di Sergio Cesaratto Economia e politica
Un grande primo ministro canadese, William Mackenzie King,[1] ebbe a dichiarare prima delle elezioni del 1935: “Una volta che a una nazione rinuncia al controllo della propria valuta e del credito, non importa chi fa le leggi della nazione. … Fino a quando il controllo dell’emissione della moneta e del credito non sia restituito al governo e riconosciuto come la responsabilità più rilevante e sacra, ogni discorso circa la sovranità del Parlamento e della democrazia sarebbe ozioso e futile”.
La rinunzia alla sovranità monetaria è precisamente quello che il nostro paese ha fatto con l’adesione alla moneta unica. In verità, a ben guardare, l’aveva fatto già prima con il famoso “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia nel 1981. Con quell’atto, compiuto attraverso un fait accompli – uno scambio di lettere fra Andreatta e Ciampi – in barba a qualsiasi decisione parlamentare, i governi della Repubblica rinunciavano alla prerogativa di determinare la politica monetaria, dunque moderare i tassi di interesse, con successive conseguenze disastrose per conti pubblici e distribuzione del reddito.[2] Con la moneta unica il nostro paese ha persino rinunciato alla possibilità di tornare indietro in quella decisione. Le ulteriori conseguenze sulla nostra economia dovute all’abbandono della flessibilità del cambio estero sono davanti agli occhi di tutti con un crescente disavanzo delle partite correnti, dal pareggio del 1999 sino al -3,5% del 2010, con conseguente crescente indebitamento netto con l’estero.
Lo sconforto sarebbe attenuato se la sovranità monetaria fosse passata a una Europa politica che avrebbe potuto usarla al meglio. Non è stato invece così, avendo l’Europa inscritto persino nel proprio trattato costituzionale, com’è noto, che la banca centrale è indipendente dal potere politico avendo come solo obiettivo quello di stabilizzare il livello dei prezzi. Le conseguenze ultime di questa indipendenza si vendono nella indegna sceneggiata che si sta in questi giorni svolgendo fra le cancellerie europee e la BCE. A fronte del palese fallimento delle politiche di rientro dal debito imposte alla Grecia e della difficoltà a far digerire ulteriori aiuti ai propri contribuenti, alcuni paesi europei, la Germania in primis, si sono dichiarati favorevoli a qualche forma di ristrutturazione del debito di quel disgraziato paese. Di riflesso, gli esponenti della BCE hanno cominciato a rilasciare a destra e a manca dichiarazioni minacciose che se tale ristrutturazione avvenisse la banca centrale non avrebbe più stampato un quattrino a sostegno del debito e delle banche greche (una “opzione nucleare” è stata definita), mentre il governatore Trichet si è permesso di alzare la voce in summit di rappresentanti di governi democraticamente eletti e addirittura di abbandonarli sbattendo le porte.[3] Draghi, per coloro che coltivassero illusioni, ha ribadito nelle ultime Considerazioni finali che “né la presenza di rischi sovrani, né la dipendenza patologica di alcune banche dal finanziamento della BCE” possono farla “deflettere” dall’obiettivo della stabilità dei prezzi. Quello che appare intollerabile non è tanto il comportamento degli apprendisti stregoni di Francoforte, che in fondo rifiutano di fare quello che i trattati europei vietano loro di fare e difendono la reputazione di “guardiani della moneta”, ma che le democrazie europee si siano auto-inflitte queste umiliazioni. Si badi, da sempre la democrazia popolare ha avuto necessità di contro-altari istituzionali in un sistema di checks and balances. Ma a parte di una banda di fanatici economisti ultra-liberisti, mai a nessuno era venuto alla mente di elevare una banca centrale al rango di un quarto potere che espropria le istituzioni democratiche delle decisioni di politica economica!
La BCE ha dovuto durante questa crisi, nolente o volente, assumere ruoli – quello di prestatore di ultima istanza ai governi (che non era in effetti nei suoi statuti) e alle banche, pena l’implosione del sistema finanziario europeo e globale. A parte l’implausibile ipotesi che la Grecia riesca a stabilizzare se il proprio debito pubblico a colpi di deflazione e di svendita del patrimonio pubblico, ipotesi a cui sembra incredibilmente dar credito solo la BCE attraverso l’ultra-falco Bini Smaghi, qualunque sia la strada alternativa prescelta dall’Europa – una ristrutturazione del debito o quella più razionale e meno dolorosa di europeizzazione del debito (per esempio qui) – la BCE sarebbe costretta a una politica monetaria accomodante. L’indipendenza della banca centrale è in generale, e in particolare nei frangenti attuali, sbagliata, e lo statuto della BCE va assimilato a quello della FED americana i cui esponenti mai e poi mai potrebbero permettersi di non collaborare alle decisioni dell’amministrazione.
Per quanto riguarda il nostro paese, esso sta pagando a quest’Europa dei prezzi elevatissimi in termini di disoccupazione crescente e di deindustrializzazione, e il futuro si presenta fosco. La consapevolezza di questo è ancora scarsa, spesso anche a sinistra dove, per cinismo o ignoranza, ci si appassiona ad altri temi che non siano quelli dell’occupazione e dei bisogni elementari della gente. Le proposte che l’Italia dovrebbe avanzare a Bruxelles le abbiamo esposte (qui, qui e qui), ma l’Europa prosegue in una cacofonia di voci e inadeguatezza di proposte che fa poco ben sperare.
