Giacomo Leopardi, un uomo grande ed eroico
di GIORGIO COLLI
Verso Leopardi la fama dei posteri è stata, non già avara di riconoscimento, ma piuttosto, come egli aveva preveduto, ingiusta e miope. La sua pretesa di essere a un tempo filosofo e poeta fu giudicata eccessiva, e poiché canonizzare un grande filosofo, anche se morto, è assai più impegnativo e complicato per i posteri, che non un grande poeta, ci si attenne al secondo partito. Del resto, Leopardi non aveva accettato le regole e i termini della filosofia moderna, non aveva seguito nessuna scuola ufficialmente riconosciuta, insomma non aveva le carte in regola per essere filosofo.
Ma se il pensiero della gloria fu la speranza più assidua, nelle lunghe notti della sua gioventù affaticata, è giusto non defraudarlo nella morte di ciò che nella morte gli spetta, sottilizzando sull’ambito della sua eccellenza. Perché egli è stato anzitutto un uomo grande ed eroico, e talmente fitto con la mente nelle lontananze del passato e dell’avvenire, che il tormento inappagato, l’ansia compressa del suo esistere chiedono a noi una riparazione. I suoi Mani non sono stati ancora placati con un adeguato culto della grandezza.
Un tempo il filosofo cercava la verità; ma oggi si dice che la verità non esiste, e che il filosofo deve rivolgersi ad altre prede. Ma se qualcuno, e ciò per l’appunto fece Leopardi, oltre che cercarla, la trova, questa verità – anche se non tutta la verità – dovremo negargli il titolo di filosofo, e tapparci gli orecchi, solo perché ci hanno detto che non esistono più verità universali da indagare? Il fatto è che le verità di Leopardi non sono amabili, mentre al filosofo si richiede oggi che dia una dignità, o almeno giustifichi tutto ciò che esiste concretamente, nel passato e soprattutto nel presente. Per chiudere la strada a Leopardi, infine, rimane l’abusata malignità, secondo cui il suo pessimismo sarebbe il riflesso patologico di una malconformazione del corpo; è il vecchio artificio sofistico, che scaglia l’argomento ad personam per superare l’imbarazzo sostanziale.
La concezione leopardiana, al contrario, quale si esprime compiutamente in queste Operette morali, è vera filosofia, se tale nome almeno si può usare per una visione totale del mondo, esauriente nei dettagli e unitaria nell’estensione. E se qualche appunto si può muovere alle Operette, sarà rivolto piuttosto all’esecuzione artistica, la quale non sempre regge all’altissimo livello impostole, che non al rigore e all’ampiezza del pensiero. Le Operette sono dei miti filosofici, nel senso greco: l’altezza di questa espressione umana è misurata dalla sua rarità.
Le verità di Leopardi, d’altro canto, come sono incomode, così sono anche incontestabili. Perché la vita e la natura sono appunto quelle che egli descrive, e nessuno, che possa davvero venir messo alle strette, saprà negarlo. Se è così, a lui è toccato un destino che forse non immaginava, di essere cioè uno dei pochi che costringono gli uomini – nei fondamenti morali della loro esistenza – a scegliere tra la viltà e il coraggio. Chi ha letto le sue opere, con un’indole non del tutto diseredata, e scrollando le spalle ha proseguito il suo cammino, porta dentro di sé la molestia di una viltà morale, che non è di poco conto. Ogni animo bennato, di fronte a queste rivelazioni, è forzato a meditazioni lunghe e decisive, da cui non può emergere se non con la volontà testarda di scoprire altre verità, oltre a quelle leopardiane.
Leopardi ha potuto far questo, perché era un uomo d’azione, come è ogni filosofo autentico. Egli aveva trovato la verità, ma poteva nasconderla, o manifestarla copertamente, come altri fecero. Dire la verità fu la sua azione, e come il dire la verità ha sempre qualcosa di eroico, anche nelle circostanze minime della vita, così massimamente eroica fu la sua azione, appuntata al destino stesso dell’uomo. Mentre precluse a sé l’amabilità, con la sua parola sprezzante e cristallina, agli altri offrì l’occasione di conoscere la vita, gettandoli nel bagno gelato di una ragione sana, perché si scuotessero dal torpore dei narcotici moderni.
I giovani amano già Leopardi poeta: dovranno ora onorarlo come filosofo.
[Prefazione a G. Leopardi, Operette morali, Boringhieri 1959]
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