L’integrazione europea e l’opposizione comunista viste dalla CIA
[Rapporto di intelligence della CIA del 18 aprile 1972, n. 0855/72 – traduzione di EMILIO MARTINES (FSI Padova)]
Sommario
Durante buona parte del dopoguerra, i partiti comunisti dell’Europa occidentale si sono fortemente opposti al movimento di integrazione europea, e in particolare alle Comunità Europee (CE). Solo il Partito Comunista Italiano ha accettato l’integrazione come un fatto a cui adattarsi. Ha cercato e ottenuto una rappresentanza significativa nelle istituzioni comunitarie, con la speranza di aumentare la propria influenza, sia in Italia che nella Comunità.
Il Partito Comunista Francese – l’unico altro partito di dimensioni significative all’interno delle Comunità – è stato per contro sempre legato ad una posizione rigidamente anti-CE che, almeno fino a tempi recenti, anche Mosca ha sostenuto. E’ restato in disparte dalla macchina istituzionale europea e ha cercato di evitare che gli italiani e gli altri partiti comunisti vi partecipassero attivamente. Nella sua opposizione al sovra-nazionalismo il partito francese ha spesso fatto causa comune con i gollisti.
Le differenze di atteggiamento di questi due partiti comunisti difficilmente spariranno di colpo. Ma nel lungo periodo sembra probabile che il punto di vista italiano prevarrà. Via via che sempre più istanze economiche, sociali e politiche verranno gestite al livello europeo, i partiti comunisti – come gli altri partiti – sentiranno la necessità di andare lì dove l'”azione” ha luogo. Analogamente, man mano che l’industria nella comunità allargata funzionerà sempre più su scala multi-nazionale, i sindacati dominati dai comunisti si troveranno a dover competere con i sindacati liberi su scala europea. Ancora più importante, quando Mosca arriverà a riconoscere ed accettare la struttura comunitaria basata a Bruxelles, tutti i partiti comunisti locali, per quanto conservatori, troveranno opportuno seguirla.
“Noi comunisti siamo a favore di un’Europa dove la pace, la sicurezza e la cooperazione prevalgano. Tuttavia, sia che il Mercato Comune consista di sei stati, sia che consista di dieci, esso resterà una ‘piccola Europa’ ridotta ad un gruppo di paesi capitalisti sotto l’influenza di grandi aziende private e sotto la tutela degli Stati Uniti attraverso la NATO. Questa piccola Europa è nata come conseguenza della guerra fredda. Non assicura pace e sicurezza in Europa, ma divide il nostro continente. Non garantisce la nostra indipendenza; al contrario, tende a liquidare la nostra indipendenza.”
Georges Marchais – comunista francese – marzo 1972
“La nostra opposizione (al trattato di Roma) non significava che non riconoscessimo la necessità di una cooperazione economica e politica tra gli stati e le regioni europee. Né, d’altra parte, la nostra opposizione ha mai raggiunto il punto di negare o ignorare la realtà che stava prendendo forma, la realtà di un processo di integrazione economica, anche se questo processo era concretamente controllato da importanti forze monopolistiche americane ed europee.”
Giorgio Amendola, Partito Comunista Italiano – discorso inaugurale di fronte al Parlamento Europeo – marzo 1969
L’evoluzione della posizione comunista
1. Le prime mosse verso l’unificazione europea dopo la seconda guerra mondiale furono aspramente contrastate dai partiti comunisti europei. Tutti seguirono la posizione di Mosca nel rigettare il Piano Marshall e l’agenzia che aveva come compito la sua implementazione, l’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea. Essi ritennero che il programma di aiuti avrebbe portato a una perdita di sovranità nazionale e a un impoverimento della classe lavoratrice, e che il vero obiettivo dell’integrazione fosse l’indebolimento dell’Unione Sovietica.
2. Il movimento della Comunità Europea, che iniziò con la Comunità del Carbone e dell’Acciaio, era pure un anatema per i comunisti. Il partito francese giocò un ruolo di primo piano nell’affossamento della Comunità Europea di Difesa nei primi anni ’50. Nella sua campagna contro la comunità per la difesa comune, l’ideologia marxista, centrata sulla lotta di classe, passò in secondo piano rispetto alla questione emotiva della sovranità nazionale. Fu la curiosa alleanza tra Partito Comunista ed estrema destra ad uccidere il progetto di una comunità per la difesa comune.