La dichiarazione di Mackenzie del 1935, continua così: “Il Partito Liberale si dichiara in favore dell’immediata istituzione di una banca nazionale debitamente costituita al fine del controllo dell’emissione di moneta rapportata ai bisogni pubblici. Il flusso di moneta deve essere in relazione ai bisogni nazionali, sociali e industriali del popolo canadese”. Le urne diedero al partito liberale una maggioranza senza precedenti. Dopo le belle vittorie di Milano e Napoli, i prossimi mesi potrebbero vedere la partecipazione della sinistra italiana al governo. Naturalmente il problema che si presentava a Mackenzie era quello, più semplice, di nazionalizzare l’emissione di moneta. Più complicato sarebbe se il Canada avesse stabilito una unione monetaria con gli Stati Uniti, come abbiamo fatto noi con la Germania. La consapevolezza di quanto dura è la battaglia a cui dovrebbe attrezzarsi una sinistra che volesse davvero sollevare le sorti del paese ci sembra, comunque, un primo, essenziale passo.
[1] William Lyon Mackenzie King (1874–1950), leader del partito liberale, un partito di centro ma con sensibilità ai problemi sociali, fu per tre volte primo ministro del Canada.
[2] Come ricordato da Aldo Barba in un interessante intervento al convegno per il 150mo su Sviluppo capitalistico e unità nazionale nei giorni scorsi.
[3] Bini Smaghi è arrivato a minacciare che la BCE possa imporre che i paesi membri dell’UME rimborsino la banca decine di miliardi di titoli greci che essa detiene. Contro i timori della BCE vedi Roubini.
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Sottoscriverei la richiesta di attribuire ai poteri pubblici il compito di emettere valuta e credito, però non al fine di una politica economica di finanza allegra e di svalutazioni competitive. Se deve essere così, è meglio che esista una istanza centrale europea custode del rigore nei conti pubblici. La vera e propria ditattura di classe che la BCE esprime non è nel suo giusto rigore, ma nell'imposizione di misure come il taglio delle pensioni, dei salari, dei servizi sociali. Analoghi e maggiori risparmi potrebbero essere realizzati con imposte indirette su generi non di prima necessità, sulle rendite finanziarie (compresi i depositi eccedenti una certa cifra), e con imposte patrimoniali. Se la BCE lasciasse i governi liberi di decidere in questo senso, non sarebbe lo strumento del potere dell'alta finanza e delle imprese multinazionali.
egr. Cesaratto
la credenza che la sovranità monetaria sia un toccasana alle disgrazie economiche di un paese, è la più grande stupidaggine propagandata da chi non ha capito il meccanismo della moneta "fiat".
provo a riproporglielo, così si renderà conto di cosa ha scritto.
tale moneta ha l'enorme vantaggio/svantaggio di poter esser creata dal nulla.
ma una moneta quanto vale? vale per la sua capacità di rappresentare i beni ed i servizi prodotti e producibili da un paese.
se per comprare 1 kg di pane dispongo di 5 unità monetarie, ogni unità monetaria varrà 2 etti di pane. ma se emetto il doppio di moneta, per comprare lo stesso kg. di pane, disporrò di 10 unità monetarie, per cui con una unità comprerò soltanto più 1 etto di pane. cosa è cambiato ? soltanto che la moneta vale la metà di prima.
questo è per semplificare al massimo il discorso.
ora, il problema non stà in chi e come gestisce la moneta, ma nel fatto che uno stato faccia un bilancio in nero o in rosso.
se lo fa in rosso, qualsiasi sia la moneta usata dovrà o farsi imprestare quanto gli manca per pareggiare il bilancio, oppure, se ha possibilità di emettere moneta, di stampare denaro e quindi di svalutarlo.
ora, dare la sovranità monetaria ad uno stato che non sia capace di fare un bilancio in nero, è semplicemente stupido, perchè l'unica cosa che farà sarà imporre la tassa occulta della svalutazione.
basta leggere la storia, per rendersi conto di come ogni volta che questo è accaduto, si è andati incontro a disastri economici.
e non mi si porti l'esempio del Nord Dakota.
quello è uno stato che fa bilanci in ATTIVO, da sempre.
dato che la quantità di denaro circolante è funzione sia della quantità emessa, che di quella risparmiata ( tesaurizzata) il compito dell'autorità monetaria è sempre e solo quello di mantenerne in CIRCOLAZIONE una quantità sufficiente a che avvengano gli scambi senza eccessive tensioni dovute a SCARSITA' di denaro circolante, e per far questo ha due possibilità:
agire sui tassi, e sulla quantità di liquidità, lasciando i piccoli aggiustamenti alle variazioni della velocità di circolazione.
quest'ultima però non può compensare più di tanto senza creare forti disagi, per cui sarà necessario intervenire con le due suddette possibilità.
unica , pesante eccezione a tutto ciò, è rappresentata dal dollaro, ma per l'unica ragione di essere, oltre che moneta statunitense, anche moneta di scambio internazionale, pertanto, per esso occorre fare un discorso a parte.
ps. mi scusi inoltre una osservazione.
di persone altolocate e famose, che hanno detto enormi stupidaggini, sono pieni i libri di storia.
se solo si prendesse la briga di raccogliere la quantità di idiozie , smentite in pochi mesi dai fatti, che sono state dette dai massimi esponenti di governo, da insigni economisti e premi nobel, in occasione di quest'ultima crisi, credo che un libro di 1000 pagine non gli basterebbe.
pertanto citare una frase celebre, non vuol dire assolutamente ne che sia vera ne che sia appropriata al momento storico di riferimento.
