito dallo smartphone.
Messo il naso nell’area in cui si sarebbe svolto il convegno mi prodigo nel cercare con gli occhi frenetici che si arrampicano sulle pareti di legno il sosia di Paolo Di Canio che conoscevo solo via social. Lo trovo e mi presento. La cronaca di quei due giorni di seminario sulla moneta e l’Unione Europea non conferirebbe un grammo di aggiuntività al racconto, infatti non alberga nulla nei miei ricordi. Al termine dell’iniziativa acquistai due libercoli, uno rosso e uno nero, che giacciono ancora nella mia libreria senza aver mai goduto delle mie carezze e dei miei sguardi. Quel 12 maggio di cinque anni fa però mi è cambiata la vita.
Pochi giorni dopo Lorenzo avrei conosciuto Andrea. Organizzammo un pranzo infrasettimanale da me, bucatini al sugo di pomodoro. Se non ricordo male indossavo la stessa camicia celeste Delsiena che avevo messo a Milano. Andrea si presentò con quei muffin americani ai mirtilli con la panna – o forse meringa – e la moneta di cioccolata piantata sopra di cui ancora parliamo oggi. Intorno a quel tavolo io, Andrea, Lorenzo e Giovanni. Ci soprannominammo ironicamente i “Pescara Boys”. Quell’incontro segnò l’inizio di un percorso che vale una vita. Una strada che ci avrebbe portato da Milano a Rimini e da lì a Roma, pochi mesi dopo, al cospetto di un nostro conterraneo che ci avrebbe aperto la mente iniziandoci al sovranismo. Capii che era solo l’inizio e oggi, voltando lo sguardo al passato, capisco quanto siamo maturati e quanto ancora cresceremo restando uniti.
Devo tutto a loro. A Lorenzo, ad Andrea, a Stefano, e tutti coloro i quali, in questi anni, mi hanno insegnato a ragionare e ad osare. E a quanti di loro continuano a farlo, a darmi ogni giorno lezioni di vita, dalla teoria alla prassi. Questa è la mia versione. L’incipit della storia dei patrioti italiani del XXI secolo raccontata dalla mia prospettiva. Forse siamo solo all’inizio degli anni ‘20 dell’Ottocento, come ha detto Andrea, forse siamo un’avanguardia che lavora per qualcosa che non vedrà mai realizzarsi con i suoi occhi. Forse. Ma non per questo cederemo, non ci fermeremo mai, non ci fermerà nessuno.
“Ho smesso di lamentarmi da tempo di tutto. Ho cominciato a sperare. Poi ho smesso di sperare quando ho maturato la convinzione che la realtà si possa cambiare. Ho incontrato delle persone come me ed ho capito che non ero pazzo. Ho studiato con loro, abbiamo viaggiato insieme su e giù per l’Italia, ci siamo raccontati le nostre preoccupazioni e fatti forza l’un l’altro. Ora è giunto il momento di trascinare con noi quante più persone vogliano partecipare alla liberazione di questo paese dalla schiavitù imposta dai mercati e dagli eurocrati. Se non lo faremo, l’alternativa futura sarà soffrire e morire, senza neppure avere il diritto di farlo dignitosamente, in un letto di ospedale, protetti e sedati. Forse noi non godremo dei frutti del nostro impegno, ma è una promessa cha facciamo ai nostri figli.”
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