I mercati ai tempi della (Prima) Repubblica
di STEFANO ROSATI (FSI Rieti)
Il pensiero politico degli ultimi trent’anni è profondamente nichilista: il modo è cambiato, le cose sono cambiate, non spetta alla politica cambiare le ‘cose’, che sono ormai ‘cambiate’.
E comunque lo Stato è impotente, non ha i mezzi per cambiarle, le cose.
È un dato di fatto. Irreversibile. Ineluttabile. Incontestabile.
La politica è sostituita dalla religione. Una teologia della sottomissione; se le cose non si possono cambiare si è sottomessi alle stesse.
L’ultima trovata è la consustanziazione: “i mercati siamo noi”. Combatteremmo contro noi stessi se volessimo combattere i mercati.
Si parla di democrazia governante, di democrazia decidente (slogan dei riformisti del PD), ma poi si dice continuamente che la politica non deve turbare i mercati, deve assecondarli, non scontentarli.
Una democrazia addomesticata. Che deve solo eseguire decisioni altrui, prese altrove.
La democrazie decidente è un simulacro che vorrebbe nascondere questa evidente verità: la sovranità è altrove, esercitata da alcuni.
Nemmeno da pochi, da alcuni.
Ci accontenteremmo di una democrazia ‘decente’, ma siamo assuefatti al presente. E riteniamo il passato il contrario di progresso.
Durante la Prima Repubblica per contrastare il contrabbando di sigarette fu vietata la commercializzazione dei marchi più contrabbandati (MALBORO, Philip Morris e Merit, tutti facenti capo al colosso americano Philip Morris), il Governo italiano adottò un decreto (n. 205 del 1991) che prevedeva la sospensione per tre mesi della vendita delle marche di sigarette delle quali erano stati sequestrati quantitativi superiori a una certa soglia. In caso di recidiva, poteva essere disposta “la radiazione dalla tariffa di vendita”; cioè era possibile vietare l’accesso al mercato nazionale delle loro sigarette. A tempo indeterminato.
Secondo il Ministro Formica che aveva spinto per questo provvedimento, infatti, il contrabbando “ha origini precise, non è fatto senza il consenso attivo delle multinazionali” e “la Philip Morris deve smettere di credere che questo sia il paese degli allocchi”.
La Philipp Morris si impegnò a collaborare nell’identificazione dei grossisti a rischio di contrabbando e il decreto venne, quindi, revocato.
Lo Stato può realizzare i suoi fini, ha gli strumenti per attuare le proprie decisioni.
Lo Stato impotente è una scelta politica (rendere lo Stato impotente è una scelta politica). Lo Stato arreso ai mercati è una scelta politica.
Il Governo propose addirittura di assorbire i lavoratori del ‘comparto’ nella pubblica amministrazione (circa 20-25 mila lavoratori) – scelta più o meno discutibile da un punto di vista etico, della quale non si fece niente soprattutto per il rifiuto dei contrabbandieri (che avrebbero guadagnato molto meno), ma dà l’idea di una politica autonoma e coraggiosa.
Ma erano uomini d’altri tempi.
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