Noto che Mensa non discute la tesi centrale del testo di Cesaratto, e cioè la forte critica dell'indipendenza delle Banche Centrali; tale critica può essere sbagliata o imprecisa, ma è di sicuro pertinente, dato che quell'indipendenza è uno storico cavallo di battaglia del neo-liberismo, e rappresenta il cuore di tutte le proposte di politica economica/monetaria degli ultimi tre decenni.
In compesno Mensa scrive:
"ora, dare la sovranità monetaria ad uno stato che non sia capace di fare un bilancio in nero, è semplicemente stupido, perchè l'unica cosa che farà sarà imporre la tassa occulta della svalutazione.
basta leggere la storia, per rendersi conto di come ogni volta che questo è accaduto, si è andati incontro a disastri economici."
Bene, basta leggere la storia. Potrebbe Mensa fornire degli esempi precisi? Grazie.
Caro Andrea,
vediamo di essere più precisi. Perché è un tema che mi interessa e sul quale non riesco a farmi una idea mia.
Intanto Cesaratto fa due proposte: moneta statale; e banca centrale pubblica o comunque non autonoma dal potere politico. E designa con sovranità monetaria i due poteri che oggi i politici italiani non hanno.
Lasciamo per il momento il problema della moneta nazionale, del quale discuteremo dopo e soffermiamoci sulla banca centrale non completamente autonoma dal potere politico.
Cesaratto immagina di tornare ad un regime anteriore al 1981, quando si realizzò l'autonomia della banca d'italia dal tesoro. Dunque la moneta è emessa da un ente, la banca d'italia, del quale sono soci soggetti pubblici (banche pubbliche) e non ha una completa autonomia.
1) Quali disastri erano stati combinati fino al 1981? Non mi sembra che si possa accusare Cesaratto per il fatto che propone di tornare al regime giuridico del 1981 senza indicare i disastri che erano stati perpetrati in italia sotto quel regime. Ti prego di indicarli e illustrarli. Altrimenti parliamo a vuoto e non ci capiamo.
2) Quando è che il debito pubblico si è decuplicato? E' stato o no negli anni ottanta del secolo scorso? C'è una relazione tra la decuplicazione e il mutamento di regime avvenuto nel 1981? Se non c'è, come mai a un certo punto i politici sono impazziti e hanno cominciato a decuplicare il debito pubblico, mentre fino ad allora erano stati accorti? E comunque in che misura l'aumento del debito negli anni ottanta è dipeso dall'aumento della spesa e in quale misura dall'aumento dei tassi (dovuto all'autonomia di Banca d'italia?).
3)In un ordinamento in cui vige la scala mobile, perché l'inflazione a due cifre è un grande problema? Il problema mi sembra esservi per i titolari di risparmio, non per i salariati.
Aggiungiamo carne al fuoco
http://www.alasinistra.it/debito%20pubblico.htm
http://www.disinformazione.it/ragioni_del_debito.htm
@ D'Andrea
Sono d'accordo con Mensa su diverse questioni ma per rispondere più direttamente alle domande che gli poni vorrei dire la mia.
La crescita del debito pubblico italiano negli anni '80 non era legato alla struttura del sistema di emissione della moneta, la banca d'Italia, bensì alla crescita esponenziale delle spese di bilancio a cui le entrate non si sono mai adeguate con la stessa velocità malgrado l'aumento della pressione tributaria. Le spese sono aumentate sia per un interventismo sempre più spinto ma fatto male, con enormi sprechi e rapporti clientelari. In più il servizio del debito ovvero gli interessi da pagare sul debito pregresso, con tassi percentuali a due cifre hanno comportato un avvitamento in un circolo vizioso crescente. Non essendoci i soldi per pagare gli interessi rinnovava il debito comprensivo di questi interessi. Keynes sosteneva invece che la spesa a deficit si può fare nel breve periodo, mentre in realtà la si è applicata per decenni senza un rientro nei periodi positivi dei cicli economici. Ad un certo punto hanno cominciato a tagliare e a privatizzare. Basti pensare agli enormi disavanzi dell'Iri, gestiti male da persone scelte col criterio della lottizzazione, che non hanno mai pagato personalmente per gli errori fatti.
Riguardo alla seconda domanda direi che l'inflazione danneggia molto i salari e in genere tutti i redditi fissi. La scala mobile era un meccanismo che recuperava solo in parte la perdita del potere d'acquisto dei salari e alimentava la cosiddetta inflazione da costi. L'imprenditore infatti riversa sui prezzi ogni aumento che subisce nei costi di produzione, sia per il lavoro che per le materie prime. Per evitare questo occorrerebbe calmierare i prezzi, ma una decisione come questa in un mercato "libero" non viene mai presa.
Cara Daniela,
grazie.
