L’Europa tedesca sempre più irriformabile. Il non paper di Schäuble e le nuove iniziative della Commissione
di MICROMEGA (Alessandro Somma)
Cambio di vertice all’Eurogruppo
Buone notizie dall’organo che raccoglie i Ministri delle finanze dei Paesi dell’Eurozona, e che in pratica decide le loro politiche economiche. Tra un mese circa lascerà l’attuale presidente, quel Jeroen Dijsselbloem che ricorderemo per le sue uscite particolarmente odiose, come l’affermazione per cui “il Sud spende soldi per alcool e donne”. Il politico olandese sempre prono ai diktat tedeschi, tanto da meritarsi l’appellativo di delivery boy: il “ragazzo delle consegne” al servizio dei custodi dell’ortodossia neoliberale utilizzata come strumento per asservire Bruxelles agli interessi di Berlino.
Dijsselbloem sarà sostituito da Mario Centeno, Ministro delle finanze portoghese, tra i principali artefici della politica adottata dal Primo ministro Antonio Costa: leader di un esecutivo socialista sostenuto da comunisti e verdi che ha adottato politiche di sostegno alla crescita attraverso aumenti salariali e pensionistici, riduzione dell’orario di lavoro e investimenti pubblici, in particolare nella sanità. Il tutto nonostante l’Unione europea abbia tentato di tutto per impedire la nascita di un esecutivo che con le sue ricette ha risollevato il Paese e sconfessato così le politiche rigoriste imposte dalla Troika.
Ciò nonostante non vi sono margini per gioire della nomina di Centeno, che non avrà alcun margine per scalfire l’architettura europea sempre più saldamente vincolata agli assetti decisi a Maastricht: quelli per cui i Paesi membri devono perseguire il pareggio di bilancio abbattendo la spesa pubblica e con essa lo Stato sociale, e nel contempo limitare i salari e la pressione fiscale sulle imprese per attirare investimenti. Il tutto nonostante le politiche di bilancio siano di competenza esclusiva egli Stati, i quali devono però informarle alla politica monetaria confezionata a Bruxelles, che punta tutto sul controllo dell’inflazione e impedisce così ai parlamenti nazionali di promuovere politiche di piena occupazione, o in alternativa fornisce loro l’alibi per non farlo.
Che questo schema sia immodificabile, lo si ricava da tutte le iniziative intraprese dopo che l’Europa ha assunto la competenza esclusiva a definire la politica monetaria. Ci soffermeremo qui sulle ultimissime uscite della Commissione europea, relative all’istituzione del Fondo monetario e del Ministro dell’economia e delle finanze europeo, ad alcuni aspetti del bilancio dell’Unione, così come alla sorte del Fiscal compact. Le analizzeremo sommariamente alla luce delle indicazioni fornite dai tedeschi, che lasciano ad Emmanuel Macron il compito di pontificare sulle meraviglie di un’Europa sempre più unita, riservandosi quello di ridurla a un’Unione economica e monetaria a cui affidare il presidio della normalità capitalistica. Il francese, tanto, non potrà che allinearsi: il suo Paese è fuori dai parametri di Maastricht e viene risparmiato dalla furia austeritaria tedesca solo perché utile a tenere in piedi la favoletta dall’asse franco tedesco come motore della costruzione europea.
Il non-paper di Schäuble
Tutto questo avviene mentre il Ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, dopo aver assicurato per otto anni l’allineamento dell’Europa all’ortodossia neoliberale e agli interessi tedeschi, lascia Bruxelles per assumere il ruolo di Presidente del Parlamento di Berlino. In occasione dell’ultima riunione dell’Eurogruppo a cui ha partecipato, ha però distribuito un documento informale definito con terminologia grillina “non paper”[1]: una sorta di testamento in cui viene riassunta la sua idea di Europa, da utilizzare come punto di riferimento per verificare la persistente e inquietante influenza dell’ottuso teutonico e dei suoi mandanti.