3. Quando il Trattato di Roma, che istituì il Mercato Comune, fu firmato nel marzo 1957, i partiti comunisti dell’Europa occidentale ancora una volta sollevarono rumorose obiezioni. Essi videro la CE come un altro strumento statunitense per rinforzare la NATO, per stabilire un controllo monopolistico sulle economie dell’Europa occidentale, e per indebolire l’Unione Sovietica. I comunisti italiani, per esempio, affermarono che la CE sollevava “il grave e realistico pericolo che l’intera economia italiana, eccetto alcuni grandi settori di monopolio, sarebbe stata trasformata in una grande area depressa, con gravi conseguenze per una parte importante della popolazione”. Gli argomenti contro il sovra-nazionalismo furono legati al sentimento anti-tedesco per stimolare il nazionalismo e mobilitare sia la sinistra che la destra contro la Comunità. Ancora una volta, le linee dei partiti comunisti dell’Europa occidentale seguirono quella sovietica.
4. Il ventesimo congresso dell’Unione Sovietica del 1956, nel quale il concetto di differenti vie possibili verso il socialismo fu formalmente accettato, fu di stimolo per le idee divergenti di Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista Italiano. Questo fornì le basi per la successiva evoluzione della posizione del PCI riguardo alla CE.
5. Verso la fine del 1957, nonostante il partito stesse ancora attaccando la CE, il sindacato dominato dai comunisti chiese di riconoscere i possibili benefici dell’integrazione economica, sostenendo che attraverso la partecipazione alla CE tutti i lavoratori europei avrebbero potuto unirsi. Il sindacato francese a guida comunista subito denunciò l’abbandono da parte degli italiani della lotta per la distruzione della CE, ma gli italiani rimasero fermi sulle loro posizioni e portarono la disputa davanti al fronte sindacale internazionale comunista. Alla convenzione sindacale comunista del 1961 gli italiani dichiararono: “Pur criticando il metodo con cui l’integrazione economica viene realizzata e il ruolo dominante giocato dai monopoli, la nostra posizione tiene conto del fatto che il Mercato Comune esiste, e che dobbiamo considerarlo una realtà entro la quale portare avanti una lotta unitaria per proteggere gli interessi dei lavoratori”.
6. Poco dopo che il sindacato italiano assunse questa nuova radicale posizione, la linea del partito italiano iniziò pure a spostarsi. Stimolato dal successo avuto nel resistere alle critiche dei comunisti francesi e dei sovietici relativamente alla sua dottrina divergente, il partito si impegnò completamente nell’adozione di un approccio pragmatico alla CE. Il partito italiano riconobbe che la via migliore per influenzare il corso degli eventi in Italia, e forse alla fine ottenere un ruolo nel governo, era quella di trovare un alleato politico. Di conseguenza, non poté ignorare il forte impegno in favore del Mercato Comune di tutti i suoi potenziali alleati, e il loro convincimento che gli avanzamenti economici dell’Italia erano almeno in parte attribuibili all’appartenenza alla CE. La combinazione di questi fattori indusse un cambiamento nell’atteggiamento del PCI nei riguardi della comunità.
L’anno della divergenza – 1962
7. Nel 1962 la divergenza della visione dei comunisti italiani da quella di tutti gli altri partiti comunisti in relazione alla CE era diventata molto pronunciata. Questo coincise con l’iniziale e sostanziale progresso del Mercato Comune, con i chiari segnali dei vantaggi economici che portava ai suoi membri, e con la decisione della Gran Bretagna di richiedere di diventarne membro. I sovietici, temendo una Europa Occidentale forte unificata intorno ad un asse Parigi-Bonn, organizzarono nell’agosto 1962 una conferenza dei partiti comunisti sul capitalismo moderno. Il partito italiano usò questa conferenza per affermare con forza una politica di graduale rinnovamento della CE attraverso il riconoscimento e la partecipazione. I comunisti francesi continuarono la loro adamantina opposizione alla CE.