Tuttavia, per il decennio 91-2001 le cose non sono andate come dici tu e l'aumento del debito è stato quasi interamente dovuto alla politica monetaria della banca d'italia e della FED. Il primo degli articoli linkati da Claudio è eccellente e dati alla mano spiega come sia stata la politica monetaria – tassi di interessi reali che non si limitavano a rcuperare l'inflazione – a mangiarsi i risparmi derivanti dai tagli alla spesa sociale. Un incredibile rasferimento di ricchezza dai servizi sociali – di tutti e in particolare dei ceti medi o poveri – alla rendita di parte dei ceti medi e dei ceti alti. L'articolo lo pubblicherà tra lunedì e mercoledì.
Credo che la scala mobile dovrebbe essere ristudiata. Non mi sembra che fino al 1985 si avvertisse un deterioramento del tenore di vita dei ceti salariati. Né mi sembra che dinanzi ad una svalutazione del 15% gli immobili si rivalutassero del 21% all'anno. Negli ultimi tempi, abbiamo avuto immobili che si sono rivalutati del 20% all'anno per cinque anni, quando l'inflazione era del 2%. Qualche cosa non va.
Daniela scrive:
La crescita del debito pubblico italiano negli anni '80 non era legato alla struttura del sistema di emissione della moneta, la banca d'Italia, bensì alla crescita esponenziale delle spese di bilancio a cui le entrate non si sono mai adeguate con la stessa velocità malgrado l'aumento della pressione tributaria.
Ciò è falso. Come dimostrano questi dati (http://www.aldobattista.it/spesa/spesa.htm) l'esplosione della spesa è situata negli anni '70, non negli anni '80. Cito dal testo linkato:
"Nel corso degli anni ‘80 la spesa continua la sua fase ascendente in rapporto al PIL. Si può evidenziare, infatti, come essa passi dal 41,5% nel 1980 a circa il 49% nel 1990. In particolare, nel primo triennio si concentra il 90% della crescita del rapporto dovuta ad un aumento della spesa a cui non corrisponde un parallelo aumento del PIL. Negli anni seguenti il tasso di crescita della spesa diminuisce e si avvicina al tasso di crescita del PIL, per cui il rapporto spesa/PIL rimane sostanzialmente stabile."
Una crescita sostenuta dunque, ma non "enorme". E non è tutto.
Come dimostra il secondo articolo del primo post, le cause della crescita del debito non vanno ricercate nell'"assistenzialismo", nel "clientelismo", nel "welfare insostenibile", ma in una precisa scelta politica: quella di concedere autonomia politica al banchiere centrale. Tale decisione, del resto, non fu certo scevra da duri contrasti (http://it.wikipedia.org/wiki/Lite_delle_comari)
Vorrei inoltre far notare che quegli anni, gli anni del "cinghialone", dell'inflazione a due cifre, del deficit e del Caf, delle tangenti e dello spreco, furono anche gli anni d'oro della nostra economia. Il 15 maggio 1991 fummo riconosciuti dal FMI come quarta potenza economica mondiale, superando addirittura la Francia. Erano tempi in cui la ricchezza era più abbondante, e meglio distribuita. Ci si rifletta prima di rifriggere l'aria coi luoghi comuni neo-liberali.
di esempi in cui lo stato ha emesso denaro per "coprire spese" ne ho già fatti in uno dei miei primi articoli.
ricordo comunque la francia subito dopo la rivoluzione, per coprire i costi della guerra contro la germania, il famoso "greenback" americano, la repuvbblica di Waimar, ecc…
quando mi oppongo al controllo governo/parlamento sull'ente che crea il denarro "fiat" lo faccio per una semplice ragione di principio.
in un regime che dicasi democratico, il potere esecutivo dipende direttamente o indirettamente dal popolo ( o almeno così si vorrebbe far credere)
quindi, ogni partito ch evolesse promettere qualcosa di gradevole per raccogliere voti, dovrebbe puntare a molti vantaggi per la popolazione e poche tasse.
= BILANCIO IN DEFICIT.
ogni governo che si sia comportato seriamente, cercando di adeguare le entrate alle uscite, è sempre stato sonoramente battuto alle elezioni.
ecco quindi ch eil maggiore interesse dei politici è spendere oggi, lasciando i debiti per chi verrà dopo.
mentre, visto ch eil sistema bancario IMPRESTA il denaro che crea, come ogni creditore ha tutto interesse a che il denaro stesso non perda valore, quindi ha tutto l'interesse a COMBATTERE per quanto possibile ai suoi mezzi, l'inflazione.
mi pare tanto semplice quanto banale. Sono gli interessi che sono divergenti e quindi, al fine di preservare il valore del denaro IL PIU' POSSIBILE, la sua gestione va affidata al creditore per eccellenza.