Il documento promuove per un verso la spoliticizzazione dell’Europa di Maastricht, ovvero uno sviluppo dell’Unione economica e monetaria definitivamente affidata all’azione di tecnocrazie. Per un altro mira a impedire la nascita di qualsiasi embrione di solidarietà tra Paesi europei, ovvero a fare in modo che non vi siano forme di assistenza finanziaria non subordinate all’adozione di riforme strutturali di matrice neoliberale. Con ciò consolidando lo schema per cui l’Europa rappresenta non solo un presidio della normalità capitalistica, ma anche un attacco alle prerogative dei parlamenti nazionali esautorati da un perverso mercato delle riforme[2].
Il punto di partenza per le riflessioni di Schäuble è l’identificazione dell’organo a cui affidare il presidio di questo schema. Secondo alcuni, tra cui Macron, si dovrebbe a tal fine istituire la figura del Ministro europeo delle finanze, ma non è questa la soluzione che piace al tedesco: formalmente perché occorrerebbe modificare i Trattati e quindi ottenere l’improbabile accordo di tutti i Paesi membri, di fatto perché si tratterebbe di una figura politica, le cui scelte rischierebbero di essere sottratte agli automatismi tipici dei poteri tecnocratici.
Di qui il favore per un accordo intergovernativo destinato ad ampliare le prerogative del Meccanismo europeo di stabilità, il cosiddetto Fondo salva-Stati, attualmente incaricato di fornire assistenza finanziaria agli Stati in difficoltà e di monitorare l’adozione delle riforme a cui l’assistenza viene condizionata. Schäuble vorrebbe affidargli anche il compito di monitorare le finanze degli Stati membri e di intervenire in funzione preventiva, cioè di imporre il coordinamento delle politiche di bilancio nazionali, così come il rispetto dei limiti al deficit e al debito pubblico. Il tutto rientra ora nelle competenze della Commissione europea, che è tuttavia un organo politico: potrebbe rivelarsi troppo morbido con i Paesi spendaccioni, o comunque incapace di assumere decisioni “neutre” e indiscutibili come quelle auspicate da Schäuble.
Una volta integrati nel modo indicato i compiti del Meccanismo europeo di stabilità, trasformato così in un severo guardiano dei conti e del rispetto del pareggio di bilancio, si potrebbe superare il suo carattere intergovernativo e ricondurre la sua disciplina ai Trattati europei. Schäuble vuole insomma giungere all’istituzione del Fondo monetario europeo, da rendere il principale architetto della costruzione europea, sempre più plasmata dal principio per cui “si concede solidarietà in cambio di finanze pubbliche sane”.
Nessuno spazio dunque per il trasferimento di risorse dai Paesi ricchi a quelli poveri, come si addice a una costruzione cui si sono destinate porzioni di sovranità nazionale. Nessuno spazio, cioè, a strumenti di stabilizzazione macroeconomica come un’assicurazione europea contro la disoccupazione, ritenuta “non necessaria” anche perché la disoccupazione si può affrontare con “una migliore migrazione interna”, o a investimenti pubblici in funzione anticiclica, ritenuti irrilevanti perché comunque non giungono mai “in tempo”. Per non dire di una qualsiasi forma di socializzazione dei debiti, come quella contemplata dall’emissione di Eurobond, da rigettare in quanto “creerebbe incentivi errati”. Residua solo la possibilità di coordinare i contributi al bilancio europeo con la disponibilità a realizzare le riforme, e lo stesso vale per la destinazione dei fondi strutturali europei, anch’essi assorbiti nel perverso mercato delle riforme: per essere degni di riceverli, occorre mostrarsi concretamente fedeli al verbo neoliberale.
Insomma, per Schäuble gli Stati sono lasciati soli a soffrire per la loro resistenza all’ortodossia neoliberale, potendo ricevere assistenza solo se realizzano le riforme strutturali contemplate dal pensiero unico. Gli unici spazi lasciati alla flessibilità sono quelli riservati a chi decide finalmente di intervenire, oltre che sul deficit, anche sul debito, con ciò rendendo impensabile qualsiasi politica alternativa a quella incentrata sull’austerità.
Il Fondo monetario e il Ministro delle finanze europeo
Per misurare la vicinanza tra i piani di Schäuble e lo sviluppo della costruzione europea possiamo fare riferimento a un cospicuo pacchetto di misure appena varate dalla Commissione europea, tutte relative al proposito di “completare l’Unione economica e monetaria”[3].
