Fantastilioni
Esiste un problema di veridicità fattuale in matematica. Da bravo epicureo dico che tutto ciò che cade nel mondo sensoriale è verificato, il resto è verificabile. Forse. Diciamo da verificare. E sempre che si possa.
Popper la metteva diversamente ma non ho qui intenzione di iniziare un lungo contenzioso sui significati delle varie forme di verifica, magari tirando in ballo il Circolo di Vienna o Lakatos. Quel vaso di Pandora lo voglio tenere chiuso, per cui mi limito a tracciare le differenze tra il sentire comune (ovvero ciò che appare ovvio agli occhi dell'uomo comune) e ciò che appare sensato o addirittura scontato per i professionisti dei numeri (matematici, economisti, ingegneri etc..).
Voglio qui sottolineare che esiste una cesura sempre maggiore tra i portatori di varie verità specialistiche (alcuni li ho appena citati) ed il volgo. Al punto che ciò che dice un gruppo non è compreso dall'altro gruppo, e sorgono incomprensioni di ogni tipo. La numerazione segue fedelmente la freccia del Tempo, che ci sta traghettando da un passato torbido e selvaggio verso la Civiltà ed il Progresso.
Nel paleolitico probabilmente non esisteva numerazione, e se esisteva non andava molto oltre la decina. D'altronde cosa dovevano contare? Al giorno d'oggi gli Eschimesi contano sulle dita fino a cinque, e, con l'aiuto delle dita delle mani e dei piedi, possono arrivare fino a venti, ciò che viene chiamato "un uomo intero". Certe tribù ancora più arretrate si fermano al due o al tre. Gli abitanti della Papua Nuova Guinea si toccano varie punti del corpo per identificare un numero arrivando fino al numero 22. In Asia venivano usate le falangi delle dita riuscendo così a contare fino a 28. In Australia e in Polinesia è stata osservata una numerazione per coppie (sistema binario, non molto efficiente per grandi quantità). [1]
Notare qui che l'autore sottolinea come il grado di arretratezza di una società dipenda da quanto i suoi membri sappiano contare, corroborando così il senso che noi siamo abituati dare alla freccia del Tempo. Trova quindi conferma l'idea secondo cui i nativi americani (e tutti i membri di qualsiasi altra società di cacciatori-raccoglitori) fossero dei selvaggi da civilizzare.
Resta da chiarire soltanto quale utilità rivesta il saper contare per chi ha scelto la vita nomade. Utilità che invece trova indubbia applicazione nel mondo della pastorizia e dell'agricoltura. Sapere quanti sono i capi di bestiame di proprietà oppure l'estensione del terreno coltivato diventa così una necessità, oltre che il primo fondamentale passo verso il radioso futuro della Civiltà.
Leggevo in qualche testo di antropologia che i Nativi americani sapevano contare grosso modo fino a venti, dopo di che esisteva l'indefinito “tanto”. Così la domanda “quanti alberi ha il bosco?” sortisce risultati molto simili tra bambini[*] e adulti “arretrati” mentre un agronomo che ha nozione della densità e della superficie saprà fornire un numero. Tale numero tipicamente non è frutto della sua diretta esperienza personale, quanto della scienza che ha studiato.
Nulla di male, s'intende. Ma quei numeri non hanno senso al di fuori dell'alveo scientifico e commerciale. A chi passeggia per i boschi non è di alcuna utilità avere la stima del numero di alberi presenti. Sono tanti, e sono belli. La quantità precisa è poco interessante, molto più utile è la relazione di immediata sintonia che si instaura nel momento in cui si entra nel bosco, ovvero la qualità.
Questa difficoltà di coniugare quantità a qualità è il vero motivo dell'allontanamento dei numeri dal nostro sentire quotidiano. In fin dei conti siamo poco più evoluti dei nostri predecessori del paleolitico: il traghetto temporale non ci ha portato molto lontano, da questo punto di vista.
Succede così che perdiamo facilmente l'orientamento quando entrano in gioco valori numerici molto distanti da ciò che è la nostra quotidiana visuale sul mondo e del mondo. Oggigiorno si sente parlare sempre più spesso di crisi. Le cifre della crisi sono da capogiro. Il debito USA, aggiornato al 27 Settembre 2011, è un 57 seguito da 12 cifre.[2]
All'interno delle cifre spaventose messe in rilievo dal sito ciò che io, in qualità di uomo comune, posso sperare di afferrare sono quei numeri che la mia esperienza personale mi permette di riconoscere, ovvero quelle quantità che trovano una qualche corrispondenza nelle qualità della mia vita. Ad esempio il debito di ogni singolo cittadino americano (infanti compresi): 175.000$. Ed i risparmi medi di una famiglia USA: 7650$, paragonabili ai miei risparmi.