@ stefano
del decennio degli anni '90 confondi causa con effetto, a meno che tu possa èpensare che un paese trasformatore come l'Italia, possa sopravvivere fuori dal contesto internazionale.
ora, se i titoli di stato ( e vedi come vengono offerti al mercato) devono adeguarsi non solo ai tassi ufficiali di sconto, ma ai tassi reali del mercato (vedi tbond dove il tasso ufficiale è 0,25, ma quello dei decennali tra il 3,75 e il 4%), perchè è dal mercato che deve ottenere il finanziamento, ed il mercato (vedi Grecia) sconta anche un premio "sicurezza" dato dall'affidabilità del debitore, e quando uno stato comincia ad avere un debito paragonabile al PIL, i dubbi sdi solvibilità diventano sempre più forti.
se in quegli anni i tassi sul debito, cresciuto in modo esponenziale per la politica criminale del CAF, sono stati ben superiori al TUS, la ragione ricercala nel mercato, non nella banca d'Italia.
e questo ovviamente ha peggiorato la situazione debitoria dell'Italia.
cosa che se non fosse intervenuto Amato prima e Ciampi poi, noi non saremmo mai entrati nell'euro, ma staremmo ancora a fare una svalutazione ogni 6 mesi, se non meno.
poi, come ho già detto e ribadito, l'Italia è un paese trasformatore, in quanto di materie prime proprio non ne abbiamo, per cui siamo molto più esposti ai "venti inflattivi" del dollaro, che fanno aumentare i costi delle materie prime, ch eovviamente riverberano tali aumenti sui prodotti finiti.
quando ho parlato dell'inflazione, infatti l'ho descritto come un processo ch esi auto alimenta, ma che può avere diversi "inneschi" sia interni che esterni.
per cosa riguarda poi la formazione dei prezzi, ricordiamo sempre che la mano d'opera del produttore, è una minima parte del prezzo di vendita.
secondo marchionne, il peso del costo del lavoro per costruire un'automobile, vale l'8% del prezzo finale, ch el'auto e quando esce dalla fabbrica vale il 50% del prezzo finale, per cui l'aumento delle retribuzioni causa più inflazione per l'aumento del denaro circolante, che per l'incidenza del lavoro sul prezzo finale.
e ricordiamo anche che non solo l'auto subisce questa distribuzione delle risorse, ma che le zucchine vengono pagate meno di 10 cent al coltivatore mentre al supermercato costano 1,5 €/kg.
ora è sicuro come l'oro che se il contadino chiedesse il 10% in più , ovvero 11 cent al kg, al supermercato arriverebbero a 1,8€/kg.
questa purtroppo è la realtà nel nostro, e non solo nostro paese.
@ martini
di stupidaggini in rete, come da parte di esimi economisti e premi nobel, se ne trovano a montagne, e infatti stiamo vedendo i risultati dell'ascoltare questi individui.
quando si fanno bilanci in deficit, ed il bilancio DEVE comprendere anche la spesa per gli interessi sul debito pregresso, altrimenti il non rimborsare dei titoli finisce immediatamente in un default, il "buco" o rosso, lo si può chiudere in due modi.
per chi ha la "sovranità monetaria, stampa denaro e nel giro di qualche anno può far che distribuire rotoli di carta igienica, funziona meglio.
oppure chiede finanziamenti al MERCATO e quindi si ADEGUA agli interessi ch eil mercato chiede, tenendo presente tutto quanto sopra detto.
terze vie, non ce ne sono. Io sono qui che aspetto che qualcuno mi dica che sbaglio, che non funziona così, che cosa dico è illogico, ma ditemi anche dove è l’errore nel mio ragionare
vogliamo fare un dibattito pubblico, che vi mostro con i soldi del monopoli come funziona ?
@ stefano
punto 3)
il problema della scala mobile, è semplicemente dato dal fatto ch eil paniere con cui viene rilevata l'inflazione è un "paniere medio" ovvero che tiene conto in modo ponderato delle principali voci di spesa degli utenti finali.
ma se aumenta del 10% il pane e calano del 10% i biglietti aerei, per l'istat l'inflazione è nulla, ma chi prende 1000 €/mese non viaggia normalmente in aereo, ma giornalmente compra il pane.
ecco quindi che come conto generico e generale, l'inflazione rilevatta in quel modo, può anche essere valida sul lungo periodo, ma nel mentre, durante quel lungo periodo qualcuno muore di fame.
in secondo luogo la scala mobile agisce retroattivamente, ovvero PRIMA ci sono gli aumenti, POI gli adeguamenti, per cui, chi vive di reddito fisso o dipendente è sempre alla rincorsa degli aumenti, mentre chi determina autonomamente il proprio reddito, addirittura ANTICIPA gli aumenti, lucrando così due volte su di essi.
inoltre , visto che la tassazione individuale è progressiva, guarda caso nelle fascie inferiori, la svalutazione fà scattare aliquote superiori pur su uguale valore reale del denaro.
perchè gli anni 80 videro in Italia aumentare paurosamente il debito pubblico ?
semplice, perchè andava fermata l'onda rivoluzionaria degli anni '70, onda in cui le classi più deboli si organizzarono e pretesero la loro fetta di benessere, e non solo di lavoro.
e dato che lo stato è sempre e comunque uno stato borghese, si adeguò alle richieste del patronato, distribuendo benefici a pioggia sulla popolazione, peccato che tali benefici fossero A DEBITO.
non c'è nulla come il concedere il minimo di proprietà alle persone, per rompere la solidarietà, per ricattarle con i debiti, per distruggere le loro organizzazioni.
e quando le classi deboli vivono del loro lavoro, un aumento dei prezzi, una caduta della comptitività sui mercati internazionali, significano, come disse gianni Agnelli "il problema non sarà più il costo di lavoro, ma il posto di lavoro"
e questo perchè una fetta maggiore di costo del lavoro, non venne ottenuta a scapito della fetta riservata al capitale, ma riversata interamente, e magari amplificata, sui prezzi.
e questa è ormai storia.