Il pacchetto contiene innanzi tutto una proposta di direttiva relativa all’istituzione del Fondo monetario europeo in sostituzione del Meccanismo europeo di stabilità[4]. Il Fondo conserva la funzione di gestire l’assistenza finanziaria agli Stati in difficoltà, a cui si possono concedere prestiti solo nella misura in cui sono indispensabili a salvaguardare la stabilità dell’Eurozona, e solo se sottoposti a una rigorosa condizionalità: di norma misure volte a ridurre la spesa sociale, promuovere le privatizzazioni e liberalizzazioni dei mercati, quindi a precarizzare il lavoro e indebolire il sindacato. Diversa è la natura dell’organo, non più collocato al di fuori del diritto dell’Unione europea: ora ne farebbe parte, sebbene non a livello apicale, ovvero di Trattati.
Per il resto si accolgono solo parzialmente le indicazioni di Schäuble, dal momento che si prevede un maggiore coordinamento con l’attività della Commissione, non tuttavia il complessivo trasferimento delle sue competenze in quanto presidio del coordinamento delle politiche economiche nazionali. L’ex Ministro delle finanze sarà però contento di sapere che il Fondo monetario internazionale conserva il suo ruolo nell’assistenza finanziaria agli Stati europei, che dunque la Troika non si estingue, come pure viene sostenuto da chi saluta con favore la nascita del nuovo organo. Schäuble si rallegrerà poi per il fatto che il coinvolgimento dei parlamenti europeo e nazionali, di cui tanto si dice a sproposito, è una misura di mera facciata, incapace di scalfire una cornice complessivamente votata ad assicurare la spoliticizzazione della politica economica europea. E apprezzerà la tensione tecnocratica che caratterizza le proposte della Commissione in materia di Fiscal compact, ampiamente capaci di bilanciare il dispiacere per quanto manca nella disciplina del Fondo monetario europeo: lo vedremo più avanti.
Sembra irrispettoso dei desiderata di Schäuble anche il contenuto del secondo provvedimento compreso nel pacchetto di misure appena varate dalla Commissione: quello relativo alla previsione di un Ministro europeo dell’economia e delle finanze[5]. A quest’ultimo, che in prospettiva dovrebbe riunire in sé anche i ruoli di Presidente dell’Eurogruppo e Vicepresidente della Commissione europea, si dedicano però solo generiche frasi di circostanza, o elenchi di buoni propositi, nella consapevolezza che la loro realizzazione non appartiene e per molto tempo non apparterrà all’agenda politica europea.
Il bilancio dell’Eurozona
La Commissione ha poi dedicato tre documenti al tema del bilancio europeo. Qui si registra una notevole sintonia con i desiderata tedeschi, e nel contempo un riscontro di come la costruzione europea sia il risultato del ricatto: quello per cui si assistono finanziariamente gli Stati nazionali, altrimenti costretti a rivolgersi ai mercati finanziari in virtù del divieto di salvataggio, solo ed esclusivamente come contropartita per l’adozione di riforme destinate a preservare la normalità capitalistica.
Il primo documento stabilisce il principio generale per cui gli strumenti previsti dal bilancio europeo devono essere utilizzati per favorire lo sviluppo dell’Unione economica e monetaria, e più precisamente in funzione degli obiettivi stabiliti in sede di coordinamento delle politiche economiche nazionali[6]. Il principio è già ampiamente attuato per quanto attiene ai fondi strutturali utilizzati per promuovere la coesione economica, sociale e territoriale, sottratti alla loro iniziale funzione di strumento per la redistribuzione delle risorse dagli Stati benestanti a quelli più bisognosi. Da tempo, infatti, un regolamento collega la loro efficacia a una “sana governance economica” della costruzione europea nel suo complesso, tanto che in caso di violazione delle condizioni poste per il loro utilizzo si possono “sospendere, in parte o in tutto, gli impegni o i pagamenti”[7]. La Commissione punta ora a istituire uno specifico “strumento per la realizzazione delle riforme” individuate e monitorate nell’ambito del semestre europeo, in particolare quelle più rilevanti per il presidio di un ordine incentrato sulle necessità dei mercati internazionali: “riforme dei mercati dei prodotti e del lavoro, riforme fiscali, sviluppo dei mercati di capitali, riforme volte a migliorare il contesto imprenditoriale”.
