Non possiamo non dirci socialisti
di Luciano Fuschini
Propongo una definizione di Socialismo che, se accettata, estenderebbe l’area di applicazione di questo termine così centrale nella storia contemporanea. Credo che si possa parlare di ideale socialista quando vengono soddisfatte queste tre condizioni: 1) uguaglianza fra tutti gli esseri umani; 2) prevalenza degli interessi collettivi su quelli individuali; 3) giustizia distributiva.
Il marxismo persegue il primo obiettivo attraverso la lotta di classe, col fine di pervenire a una società di liberi e uguali, senza discriminazioni di condizione sociale; fa prevalere gli interessi collettivi attraverso la pratica dello statalismo collettivista nelle esperienze storiche del comunismo e attraverso la programmazione economica del sistema misto statale e privato nell’esperienza socialdemocratica; persegue la giustizia distributiva in un’ottica di ugualitarismo nella logica comunista e attraverso l’uso dello strumento fiscale nelle strategie socialdemocratiche.
A torto si ritiene comunemente che il marxismo, nelle sue derivazioni comuniste e socialdemocratiche, nonché con tutto il suo armamentario di derivazione materialista e illuminista, progressista e scientista, sia la sola forma di socialismo. Esistono invece altre correnti di pensiero che, accettando lo schema di riferimento dei tre punti di cui sopra, possono definirsi a pieno titolo “socialiste”. Una è il socialismo cosiddetto utopistico. Per esso l’uguaglianza fra tutti gli esseri umani è un presupposto, una petizione di principio; la prevalenza degli interessi collettivi su quelli individuali viene prospettata non attraverso lo statalismo pianificatore ma attraverso una rete di organizzazioni popolari autonome, sindacati, cooperative, società di mutuo soccorso, che garantiscano anche la giustizia distributiva. Anarchismo e mazzinianesimo, pur diversissimi fra loro, hanno punti di contatto con questo socialismo “libertario” e autogestito.
Un terzo grande filone del pensiero socialista, anche se ha preferito definirsi attraverso termini come corporativismo, solidarismo o comunitarismo, è quello del cattolicesimo popolare e democratico. È giusto e naturale che ci siano profonde differenze nei ruoli sociali e nei livelli di reddito, ma l’uguaglianza di valore della persona, uomo e donna, povero e ricco, è garantita dalla presenza in ognuno di una scintilla divina, di un’anima che ci rende fratelli; la prevalenza degli interessi collettivi si verifica per la stessa via chiarita a proposito del socialismo “utopista”: organizzazioni autonome di base, casse di mutuo soccorso, centri di produzione e commercio autogestiti, cooperative bianche, difesa della piccola proprietà contadina consorziata; la giustizia distributiva è il risultato della pratica della carità cristiana, del volontariato, dello spirito del dono nello scambio. Quanto detto per il cristianesimo sociale vale anche per l’altro grande monoteismo, l’islam.
Infine una linea “socialista” è evidenziabile anche nel fascismo. Non nego affatto il ruolo storico assunto dal fascismo a difesa degli agrari, degli industriali, dell’alta finanza, per le compromissioni con le centrali del potere economico, col Vaticano e con la Corte dei Savoia. Però non è lecito accantonare come insignificante quella linea rossa che attraverso tutto il fascismo lega la Carta del Carnaro di De Ambris (dannunziano ma fiancheggiatore del nascente fascismo) lodata da Lenin, il programma rivoluzionario del fascismo sansepolcrista, il Mussolini che tuonava contro le demoplutocrazie e per l’Italia proletaria, l’ideale corporativo su cui tanto si spese Bottai, infine il programma sociale molto avanzato di Salò. Liquidare questo filone del fascismo come semplice propaganda insignificante, è stato un errore della storiografia di sinistra, incapace così di cogliere il fenomeno fascista in tutta la sua complessità. Il fascismo fu senza dubbio ferocemente antimarxista ma non estraneo al grande mare del socialismo. La prima condizione sembra non essere soddisfatta, in quanto il fascismo, tutto il fascismo, anche quello più antiborghese, aveva una concezione “eroica” e fortemente gerarchica. Però il presupposto dell’uguaglianza veniva recuperato attraverso il nazionalismo. L’italianità era il carattere che dava al bracciante analfabeta lo stesso valore umano del docente universitario. Quanto alla prevalenza del collettivo, lo statalismo fascista assunse forme culturali singolarmente simili a quelle del comunismo sovietico: stesse modalità di conquista del consenso, stesse organizzazioni di massa, dai pionieri sovietici ai balilla fascisti, stesse tecniche di mobilitazione (il sabato fascista aveva il corrispettivo perfetto nel sabato comunista), una retorica che espresse lo stesso stile architettonico, la stessa monumentalità e iconografia. Infine, la giustizia distributiva fu preoccupazione del regime mussoliniano, che vantò non senza ragione la sua politica sociale di tipo assistenziale.
