Analisi e proposte del FSI: l’errore politico e tecnico dell’euro
L’Unione Europea ha sottratto allo stato italiano anche il potere di gestire una moneta nazionale, vincolandolo a una moneta comune che non è di nessuno. L’adozione della moneta unica si è rivelata, oltre che un errore politico un grave errore tecnico.
Gli architetti politici che si sono occupati della costruzione dell’euro hanno scelto di non tener conto delle preoccupazioni espresse da vari esponenti della scienza economica.
Non sono pochi gli esperti che avevano rilevato per tempo come una unione monetaria fra Paesi molto diversi rispetto ad importanti parametri economici (come competitività e tassi di inflazione) avrebbe comportato numerosi squilibri, che sarebbero poi esplosi nei momenti di crisi. Questo è ciò che è puntualmente avvenuto. Nei circa dieci anni passati dall’avvento della moneta unica, i paesi PIGS hanno avuto livelli di inflazione significativamente più elevati di quelli della Germania, e di conseguenza hanno perso competitività, finendo per accumulare pesanti deficit commerciali, non a caso nei confronti della stessa Germania.
E’ questa la ragione principale della crisi di fiducia che i mercati esprimono nei confronti dell’eurozona. I Paesi meno competitivi rispetto alla Germania vedono peggiorare continuamente la loro situazione economica, senza poter reagire con lo strumento della svalutazione della moneta nazionale (che non hanno più), e sono quindi considerati a rischio default.
La crisi di fiducia impone ai Paesi meno competitivi di aumentare gli interessi sui titoli del debito pubblico, al fine di riuscire a collocarli sul mercato: ma dover corrispondere maggiori interessi rende sempre più difficile recuperare le risorse necessarie per pagarli, e per ripagare i titoli in scadenza.
Il tutto si traduce in ulteriore aumento del rischio di default.
È ormai comunemente accettata l’idea che per salvare l’Euro è necessario ridurre il gap di competitività fra i paesi dell’eurozona, allineandosi alla Germania. Non potendo svalutare la propria moneta, per recuperare competitività i Paesi con le economie più deboli devono necessariamente ripetere quello che i tedeschi hanno già fatto nel decennio passato: aumentare la produttività e contemporaneamente abbassare i salari reali. Tali misure, che comportano costi sociali altissimi, non possono determinare gli stessi effetti sulla crescita che hanno prodotto in Germania, ma solo contribuire ad avvitare i Paesi dell’eurozona in spirali recessive senza uscita, alimentate anche dai tagli alla spesa pubblica imposti dall’Unione Europea.
L’unico risultato possibile è la recessione, e anzi la depressione, entro al quale avverrà un forte impoverimento generale dei ceti medi e popolari, assieme al depauperamento dei servizi pubblici (istruzione, sanità, trasporti). Tutte le drammatiche misure di austerità imposte dall’Unione uropea e dalla BCE per salvare l’Euro non raggiungeranno il loro scopo. Primo o dopo l’Euro salterà. Ma il rischio è che ciò avvenga solo dopo aver messo letteralmente in ginocchio le economie e i tessuti sociali dei Paesi dell’eurozona o almeno dei Paesi del sud europa. A quel punto sarà durissimo sostenere gli effetti del crollo della moneta unica.
Nel frattempo, per poter imporre quanto deciso dalla BCE e dalla Commissione Europea (cioè da Francia e Germania), l’Unione Europea inasprisce il proprio carattere antidemocratico, tramite nuovi trattati che obbligano i Paesi membri a realizzare tutto ciò che viene deciso dai tecnocrati europei, indipendentemente dalla volontà popolare e dalle determinazioni dei Parlamenti nazionali.
Euro ed Unione Europea sono quindi i primi nemici da abbattere per chiunque voglia difendere le condizioni di vita dei ceti popolari e medi, la sovranità popolare, la democrazia politica.
[dal Documento di analisi e proposte del FSI]
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