È lecito dubitare che la cosa si realizzi in tempi brevi. Non è nuova l’idea di istituire un non meglio definito “strumento di convergenza e competitività” destinato a “fornire sostegno all’attuazione tempestiva delle riforme strutturali”, in particolare delle “riforme difficili”, come quelle volte a “rafforzare la flessibilità del mercato del lavoro”[8]. L’idea è stata però recentemente accantonata dalla Commissione, secondo cui “richiederebbe un flusso stabile di entrate”, sul quale non si registra allo stato un consenso politico, motivo per cui si parla qui di “un obiettivo di più lungo termine”[9]. Forse anche per questo la proposta del nuovo strumento riguarda gli anni finanziari successivi al 2020.
Sono di più facile attuazione i propositi articolati negli altri due documenti appena dedicati dalla Commissione al tema del bilancio europeo. Il primo è una proposta di regolamento relativa al finanziamento del programma si sostegno alle riforme strutturali per il periodo tra il 2017 e il 2020, pensato in particolare per il finanziamento dell’assistenza tecnica agli Stati che devono ancora soddisfare i requisiti per l’adesione alla moneta unica[10]. Anche il secondo è una proposta di regolamento, volta a rafforzare il legame tra l’utilizzo dei fondi strutturali esistenti al perseguimento degli obiettivi identificati nell’ambito del semestre europeo, e nel contempo anticipare in via sperimentale l’istituzione del menzionato strumento per la realizzazione delle riforme[11].
Il futuro del Fiscal compact
Il sesto e ultimo documento recentemente presentato dalla Commissione è quello sul tema più presente nel dibattito pubblico: la sorte del Patto di bilancio europeo o Fiscal compact, ovvero del trattato intergovernativo che limita il deficit imponendo il pareggio di bilancio, e il debito prescrivendo un suo contenimento entro il 60% del pil da raggiungere con riduzioni annuali di un ventesimo della parte eccedente quel limite. Questo perché lo stesso Patto, entrato in vigore il 1. gennaio 2013, stabilisce che “al più tardi entro cinque anni” da quella data, ovvero entro il 1. gennaio 2018, occorre adottare “le misure necessarie per incorporare il contenuto nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea”. Il tutto “sulla base di una valutazione dell’esperienza maturata in sede di attuazione”.
È evidente che proprio l’esperienza maturata ha confermato quanto abbia nuociuto il Fiscal compact e in particolare la regola per cui “la posizione di bilancio della pubblica amministrazione” deve essere “in pareggio o in avanzo”: regola da tradurre in “disposizioni vincolanti e di natura permanente preferibilmente costituzionale”, come ha deciso di fare, con eccesso di zelo neoliberale, il parlamento italiano. È sotto gli occhi di tutti che tutto ciò ha inferto colpi durissimi allo Stato sociale, aggravando gli effetti della crisi, impedendo di difendere l’occupazione e un livello minimo di redistribuzione della ricchezza, oltre che travolgendo le più elementari regole democratiche.
Il tutto al netto delle precisazioni che si è soliti fare circa le differenze tra il pareggio e l’equilibrio di bilancio, espressione utilizzata dalla Costituzione italiana, o altre variazioni sul tema. Comunque la si voglia mettere, si tratta qui di dichiarare fuori legge la possibilità di tenere insieme crescita e piena occupazione, di impedire la redistribuzione della ricchezza dall’alto verso il basso. Quest’ultima è del resto irrilevante quando la crescita, seguendo lo schema imposto dai tedeschi, si fonda sull’esportazione. Quando cioè non deriva dai consumi interni, comunque compressi dalle politiche alimentate dalla libera circolazione dei capitali: quelle in linea con la necessità di attirarli abbattendo i salari.