8. Alla conferenza l’Unione Sovietica ebbe difficoltà a tenere sotto controllo le opposte visioni di francesi e italiani. I sovietici si unirono ai comunisti francesi nell’attaccare quelli che vedevano come gli obiettivi politici e potenzialmente militari della CE e i suoi presunti effetti disastrosi sui lavoratori, ma fecero anche un cortese inchino ai contributi della CE alla produttività, un parziale riconoscimento della posizione italiana. Khrushchev analogamente ammise “la possibilità di cooperazione economica e pacifica competizione economica, non soltanto tra stati con differenti sistemi sociali, ma anche tra loro raggruppamenti.”
9. La moderata approvazione della posizione italiana fu respinta alla convenzione della Federazione Sindacale Mondiale Comunista nell’ottobre 1962. In quella sede, la questione se la CE dovesse essere trattata secondo le linee guida pragmatiche proposte dagli italiani o in accordo con l’approccio tradizionale dogmatico proposto dai francesi fu risolta in favore dei francesi. Il sindacato italiano, tuttavia, si astenne ostinatamente dal votare la mozione della conferenza. In aggiunta, ottenne la decisione della federazione di stabilire a Bruxelles un ufficio del lavoro, consistente di rappresentanti dei sindacati italiani e francesi e di un sindacato del Lussemburgo, per “rapportarsi” con la CE. I sindacati francese e lussemburghese successivamente si tirarono fuori dall’accordo, ma gli italiani aprirono l’ufficio e, per la prima volta, iniziarono un dialogo fra un’organizzazione gestita da comunisti e la CE.
10. Gli eventi del 1962 in larga parte stabilirono lo schema delle relazioni del partito comunista con le Comunità Europee per gli anni seguenti. Nonostante l’intransigenza dei comunisti francesi, il partito e il sindacato italiani iniziarono una attiva ricerca di rappresentanza nella CE. Nel 1963, ad un incontro tra i partiti comunisti dei paesi comunitari, il partito francese riuscì nuovamente ad evitare che gli italiani costruissero un fronte comune comunista per interagire con la CE. Solo i comunisti belgi, forse anche a causa della localizzaione del quartier generale della CE a Bruxelles, e a causa del fatto che l’irrigidimento francese era diventato troppo statico, sostennero l’appello italiano per un’azione unificata delle forze comuniste, socialiste e cattoliche per riformare la comunità.
Mosse di riavvicinamento
11. Il contrasto tra gli atteggiamenti dei partiti italiano e francese nei confronti delle Comunità Europee durante i primi anni ’60 era in parte una conseguenza delle rispettive leadership e in parte un riflesso delle situazioni interne. Per vari decenni entrambi i partiti erano stati sotto il controllo di uomini forti – Palmiro Togliatti in Italia e Maurice Thorez in Francia. Ciascuno dei due guidava un grande e forte partito in competizione per un ruolo di preminenza in Europa occidentale. Thorez seguì la linea di Mosca per portare avanti il suo obiettivo di leadership. Togliatti, pur seguendo anch’egli Mosca, adottò l’approccio pragmatico e diversificato richiesto dalle sue aspirazioni in ambito italiano. I due erano antagonisti, personalmente e ideologicamente, e quando entrambi morirono, nel 1964, i partiti proseguirono la loro disputa ideologica.
12. Quando Khrushchev perse il potere nel 1964, i due partiti reagirono alla nuova leadership a Mosca in modi caratteristicamente differenti. Il partito francese, dopo una leggera esitazione, accettò la caduta di Khrushchev; gli italiani ritardarono la loro “approvazione” finale. Ma al contempo i francesi iniziarono a dimostrare maggiore flessibilità. In politica interna, per esempio, nel 1965 il loro debole accordo di azione congiunta con altri partiti di sinistra si sviluppò in una alleanza con la sinistra non comunista contro De Gaulle nelle elezioni presidenziali. Questa coalizione fornì al partito francese una via di fuga dall’isolamento di cui aveva sofferto a partire dalla sua esclusione dal governo nel 1947.