Si potrebbe obiettare che in questo modo quasi tutte le grandi correnti di pensiero contemporanee vengono indebitamente ricondotte a un vago ideale socialista. In realtà il socialismo, anche nei caratteri generalissimi su cui ho insistito, è oggi drammaticamente minoritario. La concezione del mondo dominante è antitetica rispetto ai tre punti da me proposti: esalta una meritocrazia in cui il criterio di selezione è il successo negli affari e nella competizione economica, escludendo eguaglianza e solidarietà; enfatizza i diritti individuali su quelli collettivi; crea un sistema nel quale la forbice fra i redditi più elevati e quelli più bassi si allarga sempre più.
Oggi si pongono problemi nuovi, legati all’estrema decadenza anche morale del capitalismo, determinati dalla preponderanza degli aspetti finanziari nella logica del sistema, complicati dai dissesti ecologici e dall’esplosione demografica. Tuttavia qualunque ipotesi di risanamento dal disastro di civiltà che incombe non può prescindere dal recupero dei grandi ideali socialisti, non circoscrivibili al marxismo.
Facebook talvolta dà luogo a dialoghi pacati e interessanti. Mi è accaduto di postare l'articolo di Luciano Fuschini e di dialogare con Rodolfo, che invero mi ha partecipato limitandosi a sollevare la domanda iniziale, e Vincenzo Di Maio.
Come breve introduzione al post avevo collocato una frase che voleva essere ironica:
Stefano: L'unica democrazia dell'alternanza che accetterei è quella che vede confontarsi il Partico comunista della nazione italiana contro il partito socialista della nazione italiana. Se deve esservi alternanza è ovvio che gli altri partiti devono essere banditi! Comunque ogni cittadino sarebbe libero di iscriversi all'uno o all'altro partito!
E' seguito questo dialogo.
Rodolfo: E tu dove ti iscriveresti? :-P
Vincenzo: Beh in realtà secondo me il 'partito' sarà comunque unico, e di certo non sarà ideologico ma pratico, allo stesso tempo eticamente fondato, moralmente strutturato nella società e religiosamente orientato a quella onnipresente tradizione culturale dei tempi prima del colonialismo.
Vincenzo: La tradizionalizzazione avrà una sua centralità come il pensiero socialista non è stato altro se non un'astrazione concettuale di forme di organizzazione sociale che era già presente nel medioevo all'interno dei borghi e delle città del Sacro Romano Impero Germanico di Federico II di Svevia…
Vincenzo: Le ideologie politiche e le loro identità genealogicamente 'borghesi' son l'origine e il principio della frammentazione sociale e dell'incapacità dei popoli di reagire 'tradizionalmente' al sistema uniformante della globalizzazione angloamericana a trazione finanziaria israeliana
Stefano (rispondendo a Rodolfo): io mi iscriverei al partito comunista se fosse prevista la nazionalizzazione soltanto delle grandi banche e delle grandi imprese e fosse consentito il lavoro autonomo e il piccolo commercio; altrimenti al partito socialista. Insomma, non vedo eliminabile del tutto il lavoro autonomo (non vedo perché eliminarlo, fondato essenzialmente sulla persona del lavoratore e al più un piccolo capitale. Nè credo nella cooperazione obbligatoria. Quindi innuna certa piccola misura il lavoro subordinato nei confronti dei privati rimarrebbe, sia pure con tutte le tutele possibili.
Stefano: Le cose che scrive Vincenzo sono interessanti e piacerebbero molto all'autore dell'articolo, il bravissimo Luciano Fuschini. Potrei anche concordare, visto che una parte di me è antimoderna. Ma come riassumerà (addirittura) centralità la tradizione? Non è facile nemmeno immaginare il percorso ipotetico. Come accadrà ciò che ipotizzi?
Vincenzo: non ho mai sentito un partito comunista che parla di riforme…
Vincenzo (con riferimento alla mia risposta a Rodolfo): nei contenuti non c'è niente da dire, anche se l'uso della definizione 'cooperazione obbligatoria' è fuorviante :
Vincenzo (rispondendo a me): Con la volontà generale, intesa nel senso reale di Rousseau, ossia che non per forza deve rappresentare la volontà di tutti ma le ispirazioni di quel tempo sicuramente. E nel nostro presente l'Illuminismo è decadente e si tende tutti a superarlo con la post-modernità ma che in realtà ancora vi siamo legati mentalmente….
