Vi spiego il reddito di cittadinanza
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Il reddito di cittadinanza non è altro che la “Jobseeker’s Allowance” inglese, cioè un sussidio di disoccupazione erogato agli iscritti alle liste di collocamento e che si interrompe temporaneamente in caso di rifiuto dell’offerta di lavoro e definitivamente o comunque per un lungo periodo dopo un numero dato di rifiuti (sono tre nel caso inglese, in cui vengono erogati circa 400 euro al mese a cadenza bisettimanale). Questa è la formulazione più ricorrente che sento e leggo dai promotori di questa misura nella versione italiana del reddito di cittadinanza.
Questi sussidi – come è prontamente rilevabile dall’osservazione dei diversi paesi che li hanno adottati prima di noi – svolgono la peculiare funzione di agevolare la deflazione salariale, abbassando i redditi e inducendo le imprese, nel regime di flessibilità che sia sta determinando grazie a precise scelte politiche, a offrire salari pari o poco superiori al reddito minimo, obbligando i disoccupati alla corsa al ribasso per non perdere il diritto all’assegno.
In Italia avremmo certamente bisogno di una misura per contrastare le condizioni di povertà, essendo l’unico paese europeo a non essere dotato di strumenti di lotta alla povertà che prevedano fondi nazionali per le erogazioni monetarie in favore degli svantaggiati. Questi strumenti ridurrebbero anche il numero di individui che ricorre abusivamente all’assegno di invalidità civile, il cui abuso – come rilevato dalla vasta letteratura scientifica sul tema – è evidentemente incentivato proprio dalla mancanza del paracadute dell’assegno sociale.
Tuttavia, va osservato che le misure di lotta alla povertà dovrebbero svolgere un compito il più possibile marginale e residuale, in un contesto che promuova la piena occupazione attraverso la spesa pubblica. In altre parole, sarebbe preferibile spendere denaro pubblico per dare lavoro vero, anziché un sussidio a chi non fa nulla. Sfido chiunque a sostenere il contrario: perché mai l’erogazione di un sussidio di X euro al mese in favore di un disoccupato dovrebbe costituire un’allocazione di risorse più efficiente e razionale di uno stipendio di X euro al mese erogato a un lavoratore pubblico? Assunto che i costi in termini di spesa pubblica sarebbero equivalenti, perché dovrei preferire la scelta di pagare un cittadino per non far nulla piuttosto che formarlo e dargli un lavoro vero?
Alternativamente, cioè nella formulazione proposta di reddito di cittadinanza, stiamo aprendo la strada a un modello che giustifica e promuove un elevato livello di disoccupazione con un esercito di poveracci sussidiati e formati per ruotare nei centri per l’impiego come merce low-cost da impiegare alla bisogna nell’industria privata. Basta studiare i modelli esistenti per capire quale sarà il nostro futuro se si dovesse percorrere inerzialmente questa strada.
La contestuale riduzione della stabilità lavorativa e l’eliminazione delle protezioni contro i licenziamenti ingiusti produrrà quasi certamente un gran numero di espulsioni strategiche, formando un esercito industriale di riserva di lavoratori che verranno riassorbiti dalla stesse imprese a salario calmierato una volta rientrati nel sussidio del reddito di cittadinanza. Cioè, in altre parole, il reddito di cittadinanza è un “reddito di sostituzione” e contribuirà a impoverire la classe media dei lavoratori salariati, già colpiti dalla precarizzazione, che vedranno erodere il loro patrimonio, mentre molti disoccupati incapienti semplicemente riceveranno un sussidio che però verrà compensato dalla riduzione o eliminazione degli altri sussidi e sgravi di cui godono e dunque per le classi più povere sarà presumibilmente una misura neutra.
In aggiunta a ciò, mi preme evidenziare come le autorità europee per conto dei loro emissari abbiano già lanciato avvisaglie all’Italia precisando che qualsivoglia politica di welfare andrà adottata nel rispetto del principio del pareggio di bilancio, cioè tagliando la spesa pubblica per un ammontare almeno pari al costo della misura e che, in caso contrario, saremo nuovamente oggetto degli attacchi speculativi che nel 2011 hanno portato un governo tecnico sponsorizzato dalla Troika al comando del paese, con le conseguenze abbiamo sperimentato tutti sulla nostra pelle.
Insomma, se chi propone l’adozione di queste misure fosse davvero intellettualmente onesto, dovrebbe ammettere che dentro l’Unione Europea qualsivoglia politica pubblica che preveda deficit spending è improponibile e che, pertanto, o si esce dall’UE per attuare quanto promesso, o si resta legati ai vincoli dei trattati e allora le promesse elettorali saranno solo parole al vento.
* Articolo scritto nel maggio 2017
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