13. Il partito francese modificò leggermente la sua posizione anche in politica estera. Agli incontri con il partito italiano nel 1965 e nel 1966, accettò il principio di diversità degli italiani, almeno fino al punto di riconoscere la possibilità di una collaborazione tra i due partiti sulle questioni regionali europee. I sovietici furono probabilmente acquiescenti a questo leggero cambiamento nella posizione del partito francese, perché erano alla ricerca di alleati “indipendenti” nella loro disputa con i cinesi. La nuova leadership del partito francese potrebbe anche avere così placato la sua organizzazione giovanile, che aveva apertamente sostenuto la posizione italiana riguardo alla CE.
14. In pratica, questo riavvicinamento limitato non ebbe quasi nessun effetto sulle attività del partito francese nelle comunità. Il sindacato comunista francese raggiunse gli italiani nell’ufficio del lavoro a Bruxelles, e l’ufficio fu più tardi riconosciuto ufficialmente dalla Commissione della CE. Ma questa operazione rimase perlopiù italiana. Anche se nel 1969 il governo francese nominò dei sindacalisti comunisti in un gruppo di consulenza della CE sul libero movimento dei lavoratori, i comunisti francesi – al contrario di quelli italiani – devono ancora ottenere una rappresentanza nel ben più importante Consiglio Economico e Sociale. E, cosa ancora più importante, Parigi non ha nominato comunisti nel Parlamento Europeo, mentre sei membri del Partito Comunista Italiano – nominati dal governo italiano – vi hanno seduto per quasi tre anni.
15. Il “compromesso” raggiunto dai partiti italiano e francese nei loro incontri del 1965-66 non significò ovviamente una “conversione” agli stessi obiettivi europei di coloro che proposero la comunità. All’incontro del 1966 i due partiti dichiararono: “I comunisti intendo condurre la loro lotta all’interno delle istituzioni europee allo scopo di evitare che l’integrazione blocchi quelle riforme democratiche come le nazionalizzazioni che i singoli stati vogliano portare avanti. Intendono battersi per una politica differente da quella dei cartelli e dei trust, in modo che le istituzioni del Mercato Comune perdano il loro carattere tecnocratico, attraverso la partecipazione attiva di rappresentanti dei sindacati e dei parlamenti nazionali investiti di potere reale e senza che avvengano discriminazioni nei loro confronti.”
16. Sia i francesi che gli italiani hanno argomentato in modo convincente contro il concetto di una comunità chiusa che potrebbe fornire le fondamenta per un blocco anti-sovietico. Per il resto, i comunisti non si sono espressi, né riguardo alle politiche comunitarie in essere, né in relazione a qualunque ulteriore consolidamento di autorità e competenze a livello europeo. Se tuttavia le comunità dovessero fornire maggiori opportunità ai partiti di otterene i loro obiettivi “sociali” rispetto a quelle consentite dai rispettivi governi nazionali, i comunisti potrebbero adottare un atteggiamento molto più favorevole all’Europa. Essi hanno anche argomentato a favore di una diluizione della comunità rendendola uno strumento di cooperazione allargata all’intera Europa.
17. I partiti francese ed italiano sono, in base alle loro politiche dichiarate, impegnati in una “democratizzazione” della CE. Essi intendono con questo che tutte le forze politiche, inclusi i comunisti, devono essere rappresentate nella comunità. Per raggiungere questo obiettivo, essi sono a favore di un’elezione diretta del Parlamento Europeo – l’istituzione con poteri consultivi i cui delegati sono, nel sistema attuale, nominati dai governi nazionali prendendoli dai rispettivi parlamenti. Poiché l’attuale governo francese non ha alcuna intenzione di offrire al partito francese una quota di seggi nel Parlamento Europeo, l’elezione diretta potrebbe significare un guadagno netto per la rappresentanza comunista. Tuttavia, se le elezioni contribuissero ad un complessivo rafforzamento delle istituzioni europee – come molti loro sostenitori credono – il potere che i comunisti attualmente detengono in Italia e Francia risulterebbe ridotto a livello europeo a causa della debolezza dei comunisti negli altri paesi comunitari. Rafforzare le istituzioni europee non aiuterebbe i comunisti nel loro sforzo di mantenere le comunità “aperte” verso l’est.