Stefano: che cosa è l'illuminismo mi è piuttosto chiaro, sia pure nella complessità del fenomeno. Che cosa è la postmodernità un po' meno. Almeno se la contrapponiamo all'illuminismo
Vincenzo: Per emergere una volontà abbiamo bisogno prima di tutto di organizzare compagini di uomini e di donne ingaggiandoli proprio come farebbe un esercito, un esercito 'prima di tutto' nonviolento e sicuramente etico, civico e solidale che nella pratica mette in pratica un progetto fondato sui valori profondi delle tradizioni popolari dell'Eurasia, e quindi per forza di cose interculturale, interetnico e interreligioso che diventa fondamento di una giurisprudenza strutturata come il diritto romano, ossia che queste religioni, in virtù della loro emanazione etica e morale del loro minimo comun denominatore, diventano di fatto il fondamento giuridico di una tale visione di 'questo Stato' di transizione, in cui appunto prevale la parità tra tutti gli appartenenti alla specie umana, gli interessi collettivi su quelli individuali così come la giustizia distributiva, in cui vigono 5 classi fondamentali come nella concezione sociale di Confucio che ricorda anche la 'repubblica di Platone': 1. contadini; 2. artigiani; 3. guerrieri; 4. sapienti; 5. imperiali, la cui corte è formata per merito di uomini elevati spiritualmente, dei Jun Zi, una nobiltà non ereditabile proveniente dalle altre restanti 4 classi…
Stefano: Molto bello. Non si può che aderire. Ma l'ostacolo è l'individualismo, che nella postmodernità è addirittura divenuto narcisismo di massa. Ciò che dici richiede una disciplina nel senso più alto e nobile del termine. Comunque, forse sotto la spinta della necessità e di qualche grande personalità da qualche parte dell'eurasia ci si incamminerà nella direzione che indichi. Quando in qualche luogo si crea un precedente positivo, tutto diviene più semplice.
Vincenzo: La post-modernità è una continuazione dell'Illuminismo, come anche lo era la prima modernità, che alcuni fanno coincidere con la prima, la seconda e la terza rivoluzione industriale, uno stile di vita 'metropolitano' fondato sull'espropriazione di uomini e risorse delle campagne, proprio come i borghi medievali di quei mercanti, commercianti e usurai che andarono a formare il famoso Partito dei Guelfi, che vinse sulla visione del mondo del pratico ordine sociale dell'altro partito di massa interclassista, ossia quei Ghibellini medievali che dalla loro sconfitta nacque il 'monopotere' economico del loro ordine sociale borghese, un'ordine sociale Guelfo inaugurato con il rinascimento e con il loro espansionismo coloniale che è all'origine stessa dell'Illuminismo prima e del Modernismo, Neomodernismo e Post-modernismo che struttura questo sistema economico capitalista secondo una rete mondiale di sfruttamento dalla campagna alle città alle metropoli come dai paesi di periferia, semiperiferia e centro di questa globalizzazione angloamericana.
Vincenzo: Si infatti, se tutto viene posto sotto stretto controllo generale affinchè si possano evitare delle defezioni, questo caos calmo diventerà il processo di una fenomenologia emergente che tenderà a strutturare ogni pezzo mancante del complesso finale, sperimentabile appunto in Eurasia!
Sono seguiti i saluti
Premesso che non ho mai letto scemenze più grandi di quelle vergate dal Di Maio,
vorrei solo far notare che l'accostamento del "marxismo" (chiamiamolo così, per capirci) con le altre esperienze indicate da Fuschini è un accostamento del tutto improprio, che potrebbe portare a conclusioni strane e mostruose.
Sono tre i caratteri distintivi più significativi:
1) la società comunista per Marx-Engels non è una società fondata sull'Eguaglianza. Questa semmai è il fondamento del capitalismo, che si basa appunto sull'eguagliamento formale tra proprietario e non proprietario dei mezzi di produzione. La società comunista è invece basata sulla Libertà: il libero sviluppo della (delle) personalità, il dispegarsi di tutte le facoltà dell'individuo, questo è il fine del comunismo. Capito? Libertà, personalità, individualismo… e chi pensa che il capitalismo valorizzi questi elementi non è mai stato in un call center. Questo è il marxismo. Apprezzate la siderale distanza con gli altri "socialismi".