Andrea,
negli anni del boom in Italia c'era inflazione a due cifre. Oggi in Cina c'è inflazione a due cifre. Gli anni dell'impoverimento diffuso sono stati anni con inflazione al 2%. In linea di principio inflazione significa svalutazione del capitale. Non del lavoro. Naturalmente, altro è un'inflazione al 10% altro è un'iperinflazione.
Bisogna poi riflettere su questa osservazione di Lenin e Keynes: “Lenin ha detto, pare, che la via migliore per distruggere il sistema capitalistico è svilire la moneta. Mediante un continuo processo di inflazione i governi possono confiscare, segretamente e inosservati, una grossa parte della ricchezza dei loro cittadini. (..) Lenin aveva certamente ragione.” John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Adelphi 2007
Quale obiettivo dobbiamo avere?
2) Resta il fatto che il regime proposto da Cesaratto non è né quello instaurato con la rivoluzione d'ottobre e poi modificato dopo un po' di anni, né quello voluto da Hitler. E' un regime che l'Italia ha avuto dal 1930 al 1981 e che non si poneva come unico obiettivo di non svalutare il denaro. E' proprio questo obiettivo nella sua assolutezza, al quale ogni altro profilo dovrebbe essere sacrificato, a lasciare perplessi.
3) Sugli anni 91-2003 lunedì pubblicherò un articolo, che ti chiedo di commentare, per verificare se, a tuo avviso, anche l'autore è incorso nella inversione alla quale hai accennato
@ stefano
tu dici:
"In linea di principio inflazione significa svalutazione del capitale. Non del lavoro."
quando il reddito è espresso in denaro, se il denaro perde valore ANCHE il lavoro perde valore.
è il problema del reddito prestabilito.
se per lavorare 200 ore ricevo 1000€ e i 1000€ perdono di valore, ANCHE il mio lavoro perderà di valore, almeno fino a quando non verrà rivalutato, cosa che però accade sempre come conseguenza della svalutazione, mai in anticipo.
e lenin aveva senz'altro ragione, anche perchè ai suoi tempi non si parlava nemmeno di scala mobile, e ogni "rivalutazione" delle paghe, richiedevano lotte non indifferenti, compreso il farsi sparare addosso dalla polizia. ogni frase va contestualizzata al periodo in cui è stata detta, altrimenti per forza che si fa casino.
2) per cosa riguarda il periodo dal '30 all'81, direi che bisognerebbe almeno fare una divisione tra il prima e il dopo la WWII.
sul prima, conb il regime fascista, pensare di avere svalutazioni grazie a lotte operaie, mi sembra un pochino assurdo.
il dopo, dal 45 al 68, la ricostruzione, il risparmio sociale dello stato, ha prodotto in effetti quanto sostengo, ovvero bilanci statali sostanzialmente in pareggio.
con il 68 in poi, la classe operaia, stanca di dare molto e ricevere poco si è organizzata, e per un momento la bilancia dei profitti si è spostata dal capitale al lavoro, ma con gli anni '80, semplicemente è intervenuto lo stato a debito, a permettere nuovamente di remunerare ampiamente il capitale e le rendite parassitarie, MENTRE veniva anche rivalutato il lavoro.
ma questo sappiamo come è andata a finire.
3) i dati li ho forniti, e commenterò senz'altro, se necessario.
Andrea,
approfitto per qualche considerazione ulteriore sulla scala mobile.
Immaginiamo che l'inflazione sia del 20% all'anno. Un operaio che guadagna 1000 euro, in mancanza di adeguamenti l'anno successivo avrà uno stipendio di 1000 euro che varranno 800 euro. Se c'è l'adeguamento avrà circa 1200 euro che varranno come i 10 euro dell'anno precedente e se ci saranno aumenti salariali avrà 1230 euro che varranno un po' di più di ciò che prendeva nell'anno precedente. Durante l'anno in cui vi è inflazione, tuttavia, i 1000 euro valevano man mano un po' meno (ipotiziamo che ogni mese valevano l'1,8% in meno).
Nella medesima situazione chi ha 100.000 di risparmio, l'anno successivo avrà moneta (formalmente 100.000 euro) equivalente a 80.000 euro dell'anno precedente. E con cinque anni di svalutazione al 20%, se non investe, si ritroverà con un bel nulla. In cinque anni, tra i due opeai che guadagnano 1000 euro al mese, quello che aveva 100.000 euro di risparmio vivrà quasi come quello che non lo aveva.
L'indicizzazione dei salari rende tollerabile una certa l'inflazione (non l'iperinflazione), purché essa sia mantenuta sottto controllo e il sistema abbia una certa stabilità.
Naturalmente nessuno che sia dotato di risparmio terrà il denaro dentro il cassetto. E allora o lo investirà in attività produttive, con la possibilità di ottenere il 20% dei profitti e dunque di salvaguardare il valore del risparmio. O lo presterà, anche semplicemente depositandolo in banca. E allora è giusto che prenda al massimo il 10%, limitandosi a raddoppiare il tempo in cui, a parità di svalutazione, il capitale risparmiato si svaluterà.