18. Il comportamento della delegazione dei comunisti italiani nel Parlamento Europeo ha finora fornito poche indicazioni riguardo all’effetto che una presenza comunista allargata potrebbe avere. La delegazione è troppo piccola per permetterle di qualificarsi, secondo le regole del Parlamento, come gruppo parlamentare in grado di proporre politiche e posizioni in modo autonomo. I delegati si sono generalmente uniti ai loro colleghi italiani non-comunisti nella difesa degli interessi industriali e agricoli italiani quando questi sembravano messi in pericolo dal processo di integrazione. Hanno anche votato contro gli accordi di associazione della CE con Tunisia e Marocco, sostenendo che tali accordi avrebbero dovuto essere approvati dai parlamenti degli stati membri, non da agenzie “europee”. Giudicando sulla base della limitata esperienza attuale, l’aspirazione alla rispettabilità e la sensibilità ad interessi specifici potrebbero nel lungo termine diventare tanto importanti quanto l’ideologia nel determinare come i comunisti si schiereranno su specifiche tematiche comunitarie.
Gli anni ’70 – Verso un fronte unitario?
19. L’integrazione europea darà luogo negli anni ’70 a sfide formidabili per i partiti comunisti occidentali. Tra le questioni che dovranno affrontare ci sono: come influenzare le Comunità Europeee man mano che esse non solo si allargano ma procedono dalla cooperazione econimica verso una più stretta cooperazione politica, di politica estera, e forse militare; come stabilire una efficace cooperazione con altri partiti della sinistra per tentare di influenzare lo sviluppo delle comunità; come assicurarsi un ruolo guida nelle organizzazioni sindacali estese a livello europeo; e, infine, come adattarsi alle relazioni in evoluzione fra un’Europa occidentale in via di unificazione e i paesi dell’Europa orientale – sia nel contesto immediato della prevista Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa che sul lungo periodo.
20.Al momento, tutti i partiti comunisti eccetto quello italiano si oppongono all’allargamento della CE. Il partito francese è particolarmente caustico nel denunciare l’ingresso della Gran Bretagna, sollevando lo spettro di una incombente sovra-nazionalità e di un “prolungato” dominio americano in Europa. Anche tutti i partiti comunisti dei paesi candidati, incluso il partito britannico in tandem con il partito laburista, si oppongono all’ingresso nella CE. Soltanto gli italiani vedono potenziali benefici in una combinazione di forze laburiste e di sinistra all’interno della CE.
21. Se le opportunità saranno così grandi come anticipato dal partito italiano dipende da come evolverà la comunità. La comunità esistente, pur contribuendo senza dubbio ai guadagni economici nazionali che l’Italia ha ottenuto negli anni recenti, non è stata di grande aiuto nel risolvere i problemi economici e sociali regionali che sono un fattore determinante nella persistente forza del partito italiano. L’allargamento della CE potrebbe anzi aggravare i problemi di alcuni settori industriali e di alcune regioni geografiche. D’altra parte, l’allargamento potrebbe rendere possibile per la CE l’adozione di politiche industriali, regionali e sociali che distribuiscano in maniera più equa i vantaggi economici e portino avanti questioni locali care ai comunisti. Molti europeisti italiani ritengono infatti che la fuga dal presente malessere del governo nazionale italiano risieda in una doppia devoluzione di autorità – in basso verso le regioni e in altro verso le istituzioni europee.
22. Ciò che accadrà nell’area delle organizzazioni sindacali europee è particolarmente importante per i comunisti. Con i sindacati non-comunisti ancora divisi sia nell’arena europea che in quella internazionale, un fronte del lavoro unito – a guida comunista – presenta notevoli attrattive. I sindacati liberi della comunità hanno fatto solo flebili mosse nella direzione di una contrattazione collettiva trans-nazionale. Ma i comunisti hanno i loro problemi locali. Le prospettive di una unificazione dei sindacati comunisti e non-comunisti in Italia, cosa che avrebbe potuto ispirare una simile tendenza a livello europeo – sembravano piuttosto buone pochi mesi fa, ma le tensioni sorte intorno alla campagna elettorale italiana hanno ancora una volta portato a rimandare qualunque azione in tal senso.