2) "Niente è più facile che coprire di una vernice di socialismo l'ascetismo cristiano". Marx. Uno dei punti forti del movimento comunsita novecentesco è l'accento posto sullo sviluppo delle forze produttive, sviluppo che il vecchio regime non è in grado di assicurare. Chi crede che il capitalismo assicuri un adeguato sviluppo delle forze produttive vada a ripeterlo in Zambia o in Guatemala. L'afflato produttivistico, premessa del superamento della condizione di miseria delle genti, manca del tutto nei comunitarismi tradizionali, come quello cattolico e islamico, e non solo perché queste tradizioni precedono di secoli la rivoluzione industriale. Il fatto è che le religioni nascono come giustificazione simbolica (con speranza di redenzione, a volte) della miseria terrena, e in quanto tali sopravvivono proprio in virtù di tale miseria. La loro stessa struttura logica le condanna. Pensate al comandamento "aiuta i poveri", oppure allo Zakat islamico. è evidente che questi obblighi, per essere assolti, presuppongono la presenza di poveri nel mondo. Ma allora un ordine di cose che renda possibile l'eliminazione concreta della povertà dalla terra rende impossibile obbedire la comandamento rivelato! Da qui si comprende la funzione funesta esercitata da questi "socialismi tradizionali", e la loro irriducibile opposizione al marxismo.
3) e veniamo al Fascismo. Fuschini afferma che di fronte al "disastro di civiltà che incombe" "non può prescindere dal recupero dei grandi ideali socialisti, non circoscrivibili al marxismo." Dato che nei passi precedenti si afferma che fra i socialsimi si deve annoverare l'opera di Mussolini, ne consegue che, oggi, di fronte al capitalismo morente, non si può prescindere dla recupero del Fascismo. Sorge spontanea una domanda: e perché fermarsi al "socialista" di Predappio, quando in tutto il mondo ancor più celebri sono le gesta del "socialista" di Branau am Inn? Forse che il Partito Nazionalsocialista del Lavoratori Tedeschi non è un fulgido esempio di "socialismo non marxista"? e allora, perché non "recuperarlo"? Ma sarebbe ingeneroso procedere su questo piano. Analizziamo la cosa più da vicino, magari con lenti marxiste (tié!). Ora, è indubbio che il Fascismo ha importato lo stato sociale in Italia, né più né meno. Oltre agli esempi citati da Fuschini si possono ricordare l'istituzione della magistratura del lavoro, ancora oggi unico freno alle scorribande dei vari Marchionne, e la giornata lavorativa di otto ore. I più superficiali deducono da tutto questo un inedito Mussolini "di sinistra". In realtà, basterebbe aprire un libro di sotria per sucole superiori per scoprire che l'ispiratore delle politiche sociali del fascimo non è Marx, ma Bismarck (inventore fra l'altro dell'assistenza previdenziale). Le origini del "socialismo" fascista non vanno cercate nelle lotte operaie, quanto nel "comunitarismo di guerra" creato ad arte dalle borghesie imperialiste per convincere i proletari a indossare la divisa e seppellirsi nelle trincee. Sì, lo stato sociale trova i suoi embrioni nella Germania guglielimina, interessata a coinvolgere le masse popolari nella sua politica sciovinista e aggressiva, e il suo vero abttesimo con la Prima Guerra mondiale, laddove la mobilitazione generale imposta dallo sforzo bellico non consente il perduare dell'dioso razzismo verticale tra classi dirigenti e classi popolari. Non a caso è nel paese in cui più che altrove questo razzismo si mantiene, la Russia zarista, che il fronte interno crolla. Il Fascismo, in quanto partito della guerra e della rivincita, lo sa; e sa che per rilanciare il proprio imperialismo, sulla base di un rinverdimento della tradizione coloniale, è indispensabile mobilitare e irregimentare le masse, col bastone ma soprattuto con la carota (sociale). Come aveva capito Gramsci, scopo ultimo del fascismo è la guerra, ma allo stesso tempo il fascismo non è in grado di preparare adeguatamente alla guerra il paese. Per farlo, il Duce avrebbe dovuto modernizzare l'agricoltura, meccanizandola e collettivizzandola; avrebbe dovuto industrializzare davvero il paese, con la parteciapzione attiva della classe operaia; avrebbe dovuto eradicare l'analfabetismo, ecc. Avrebbe dovuto insomma sovvertire i rapporti sociali parafeudali di allora, comportandosi da… Stalin! Ora è chiara la contraddizone che inntrappolava il Fascismo: per raggiungere i suoi scopi, il Duce avrebbe dovuto promuovere quella Rivolzuine che il Re gli aveva commissionato di impedire!
4) Riassumendo, i socialismi evocato da Fuschini sono: a) una serie di chiacchere da intellettuali filantropi "utopisti", ridicolizzati a suo tempo da Marx-Engels e combattuti aspramente anche da Mazzini; b) una serie di comunistarismi tradizonali, reazionari, antiqueti e oppressivi, che traggono fondamento dalla miseria di cui poi forniscono giustificazione consolazione; c) un feroce e spietato imperialsmo razzista, che per raggiungere i suoi laidi fini deve rendere prorpia complice la carne da cannone proletaria a colpi di concessioni, mancette e e "colonie elioterapiche".