Detto questo, torniamo alla proposta della Commissione, ovvero una direttiva destinata a recepire le parti più rilevanti del Fiscal compact[12], che dunque diverrebbe parte del diritto europeo, sebbene con una soluzione identica a quella adottata per la disciplina del Fondo salva-Stati: non a livello di Trattati.
La proposta di direttiva enfatizza un profilo finora relativamente trascurato, ovvero la circostanza che il controllo del deficit ha come finalità il raggiungimento di “livelli di debito pubblico prudenti”, ora ritenuti “l’obiettivo fondamentale del patto di bilancio”. Questa precisazione si accompagna ad apparenti concessioni a coloro i quali invocano maggiore flessibilità nel perseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio, che in effetti non viene direttamente menzionato: si richiama il solo obiettivo a medio termine, ovvero una misura variabile da Stato a Stato che indica i valori di riferimento per il percorso verso il pareggio.
Quest’ultimo non viene dunque messo in discussione, e ciò costituisce il primo motivo per ritenere che ci troviamo di fronte a concessioni soltanto apparenti. Da notare poi che la flessibilità viene accordata solo se bilanciata da riforme strutturali di matrice neoliberale, in particolare quelle “aventi effetti positivi diretti a lungo termine sul bilancio”: una soluzione ricalcata su quanto ottennero i tedeschi nel 2005, quando si sarebbero meritati una procedura di infrazione per deficit eccessivo, e invece si salvarono invocando gli effetti di lungo termine di una riforma pensionistica appena attuata[13].
Tecnocrazia
Comunque sia, la flessibilità viene concessa solo in casi eccezionali, giacché il principio generale è quello per cui il percorso verso il pareggio di bilancio non deve essere alterato: “le frequenti ritarature del percorso minano la credibilità e l’efficacia di qualsiasi strategia di riduzione del debito”. Per questo la proposta di direttiva disciplina l’istituzione di un “meccanismo di correzione” attivato “automaticamente nel caso in cui sia rilevata una deviazione significativa dall’obiettivo a medio termine”. Con buona pace dei richiami alla democrazia come valore alimentato dalla proposta di direttiva: i parlamenti nazionali si vedono imporre l’adozione di misure la cui attivazione viene stimolata e monitorata da non meglio definiti “enti indipendenti”, a cui si affida anche il compito di valutare la “adeguatezza dell’obiettivo a medio termine”.
Siamo insomma all’apologia della dottrina Schäuble, che come abbiamo visto ammette la flessibilità in cambio di un rientro del debito, tuttavia nell’ambito di un sistema nel quale il coordinamento delle politiche economiche nazionali costituisce una pratica spoliticizzata, affidata a tecnocrati politicamente irresponsabili. E proprio questo dispone la proposta di direttiva, che si occupa della composizione dei menzionati enti indipendenti, i cui membri devono essere scelti “in base alle loro esperienze e competenze in materia di macroeconomia, finanze pubbliche e gestione di bilancio”, assicurando loro poteri praticamente sconfinati: tra l’altro un “ampio e tempestivo accesso alle informazioni per svolgere i compiti loro affidati”. E che oltretutto, sempre per spoliticizzare la materia di cui si occupa, stabilisce che deve essere recepita non con legge ordinaria, come si addice allo strumento direttiva, bensì con “disposizioni vincolanti e permanenti, di natura costituzionale o altrimenti garantite quanto al loro pieno rispetto e osservanza”.
Fermiamo l’Europa tedesca
Alla luce di quanto abbiamo sommariamente ricostruito risulta del tutto fuori luogo la soddisfazione espressa dal Ministro delle finanze italiano, secondo cui con la proposta di direttiva “la flessibilità diventa un elemento integrante della disciplina di bilancio europea”[14]. E lo stesso vale per le esultanze degli esponenti dei partiti che ratificarono il Fiscal compact nel 2012, e che oggi sottolineano come il suo mancato inserimento nei Trattati implichi la possibilità di “cambiare agevolmente”[15]. Facile ribattere che se una provvedimento si reputa sbagliato, allora semplicemente non lo si deve approvare, e non accettarne l’approvazione sperando di poterlo cambiare un giorno. Ancora più facile far notare che, comunque sia, il Fiscal compact non viene formalmente intaccato dalla proposta di direttiva: resta come accordo intergovernativo, oltretutto recepito a livello costituzionale. E se ci fosse un minimo di coerenza politica, si direbbe che occorre eliminare l’equilibrio di bilancio dalla Carta fondamentale, ma proprio la mancanza di dichiarazioni in questo senso porta a concludere che ci troviamo di fronte a odiosi doppiogiochismi.
