Occorrono una nuova classe politica e nuovi partiti popolari
I governi che, da almeno venti anni, sono espressione del partito unico delle due coalizioni liberiste ed eurounioniste, infatti, proseguono con una politica depressiva volta all’ostinata e assurda difesa dell’euro e con esso dell’Unione europea.
La moneta unica, utilizzata da Paesi con strutture produttive, tassi di inflazione e di interesse disomogenei, unita alla libera circolazione dei capitali, ha favorito il formarsi di squilibri commerciali che, allo scatenarsi della crisi, prima finanziaria e poi economica, si sono potuti fronteggiare soltanto tramite lo strumento residuale rimasto in capo ai governi, ovvero quello delle cosiddette riforme del mercato del lavoro, visti i crescenti vincoli alla politica fiscale sanciti a partire dal Trattato di Maastricht e cristallizzati con la riforma dell’articolo 81 della Costituzione, che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio strutturale nel nostro ordinamento. Tali riforme hanno portato ad una progressiva compressione dei diritti dei lavoratori, con il fine di ridurre il loro salario reale, lasciando che i Paesi dell’area euro competessero tra loro riducendo la domanda interna. Si è così innescata una crisi ancora più profonda e durevole nei Paesi dell’area periferica, data l’impossibilità, all’interno dell’Unione europea, di adottare efficaci misure di politica economica e stante l’assoluta refrattarietà dei Paesi dell’area centrale a sostenere la domanda e la crescita dei salari. La politica deflazionistica ha conseguentemente colpito ampi settori e categorie di piccoli professionisti, imprenditori e artigiani, che vivono di domanda interna.
Il sistema disfunzionale, derivante dai Trattati europei e dalle misure imposte dall’Unione, promuove, quindi, la crescente disuguaglianza sociale, priva lo Stato italiano della possibilità di programmare una propria ed autonoma politica economica ed industriale, lo spinge a perseguire continue dismissioni di patrimonio e servizi pubblici e a praticare politiche fiscali restrittive, quando ci sarebbe disperato bisogno di massicci investimenti pubblici per condurre stabilmente il Paese fuori dalla lunga crisi.
L’effetto combinato degli aumenti delle imposte in modo regressivo, dei tagli alla spesa pubblica, con conseguente riduzione, o maggiore costo, dei servizi essenziali, delle privatizzazioni e delle misure volte ad aumentare l’insicurezza sociale dei lavoratori, non ha prodotto un sistema economico più competitivo, bensì ha promosso il trasferimento di ricchezza dai ceti bassi e medi a quelli più alti e favorito, data anche l’impossibilità del controllo dei movimenti dei capitali, l’acquisizione estera delle imprese e delle risorse nazionali da parte degli investitori stranieri.
Ulteriore minaccia deriva dai trattati di libero scambio dell’Unione europea con Paesi terzi, che vanno ad esporre a forte concorrenza estera le imprese agricole ed interi settori produttivi nazionali, già fortemente danneggiati dalle regole europee, producendo ulteriore disoccupazione oltre ad un peggioramento degli standard qualitativi dei prodotti commerciabili.
La terribile crisi economica, ormai stabile e strutturale, palesa una profonda crisi politica e la quasi totale perdita della democrazia. La burocrazia tecnocratica europea, anonima, sconosciuta, mai eletta, ha espropriato gli Stati e i Popoli del potere di disciplinare i loro sistemi economici e li ha costretti a subire, nel totale disprezzo della volontà popolare, la concorrenza tra imprese e gestori dei grandi capitali internazionali.
Il Parlamento italiano, che non può, nemmeno all’unanimità, emanare le leggi ordinarie indispensabili per sottrarci alla crisi in corso, perché su di esse e sulle norme costituzionali prevale di fatto il diritto europeo, esprime icasticamente la paralisi della democrazia politica. In ragione di questa prevalenza, la quale sta ad indicare che il grande capitale ha espropriato il potere del Popolo di disciplinare la propria vita economica, anche la Costituzione della Repubblica italiana è, da almeno due decenni, totalmente disapplicata dai governi e dal Parlamento nelle sue norme più programmaticamente avanzate, volte a disciplinare i rapporti economici (artt. 35-47).
Il contrasto insanabile tra la disciplina costituzionale e i principi cardine dell’Unione europea impone una scelta di campo senza cedimenti o adattamenti. A fronte di questa crisi economica e politica i sovranisti italiani riconfermano l’esigenza e l’ineluttabilità della riconquista della piena sovranità nazionale e popolare, per ricollocare, anche di fatto, la Costituzione al vertice del nostro ordinamento e a guida del Popolo nella disciplina dei rapporti economici.
Questo nobile obiettivo comporta un vitale e indispensabile atto di recesso dai Trattati europei, previsto dal diritto internazionale e dagli stessi Trattati, il quale, nelle more di una trattativa di sganciamento che esporrà l’Italia ai ricatti dei “mercati”, dovrà di necessità essere anticipato da provvedimenti d’urgenza che saranno di rottura dell’ordine giuridico dell’Unione europea. Le simultanee misure di natura monetaria e finanziaria e i successivi provvedimenti, utili e necessari per salvaguardare la coesione sociale e territoriale, ricostruiranno un’economia sociale e popolare, improntata alla giustizia sociale, fondata sull’obiettivo della piena occupazione e conforme ai principi costituzionali.
L’esito fatale di oltre venti anni di apertura ai mercati globali e di cancellazione dei confini nazionali, ha preso forma in governi di occupazione o di commissariamento, puntellati da un’infame e infida classe dominante di centrodestra e di centrosinistra, che esegue politiche economiche depressive “per conto esteri”.
Una scellerata classe politica, culturalmente succube degli Stati Uniti d’America, ha accettato servilmente un modello antropologico illuminato e rafforzato dalle direttive economiche e politiche dell’Unione europea, ossessivamente riformando, ma in realtà stravolgendo e talvolta interamente abrogando, molteplici settori nevralgici dell’ordinamento giuridico italiano. I politici italiani, deresponsabilizzati dalla pseudocultura individualistica e sovranazionale, scollegati dalla comunità di provenienza, indifferenti se non addirittura ostili, hanno scelto la fellonia di tutelare gli interessi di potentati economici stranieri.
Nessuna delle formazioni politiche di governo della Seconda Repubblica, totalmente prone agli organismi sovranazionali della finanza e delle multinazionali, esprime un’autentica posizione sovranista.
Si impone pertanto l’esigenza di una nuova classe politica espressa dalle avanguardie del Popolo e che nel Popolo ritrovi la fonte originaria di legittimità del potere, immedesimata nella Nazione, compenetrata dal senso dello Stato e del bene comune, mossa dall’amor di Patria, formata e selezionata democraticamente da nuovi partiti popolari, responsabile, preparata e disposta al sacrificio richiesto dal compito storico di guida, di rappresentanza politica e di direzione dello Stato.
[dall'”Atto Costitutivo” del Fronte Sovranista Italiano, 5 giugno 2016]
fonte: frontesovranista.it
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