Se questi sono i pilastri dell'unità anti-capitalistica, ragazzi, sappiatelo, io sto coi capitalisti!!!
Concordo al 99% con quanto scritto da Martini.
Solo un piccolo appunto riguardo al cosiddetto "filantropismo cristiano". Ciò che ha scritto Martini è esatto, la giustificazione nel regno dei cieli è la giustificazione per il dominio sulla terra,ma è esistito anche "un altro" cristianesimo. La cosiddetta "teologia della Liberazione" che univa fede e giustizia sociale, cristianesimo e MARXISMO e non a caso fu ed è condannata dalla Chiesa ufficiale.
Poi, proprio per evitare confusioni non userei il termine "comunitarismo" che è una visione filosofica emancipatrice e liberatrice e non certo una visione oppressiva e reazionaria con cui i destri vorrebbero "superare il capitalsimo", proponendo nient'altro che un salto all'indietro nella storia, una "comunità" molto simile a quella de "I Malavoglia" :)
Claudio,
1) che i comunisti volessero una società di liberi e uguali lo hanno ripetuto per due secoli tutti i comunisti. Non mi soffermo nemmeno, quindi, sulla tua contestazione;
2) L'uguaglianza degli uomini non è affermata dal capitalismo, ma dalla rivoluzione Francese. L'art. 1 della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino, votata dall' Assemblea Costituente il 26 agosto 1789, prevedeva che "Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune .."
3) Che le forze di derivazione marxista, comuniste, socialiste o socialdemocratiche, si siano battute per l'introduzione nelle costituzioni europee del principio di uguaglianza sostanziale è un fatto che non sono disposto a discutere.
4) Che il Marxismo abbia voluto essere e sia stata una filosofia di emancipazione per me è ovvio. Ma stai attento non è la libertà l'obiettivo (questo è un obiettivo dei liberali) è la liberazione (quando i comunisti hanno cominciato a parlare di libertà non sono più stati comunisti). Comunque Luciano aveva scritto "liberi e uguali", non uguali. Quindi hai letto male o di fretta.
5) Nella assemblea costituente Fanfani (economista democristiano, che però ancora nel 1943 aveva scritto un trattato di economia corporativa che valorizzava il concetto di "razza"!) e Pesenti (economista comunista che aveva passato anni di prigione sotto il fascismo) andarono quasi a braccetto nel lavorare alla costituzione economica. Dalle mie parti, le lotte per togliere la terra a Torlonia e la distribuzione della medesima, in piccoli lotti, ai contadini del fucino, furono capeggiate da comunisti e democristiani. E i morti non furono soltanto comunisti.
6) Ciò che scrivi sul fascismo, mi sembra una interpretazione robusta e giusta. Ma essa non contesta la presenza di un profilo di socialismo nel fascismo, bensì ne spiega l'origine. Quindi non vedo nemmeno il contrasto con Luciano, il quale non aveva trattato il tema dell'origine o fonte del profilo socialista del fascismo. Insomma entrambi ammettete che c'era. Anzi egli è più scettico di te, a causa della concezione "eroica" dell'uomo. Tu poi spieghi quale è l'origine di questo profilo. Può darsi benissimo che Luciano sia d'accordo con te. Quindi non comprendo il tono polemico. Nessuno ha proposto di recuperare il fascismo, bensì quelli che a Luciano sono apparsi i tre elementi comuni a tutti i socialismi (tra i quali non ha compreso il fascismo, nel quale mancava uno dei tre elementi).
6) Non capisco perché sottolinei, con tono polemico, ovvie differenze tra il marxismo e il comunitarismo cristiano o islamico. In un breve articolo, Luciano aveva segnalato proprio alcune differenze. Dire che ve ne sono altre non significa contestare il contenuto dll'articolo.
E veniamo alle conclusioni: "Riassumendo, i socialismi evocato da Fuschini sono: a) una serie di chiacchere da intellettuali filantropi "utopisti", ridicolizzati a suo tempo da Marx-Engels e combattuti aspramente anche da Mazzini; b) una serie di comunistarismi tradizonali, reazionari, antiqueti e oppressivi, che traggono fondamento dalla miseria di cui poi forniscono giustificazione consolazione; c) un feroce e spietato imperialsmo razzista, che per raggiungere i suoi laidi fini deve rendere prorpia complice la carne da cannone proletaria a colpi di concessioni, mancette e e "colonie elioterapiche".
Concordo con la conclusione sub a). Dimostrata dal fatto che nella storia quei socialismo non hanno influito nemmeno un milionesimo rispetto al marxismo.