23. Soprattutto, l’atteggiamento dell’Unione Sovietica nei confronti della CE continuerà ad orientare pesantemente il ruolo dei partiti comunisti nell’organizzazione. La proposta di Mosca di una Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, parzialmente motivata dalla volontà dei sovietici di rallentare l’avanzamento dell’integrazione nell’Occidente, è stata diligentemente sostenuta da tutti i partiti dell’Europa occidentale. I partiti comunisti sono stati anche coinvolti negli sforzi sovietici per raccogliere sostegno per questa conferenza. Varie proposte di “conferenze del popolo” sono concepite per servire da veicolo per attività da “fronte unito”, che potrebbero essere utili sia internamente che internazionalmente.
24. Se Mosca riconoscerà la “realtà” delle Comunità Europee – come il discorso di Brezhnev del mese scorso suggerisce – la maggior parte dei partiti comunisti occidentali dovrà riesaminare le proprie posizioni. Fino a gennaio scorso, i partiti francese, britannico, danese, norvegese, della Germania Ovest, olandese, austriaco e finlandese denunciavano tutti le comunità e la loro progettata espansione. Solo gli italiani e i belgi affermavano che l’abolizione della CE non era più la questione sul tappeto. Le implicazioni di uno spostamento della posizione sovietica sarebbero particolarmente importanti per il caso del partito francese. Ma sarebbero significative anche negli altri paesi – in Gran Bretagna, ad esempio, dove i comunisti sono stati un fattore importante della posizione anti-CE del Congresso dei Sindacati, e in Finlandia dove i comunisti sono stati impegnati ad organizzare la campagna contro qualunque accordo di associazione con le comunità.
25. L’accettazione della CE da parte di Mosca potrebbe anche avere conseguenze sulla relazione tra partiti comunisti e non-comunisti. Il particolare europeismo di De Gaulle – indipendente e nazionalista – ha spesso incontrato il favore di Mosca, ed ha quindi contribuito ad assicurare un Partito Comunista Francese più quieto. Via via che Pompidou ha lentamente modificato il concetto europeo di De Gaulle, tuttavia, i mugugni della sinistra comunista, così come dell’ultra-destra, sono diventati sempre più forti. Se Mosca dovesse adesso accettare la “realtà” della CE, il partito francese dovrebbe rinfoderare i propri artigli.
26. D’altro canto, l’opposizione del partito francese alle comunità è stata per lungo tempo un ostacolo all’emergere di una coalizione anti-Pompidou nella sinistra. Anche se i comunisti francesi – dopo visibile agitazione – hanno deciso di fare campagna per il “no” e i socialisti per l’astensione nel referendum francese sull’ingresso della Gran Bretagna, una nuova posizione sovietica sulla CE potrebbe contribuire a ridurre il divario fra le posizioni dei due gruppi. Un tale cambiamento da parte di Mosca potrebbe portare anche i più intransigenti tra i partiti occidentali a rivedere le proprie posizioni, per paura di essere considerati, loro invece degli italiani, fuori dallo schieramento.
“La stampa fa ampi commenti sull’affermazione di Leonid Brezhnev che l’Unione Sovietica non ignora la reale situazione dell’Europa Occidentale, particolarmente l’esistenza di un raggruppamento economico di paesi capitalisti quale è il Mercato Comune. Io, da parte mia, voglio enfatizzare che questa affermazione è un’indicazione del profondo realismo della politica estera sovietica.
Noi comunisti francesi teniamo pure in considerazione l’esistenza di questa organizzazione. Ad un certo punto chiedemmo anche che rappresentanti dei partiti comunisti dei paesi dell’Europa Occidentale partecipassero alle assemblee del Mercato Comune. Questo, ovviamente, non allo scopo di sostenere le politiche dei monopoli capitalisti, ma per combatterle più efficacemente.”
Jacques Duclos – Partito Comunista Francese, dopo il discorso di Brezhnev
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