La verità è che questa Europa è irriformabile[16]. E per farlo non basta qualche patetica operazione di facciata: occorre incidere su tutti i fondamenti dell’Unione economica e monetaria, dalla libera circolazione dei capitali ai vincoli al debito e al deficit, passando per l’autonomia delle banche centrali. Insomma, occorre ripoliticizzare il mercato, e per fare questo tornare alla dimensione nazionale: la sede naturale del conflitto sociale, unica via di uscita per la ricostruzione di un’Europa dei diritti.
NOTE
[1] Non-paper for paving the way towards a Stability Union (9 ottobre 2017), http://media2.corriere.it/corriere/pdf/2017/non-paper.pdf.
[2] Cfr. A. Somma, Europa a due velocità. Postpolitica dell’Unione europea, Imprimatur, 2017, p. 145 ss.
[3] Comunicazione della Commissione: Ulteriori tappe verso il completamento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa: tabella di marcia del 6 dicembre 2017, Com/2017/0821 fin.
[4] Proposta di Regolamento sull’istituzione del Fondo monetario europeo del 6 dicembre 2017, Com/2017/827 fin.
[5] Comunicazione della Commissione su un Ministro europeo dell’economia e delle finanze del 6 dicembre 2017, Com/2017/0823 fin.
[6] Comunicazione della Commissione: Nuovi strumenti di bilancio per una zona euro stabile nel quadro dell’Unione del 6 dicembre 2017, Com/2017/0822 fin.
[7] Art. 23 Regolamento recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pescadel 17 dicembre 2013 n. 1303.
[8] Comunicazione della Commissione: Un piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita Avvio del dibattito europeo del 30 novembre 2012, Com/2012/777 fin. V. anche Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013, Conclusioni della Presidenza.
[9] Documento di riflessione sull’approfondimento dell’unione economica e monetariadel 31 maggio 2017, Com/2017/291 fin.
[10] Proposta di Regolamento che modifica il regolamento Ue 2017/825 per aumentare la dotazione finanziaria del programma di sostegno alle riforme strutturali e adattarne l’obiettivo generale del 6 dicembre 2017, Com/2017/0825 fin.
[11] Proposta di Regolamento che modifica il Regolamento Ue 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il Regolamento Ce 1083/2006 del Consiglio per quanto riguarda il sostegno alle riforme strutturali negli Stati membri del 6 dicembre 2017, Com/2017/0826 fin.
[12] Proposta di Direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni per rafforzare la responsabilità di bilancio e l’orientamento di bilancio a medio termine negli Stati membri del 6 dicembre 2017, Com/2017/0824 final.
[13] Il tutto si tradusse in una modifica del Patto di stabilità e crescita del 1997: cfr. il Regolamento che modifica il Regolamento Ce n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche del 27 giugno 2005 n. 2005 e il Regolamento che modifica il regolamento Ce n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi del 27 giugno 2005 n. 1056.
[14] Comunicato del Ministero dell’economia e delle finanze La proposta di Juncker rafforza la governance. In linea con le posizioni italiane, www.mef.gov.it/inevidenza/article_0330.html.
[15] Bruxelles lancia il Fiscal compact nel diritto europeo (ma con la flessibilità). Pittella a Huffpost: “La proposta va fermata” (6 dicembre 2017), www.huffingtonpost.it/2017/12/06/bruxelles-lancia-la-riforma-delleurozona-fiscal-compact-nei-trattati-ma-con-la-flessibilita_a_23298938.
[16] C. Clericetti, Basta un poco e il Fiscal compact va giù (11 dicembre 2017), http://temi.repubblica.it/micromega-online/basta-un-poco-e-il-fiscal-compact-va-giu.
(15 dicembre 2017)
Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/europa-tedesca-sempre-piu-irriformabile/
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