Contesto la conclusione sub b) una serie di comunistarismi tradizonali, reazionari, antiqueti e oppressivi, che traggono fondamento dalla miseria di cui poi forniscono giustificazione consolazione. La costituzione economica italiana, che è stupenda, fu scritta da cattolici e da marxisti. E i cattolici che governarono per quaranta anni, certamente anche a causa del terrore della vittoria dei comunisiti, distribuirono le terre ai contadini, abolitono la mezzadria, introdussero e mantennero a lungo la scala mobile; emanarono lo statuto dei lavoratori; svilupparono gli istituti socialistici già presenti nell'ordinamento socialista; mantennero pubbliche le banche; introdussero l'equo canone; svilupparono un sistema pensionistico solo pubblico e abbastanza generoso (oggi ci accorgiamo quanto lo fosse).
Alla luce di quanto precede mi risulta incomprensibile la tua conclusione definitiva: "
"Se questi sono i pilastri dell'unità anti-capitalistica, ragazzi, sappiatelo, io sto coi capitalisti!!!" Dunque tu non sei disposto ad alleanze con forze non marxiste, per abbattere la tirannia liberale e capitalistica? Se si prospettasse un accordo con forze che intendono rinazionalizzare le banche e ridisciplinarle come dal 1936 al 1991, lo faresti saltare perché caritatevoli o razziste? Vuoi fare della tua vita politica una lotta contro le dottrine eretiche? Stimando moltissimo la tua intelligenza sarei portato a rispondere di no a tutte queste domande. E allora, salvo i seguaci del socialismo utopistico, che poi non esistono, con chi costituiresti il fronte? Quale alleanza saresti disposto a stringere, salvo poi, ottenuto il risultato, sfidare a duello l'antico alleato? Fammi sapere.
Do atto a Rodolfo delle imprecisioni da lui segnalate. Scrivo d i corsa (ma leggo con calma).
Per quanto riguarda il resto: Stefano mi chiede se sarei disposto ad allestii con forze anti-capitalistiche non marxiste. Non saprei, dovessero manifestarsi ti dirò. non mi e mai piaciuto ragionare sui "se", a parte quando scherzo, come nella chiusa del precedente commento. Preferisco analizzare la realtà. E la realtà che ci dice? ci dice che, mentre in occidente il capitalismo sembra morire dopo aver abbattuto tutti i suoi avversari, le nicchie anti-sistema sembrano aver perduto del tutto la bussola. Quella bussola erano Marx-Engels, e la lezione più importante del duo barbuto e stata quella del costante smascheramento dell'ideologia dominante. Il capitalismo e in realtà un rapporto sociale in cui tutto e capovolto, sottosopra; dalla vita quotidiana alle giustificazioni ideologiche del sistema. L'esempio più importante e quello del lavoratore formalmente libero, di fatto però costretto a svendere la propria forza-lavoro (la cosiddetta schiavitù salariata). Ora, noi abbiamo perso questa capacita di smascheramento. Gli imperialismi diffondono in tutto il mondo inciviltà, analfabetismo e reazione, e noi prendiamo sul serio la loro pretesa di esportare il modello occidentale. Nell'Italia dei valsusini illegalmente espropriati, noi invochiamo la prevalenza dei diritti collettivi su quelli individuali. Un sistema economico strutturalmente inefficiente e improduttivo, incapace, fra l'altro, di eliminare la disoccupazione, viene da noi accusato di funzionare troppo (decrescita!). e potrei continuare. In questa ottica vanno interpretati i tentativi di definire i presupposti culturali di grandi alleanze anti-capitalismo. Paradossalmente, se mai una simile, strampalata coalizione dovesse prendere piede, non potrebbe che concentrarsi sui pochi aspetti emancipatori del capitalismo! E il caso delle polemiche contro la modernità, laddove il capitalismo appare come il moglie terreno di coltura delle varie Lega Nord, Sarah Palin e jihadisti cirenaici. Per favore,non assumiamo il punto di vista di chi rimpiange il buon tempo antico (buono per modo di dire), e delle forze sconfitte dalla storia.