Insomma, l'ideale per il lavoro è che il capitale si svaluti e che le rendite non siano in grado di compensare la svallutazione. Se intendi salvaguardare il risparmio lo devi investire rischiando di perderlo. L'indicizzazione dei salari comporta uno spostamento di ricchezza dal capitale al lavoro. Questo è il mio modello economico ideale.
@Claudio
Gli articoli che mi hai segnalato non mi sembrano smentire quello che ho detto.
La spesa pubblica aveva iniziato a crescere molto già negli anni'60 e '70 per l'aumento del welfare. Non dimentichiamo che negli anni '70 abbiamo avuto anche la stagflazione, stagnazione unita ad inflazione, che ha fatto aumentare enormemente i tassi di interesse. I tassi di interesse come tutti i prezzi si formano sul mercato. Il TUS non è altro che il tasso ufficiale di sconto che la Banca centrale, sia essa banca d'Italia o BCE, regola in base al tassi medi presenti sul mercato. Negli anni '80 i tassi hanno cominciato a diminuire ma l'entità del debito era cosi grande che gli interessi sono diventati grandissimi costringendo lo Stato a fare altri debiti per coprirli. Il debito è rappresentato da titoli (BTP, CCT, ecc.) che vengono acquistati dalle famiglie che hanno risparmi, così queste incassano i famosi interessi. Gli articoli che mi segnali dicono che la spesa pubblica ha continuato ad aumentare, come in una spirale, autoalimentandosi, anche se con un ritmo più lento, ovvero una percentuale più bassa. Negli anni Novanta mi sembra che Giuliano Amato abbia fatto una manovra per la riduzione del debito di più di 90.000 miliardi di lire. Ricci mostra che tra il '94 e il 2002 il debito è diminuito dal 124% al 109%. Questo ci ha consentito di entrare nell'Eurozona. Non dimentichiamo che prima delle manovre di risanamento del bilancio la lira perdeva continuamente di valore rispetto al dollaro costringendoci ad importare a prezzi sempre più cari. Oggi l'euro garantisce una certa stabilità dei prezzi, impensabile con la lira. La truffa per me si è avuta quando, nel cambio da lira ad euro i prezzi sono tutti cresciuti tranne i salari e stipendi, ma questo è dipeso dalle volontà politiche dei governi allora al potere, non dalle banche centrali. Hanno lasciato fare al mercato e i commercianti hanno avuto carta bianca. I salari si sono in pochi anni dimezzati. La scala mobile avrebbe permesso di recuperare in parte la capacità di acquisto, ma era stata abolita perché ritenuta causa di inflazione negli anni Settanta.
Il fenomeno speculativo, i banchieri che lucrano con i derivati hanno responsabilità enormi nella redistribuzione della ricchezza. L'orientamento liberista del sistema finanziario europeo è certamente colpevole perché li lascia fare ma a mio modo di vedere il rimedio non sta nel mettere in mano ai politici il controllo monetario. Mi sembra che le teorie sul signoraggio non siano risolutive.
@ Stefano
Negli anni settanta ci sono state varie ondate inflazionistiche causate dall'aumento dei prezzi di merci importate, ma non solo. All'interno, i datori di lavoro (ieri come oggi), per determinare i prezzi dei beni che vogliono vendere, aggiungono un margine percentuale di profitto ai costi sopportati, o addirittura lo fanno prima ancora di subirli, in previsione. Se i costi, intendendo per costi quelli per le materie prime e il lavoro, aumentano ad esempio del 10%, anche il profitto (poniamo fissato al 30% del costo totale) per assurdo aumenta. Il prezzo di vendita aumenta così di conseguenza più del 10%. Poniamo ora che si stia parlando di un bene che rientrava nel paniere per il calcolo della scala mobile. La conseguenza è un aumento del costo del lavoro per cui di nuovo gli imprenditori trasferiscono nel modo detto prima, sul prezzo, gli aumenti di costo sopportati, innescando la cosiddetta spirale prezzi-salari. I lavoratori, dopo un sollievo momentaneo, si trovano con aumenti di prezzi dei beni da consumare, ancora maggiori, con perdita del potere d'acquisto del salario. Una reintroduzione della indennità di contingenza calcolata sul meccanismo della scala mobile dovrebbe accompagnarsi ad un controllo dei prezzi, cosa che nessuno è mai riuscito o ha voluto fare perché si va fuori del sistema di mercato.
Arriviamo finalmente al dunque.
Le idee di Andrea Mensa sono le stesse che si possono trovare nei migliori testi di economia monetaria, come il mio, redatto da Gian Battista Pittaluga (attuale assessore alle finanze della Regione Liguria). I concetti sono i medesimi, le argomentazioni si assomigliano… e l'ideologia è sempre quella.
Questa conversazione dimostra che l'argomento in questione non è determinato da ragioni economiche, ma da scelte politiche. L'indipendenza della BC non serve per garantire prosperità al paese, né per alcuna altra ragione pratica; è invero necessaria per SOTTRARRE AI CITTADINI LA POSSIBILITà DI INFLUIRE SULLE SCELTE FONDAMENTALI DI POLITICA ECONOMICA.
C'è dietro una precisa filosofia; la plebaglia è incapace di autogovernarsi, essa è massa ingrata e ingorda, e darle troppo potere significa precipitare nell'oclocrazia.