Detto questo, penso che che Fuschini sia benissimo in grado di difendersi da solo, senza bisogno di avvocati difensori. Da avvocato a avvocato, Stefano…
(non so perché, ma il computer che sto usando sembra non conoscere la terza persona singolare del verbo essere. Si spiega così la mancanza di accenti sulle e)
Era mia intenzione offrire un modesto contributo a un tentativo di dare una base teorica a un fronte ampio di lotta al capitalismo. Se si pensa che fuori dagli schemi del marxismo-leninismo o del maozedungpensiero, cui ho aderito negli anni lontani della mia giovinezza, nulla sia degno di considerazione, allora affidiamoci pure allo "sviluppo delle forze produttive", alla "coscienza di classe del proletariato" e alla scientificità del materialismo storico e dialettico per affrontare i problemi dell'esaurimento delle risorse, della crisi ambientale, dell'esplosione demografica, della finanziarizzazione dell'economia…Siamo proprio sicuri che accanto a Marx non sia il caso di recuperare anche qualcosa di un Proudhon? Siamo proprio sicuri che la contestazione della modernità capitalista dal versante reazionario sia tutta da buttare? Siamo proprio sicuri che il sistema previdenziale e assistenziale creato in Europa dalle socialdemocrazie e dai partiti democratico-cristiani siano solo fumo negli occhi? Quanto alla sinistra fascista, credo che sia esistita e che esista. So benissimo che ha come fonte ispiratrice più il guglielminismo che il marxismo, ma la cosa non mi turba. Quando si cerca di recuperare qualcosa del fascismo, si evoca sempre lo spettro nazista per esorcizzare qualunque apertura. Ci sono tanti fascismi. Quello di Pinochet, liberista, antioperaio e asservito all'Impero, è spregevole. Quello di Evita e di Peron, populista, socialisteggiante, anti imperialista, è un diretto precedente del bolivarismo in camicia rossa di Chavez (che Dio o chi per Lui ce lo preservi). Anche il nazionalismo socialista e anti imperialista arabo, quello di Nasser, di Gheddafi, di Saddam, di Assad, potrebbe essere definito un fascismo. Tutti questi personaggi hanno impiccato i comunisti, cosa di cui mi addoloro, ma non li escluderei dal novero dei combattenti per una causa giusta.
Per quanto mi riguarda, pur essendo filosoficamente e politicamente marxista, non ritengo che esista solo il pensiero di Marx per un'utile lotta politica anticapitalistica (per la lotta antimperialista è ovvio: esistono fior fiore di governi reazionari che non sono anticapitalisti ma antimperialisti e non ho nessun tipo di problema ad appoggiarli). Ma ritengo, altresì, che in mancanza di altro il pensiero di Marx sia fondamentale.
Chiedo però a Foschini di non confondere il pensiero di Marx (che ritengo essere essensialmente una visione filosofica dell'Uomo come ente naturale generico in collegamento con i rapporti sociali di produzione), figlio naturale e legittimo di Hegel e dell'Idealismo tedesco, con il marxismo creato dopo la morte di Marx da Engels e Kautsky. Tutte le cretinerie marxiste (e non di Marx) che giustamente citi sono, infatti, del Marxismo e non di Marx.
Ovviamente anche Marx ha i suoi demeriti: un certo determinismo e positivismo che esce dalle sue pagine è ovvio ma, come tutti gli autori, bisognerebbe "contestualizzarlo" e capire che Marx è figlio dell'800.
Conservare dunque ciò che resta di attuale in Marx ma, secondo me, per andare avanti e non indietro: il socialismo utopico, la sinistra fascista, al di là di ciò che ciascuno di noi può pensare sui singoli movimenti, sono prodotti storici della fine dell'800 e degli inizi del '900. Dovremmo piuttosto pensare a creare un"alternativa per questi tempi che ci aspettano e non lo si farà certo andando a riprendere reperti storici del secolo passato.
D'accordo, Rodolfo. Guardiamo avanti, tanto più che i cambiamenti sono talmente rapidi che ogni decennio vale per un secolo. Proprio per i rapidissimi mutamenti intervenuti, non si può rifiutare sdegnosamente la Decrescita, per esempio. E, ci piaccia o no, assumere la logica della Decrescita significa entrare in un ordine di idee reazionario. Da ciò l'invito a considerare come essere rivoluzionario oggi implichi l'adozione di un punto di vista non progressista. Il campo da cui attingere è molto vasto. Rifiuto un Evola, per esempio, per il suo aristocraticismo paganeggiante, ma trovo estremamente stimolante De Benoist, che solo i dogmatici coi paraocchi continuano a definire un fascista. E ribadisco che, sempre guardando al presente e non al passato, un nazionalismo anti imperialista, anche nei suoi aspetti autoritari, può essere una risposta alla devastazione che ci opprime. Visione da rosso-bruni? E perché no?
Per quanto mi riguarda quello che hai scritto non è assolutamente da rosso-bruni (categoria in cui non includo Alain De Benoist il quale resta, forse, culturalmente di destra ma non certamente politicamente) che, al di là degli slogan anticapitalisti, sono semplicemente i fautori di un governo più autoritario e di una politica estera imperialista.
Altro discorso, e molto più complicato, riguarda ovviamente la Decrescita. Per quanto mi riguarda la Decrescita è una parola, un contenitore, che si deve riempire di senso. E questo senso può essere in senso "progressivo" (che nulla ha a che vedere con il sinistrismo progressista) o "reazionario". Si tratta di scelte.