Ecco l'essenza del pensiero liberale, che è una filosofia politica aristocratica, pessimista e anti-popolare.
Non importa che sotto il profilo tecnico sia anche falsa e bugiarda, come dimostrano gli esempi storici portati di super-inflazione. Weimar, dopoguerra francese, amministrazione Lincoln.. tutti momenti contraddistinti dallo stato d'eccezione. Avremmo potuto parlare anche dell'Ungheria del 1919 o della Serbia del 1999, ma comparare momenti eccezionali a quello che potrebbe accadere oggi in Italia è come comparare una mela ad una zucca, è un comportamento da BARI.
Ma perché me la prendo tanto? Vedete, in queste settimane mi sono impegnato molto per il sì ai referendum sull'acqua; e non perché l'acqua sia un Bene Comune o altre fumisterie ideologiche (l'acqua non è altro che un bene di consumo accompagnato da particolari garanzie), ma per sconfiggere il nefasto "meme" del pubblico inefficiente e corrotto da sostituire col privato brillante ed efficiente. vedete, il principio è lo stesso, sia in ambito idrico sia in quello dell'emissione monetaria. I fautori della privatizzazione, o comunque della limitazione del potere politico e democratico, ci dicono che il popolo non è in grado di gestire la propria vita. Il prezzo di questa impostazione ideologica è in un caso l'inefficienza dei servizi idrici, nell'altro la rovina della nostra economia (come dimostrano inoppugnabilmente gli articoli citati). Insomma, come (quasi) sempre la scelta è tra la democrazia da un parte, e la sofferenza e il disagio delle massi popolari dall'altra. Io sto dalla parte della democrazia.
Per Daniela
1) l'unico fine che avevano gli articoli citati era dimostrare che c'è un nesso di causalità tra TUS e aumento del debito, e che prima del "divorzio" il tesoro non era costretto a cedere titoli agli esorbitanti tassi di mercato. Tutto qui.
2) L'altro articolo dimostra come il mito dell'esplosione della spesa negli anni '80 è destituito di fondamento, essendosi quell'esplosione verificatasi negli anni '70. Non è un dato rilevante? E allora non parliamone più.
3) "Negli anni Novanta mi sembra che Giuliano Amato abbia fatto una manovra per la riduzione del debito di più di 90.000 miliardi di lire. Ricci mostra che tra il '94 e il 2002 il debito è diminuito dal 124% al 109%. Questo ci ha consentito di entrare nell'Eurozona."
Scusa la perfidia, ma ti rendi conto che hai scritto che abbiamo pagato lira di dio per entrare in un sistema che ci farà fare la fine della Grecia? Col senno di poi…
4) "L'orientamento liberista del sistema finanziario europeo è certamente colpevole perché li lascia fare ma a mio modo di vedere il rimedio non sta nel mettere in mano ai politici il controllo monetario."
Davvero? E allora dove starebbe, il "rimedio"? Nel riporre speranze nell'onestà dei banchieri?
5) "Mi sembra che le teorie sul signoraggio non siano risolutive."
Sfido chiunque a rintracciare il termine "signoraggio" in un qualunque mio scritto-commento-sms. Qui non si parla fatto di signoraggio, nessuno delgi autori proposti lo fa. Per favore stiamo sul punto, che è il seguente: hanno diritto i cittadini, mediati dai loro rappresentanti, a esercitare un controllo politico su una questione (l'emissione di moneta) di capitale importanza per la lo svolgimento delle loro vite?
Daniela,
io in materia economica mi muovo con intuizioni e non provo nemmeno a fare ragionamenti che pretendano di essere rigorosi.
A me sembra che, se è vero che i redditi da lavoro si svalutano e il recupero, totale o parziale è tardivo, si svaluta anche e senza alcun recupero il capitale. E siccome il prezzo di beni dipende dalla domanda, dato un ammontare complessivo di salari pari a 1000 miliardi di euro, e un capitale monetario anche esso di 1000 miliardi di euro (immaginiamolo fermo e non investito), se l'anno successivo, a causa di una svalutazione pari al 20%, e alla indicizzazione il monte dei salari è pari a1200 miliardi di euro (con valore pari a 1000 miliardi dell'anno prima), il capitale monetario sarà sempre 1000 miliardi di euro. Mi sembra ovvio che complessivamente i redditi da lavoro varranno di più in relazione ai capitali monetari complessivamente considerati rispetto al rapporto esistente nell'anno precedente.
Insomma la lotta fanatica contro l'inflazione (che è cosa diversa dalla lotta per l'equilibrio di un sistema economico, dove eventualmente c'è un po' di inflazione, e contro il rischio dell'iperinflazione) secondo me maschera la lotta contro la svalutazione del capitale ed è la regola capitalistica per eccellenza, non a caso difesa a spada tratta dai banchieri.
Le regole fondamentali dell'Europa sono due: 1) la concorrenza (e ikl socialismo nasce come pensiero politico contro la concorrenza e per sfruttare, per via rivoluzionaria, la povertà recata dalla concorrenza; 2) la salvaguardia del capitale dalla svalutazione. L'europa è quanto di peggio si possa pensare. E' il capitalismo allo stato puro. Per questo non durerà e dopo aver fatto tanti danni si disintegrerà.