Un senso "progressivo" lo avrà se si vedrà la Decrescita come lo strumento "contro la valorizzazione del Capitale" (M. Bontempelli – M. Badiale, Marx e la Decrescita) e non certo per portare indietro il motore della Storia (come invece vorrebbero i reazionari di ogni risma e colore).
La stessa cosa riguarda, infine, il nazionalitarismo (che preferisco alla ambigua definizione di "nazionalismo") che può essere "reazionario" (l'Italia fascista, la Germania nazista, gli Stati Uniti) ma anche "progressivo" come accade, in particolare, per i popoli dell'America Latina. O c'è qualcuno (compresi i paranoici che vedono rosso-bruni ovunque) che considera reazionari governi come quello di Hugo Chavez in Venezuela, di Evo Morales in Bolivia, di Castro a Cuba, di Rafael Correa in Ecuador?
Non ho molte remore di linguaggio. Non mi turba se qualcuno mi dà del reazionario e uso tranquillamente il termine "nazionalismo" senza avvertire il bisogno di ridefinire il concetto ricorrendo a "nazionalitarismo". Per il resto sono sostanzialmente d'accordo con te.
Alle domande di Luciano ("Siamo proprio sicuri che accanto a Marx non sia il caso di recuperare anche qualcosa di un Proudhon? Siamo proprio sicuri che la contestazione della modernità capitalista dal versante reazionario sia tutta da buttare? Siamo proprio sicuri che il sistema previdenziale e assistenziale creato in Europa dalle socialdemocrazie e dai partiti democratico-cristiani siano solo fumo negli occhi?") rispondo risolutamente:
Sì,
Sì,
No, ma non è questo il punto.
Per Rodolfo.
Tu scrivi: " esistono fior fiore di governi reazionari che non sono anticapitalisti ma antimperialisti e non ho nessun tipo di problema ad appoggiarli". Bene, ma stiamo attenti a non prendere lucciole per lanterne. Qualche tempo fa è stato postato sul sito di Alternativa (forse da te?) un estratto da un saggio di Masssimo Bontempelli. Il paragrafo centrale si intitola "contro una geopolitica senz'anima". In questo paragrafo accadono due cose: si può vedere il lucido, raffinato, originale, inesauribile Bontempelli prendere una cantonata epocale, facendo una critica scriteriata e senza senso della repubblica popolare cinese; e si può ammirare il sunnomato M.B. che afferra il noccio della questione. Queste le sue parole: "È giusto, (..), che l’imperativo politico e morale dei nostri tempi sia quello di contrastare sempre e comunque l’espansionismo statunitense. Se si rimane, però, sul solo piano della geopolitica, questa giusta indicazione trapassa facilmente nel principio che il nemico geopolitico del mio nemico è il mio amico, cioè in un principio sbagliato, frutto di una nascosta disperazione coperta dalla volontà di schierarsi comunque dentro qualche forza protagonista della storia."
Non si poteva dir meglio. Aldilà del dettaglio che la critica bontempelliana è del tutto fuori bersaglio, in quanto non è la Cina il paese idolatrato dagli antimperialisti geopolitici occidentali*, quella critica rimane corretta. E se è vero che l'emiro dell'Afghanistan sarà sempre più avanzato, sul piano politico, rispetto alla socialdemocrazia tedesca, è anche vero che l'antimperialismo, per essere tale, esige "qualcosa di più" della semplice opposizione militar-strategica al predominante di turno. Altrimenti, miei cari, si giunge a conclusioni grottesche. Pensateci: tutti i Fanon e i Guevara di questo mondo non hanno raggiunto un decimo dei risultati conseguti dallo zio Adolf. Baffetto, infatti, alla guida di un paese privo di colonie, ha insuperabilmente umiliato le potenze che di colonie ne avevano decine, occupandone le capitali (Parigi) o bombardandole (Londra). Se non riempiamo la nozione di antimperialismo di contenuti politici e sociali** oltre a quelli strategico-militari, bé, non si sfugge; dobbiamo dichiarare il Terzo Reich antimperialista (per non parlare del Mikado)!
*l'oggetto dell'idolatria è infatti un altro paese. Vi do un indizio per capire chi è: il suo nome inizia per I e finisce per RAN.
** sì, anche sociali. Fanculo, La Grassa!
Benissimo Claudio: non tutti gli anti imperialismi sono apprezzabili, occorrono anche contenuti politici e sociali. Infatti il primo peronismo e il nasserismo furono anti imperialismi con contenuti sociali molto avanzati, pur essendo fin troppo duramente anti marxisti. Come volevasi dimostrare: le vie del riscatto sociale (e del socialismo) non sono infinite ma sono comunque diverse, se accettiamo di rinunciare a schemi dogmatici.