Intuisco i 175.000$ (o €, poco cambia) perchè è un costo che vedo spesso nelle riviste di vendite immobiliari. Sono comunque cifre che non appartengono a bilanci casalinghi, quindi non pienamente comprensibili. Non a caso l'acquisto di un appartamento di valore simile va contrattato con i gestori di quel mutuo che permette l'effettivo atto di proprietà. Sono proprio i gestori che sanno come rendere plausibile per gli introiti di noi mortali la rata mensile che per qualche decennio ci troveremo a pagare. Ecco, la proprietà dell'immobile e la rata mensile sono valori qualitativi oltre che quantitativi.
Insomma, come sottolineava Epicuro, dobbiamo rimanere all'interno del nostro orizzonte ottico affinché il significato di ciò che ci viene comunicato abbia per noi un qualche senso. Siccome le cifre della crisi con cui ci continuano a martellare i media sono invece ben distanti dal nostro comune sentire, succede che l'equivoco diventi un passaggio inevitabile.
Miliardi che diventano milioni, bilioni che diventano miliardi. Gli americani non ci aiutano di sicuro, dato che il loro billion è il nostro miliardo ed il loro trillion corrisponde al nostro bilione. In rete c'è quindi un florilegio di equivoci causati da una parte dai false friends americani, e dall'altra dalla nostra poca dimestichezza con quelle cifre.
Si continua, noi gente comune, a fraintendere i terzetti di zeri, mentre continuano le rettifiche da parte degli addetti ai lavori, rendendo le cifre dei deficit una sanguinosa guerra tra senso comune e senso scientifico. D'altronde non capisco proprio perchè dovrei impegnarmi a comprendere fino in fondo il senso profondo di quelle cifre del deficit. Quei 31.371€ di debito che ogni componente della mia famiglia deve restituire [3] moltiplicati per i 4 componenti farebbero 125.484€.
E' assolutamente fuori luogo che io pensi di vendere la casa per restituire un debito che non ho mai contratto. Perchè questo e non altro, per il mio epicureo sentire, significherebbe onorare quelle cifre.
E se non le onoro, non trovo plausibile comprenderle.
[*]mio figlio direbbe che nel bosco ci sono miliardi di milioni di alberi. O qualsiasi altra metafisica entità numerica. Nessuno, neanche la sua maestra di matematica, sa quanti siano miliardi di milioni di alberi. Semplicemente oggi la parola “tanti” non va più di moda.
[1]http://www.riflessioni.it/enciclopedia/numeri.htm
[2]http://www.usdebtclock.org/
[3]http://www.comeinvestireoggi.com/tag/pro-capite/
La quantizzazione di tutto, anche del non quantizzabile, e la riduzione di ogni aspetto della vita in unità di conto monetarie caratterizza il capitalismo.
La computisteria è nata prima del capitalismo per opera della borghesia, che ancora non era classe dominante, ma una classe-cuscinetto fra l’aristocrazia e il popolo.
Nel mondo antico, il calcolo esatto si può dire che non esisteva, perché non si applicava diffusamente, e culturalmente non aveva molto senso.
Con il Nuovo Capitalismo del terzo millennio la quantizzazione, dalla quale scaturiscono i bilioni, i triliardi e i “fantastilioni” (espressione che mi ricorda un po’ Zio Paperone … ma credo che non sia un caso) che dovrebbero misurare i grandi capitali in movimento che causano la desertificazione del mondo, e i debiti degli stati sottomessi, è una potente arma nelle mani dei dominanti globalisti, perché si tende a quantizzare, e quindi a misurare monetariamente, ogni aspetto dell’esistenza.
La “gente comune” non deve comprendere, ma soltanto sottostare.
Se quei grandi numeri, non alla portata dell’uomo della strada (che spesso neppure li comprende), non hanno senso al di fuori di un certo alveo (nell’articolo, quello scientifico e quello commerciale), non possiamo dimenticare che il Nuovo Capitalismo è caratterizzato dalla totale ed indiscussa superiorità della finanza e dell’economia sulla politica, sulla regione, sull’etica e su ogni altra cosa, e quindi i numeri enormi, e per i più incomprensibili, relativi alle dimensioni economico-finanziarie e a quelle dei debiti cumulati forzatamente dagli stati, possono trovare un senso soltanto nelle logiche autoreferenti che reggono il modo storico di produzione dominante.
Interessante il riferimento alla difficoltà di coniugare quantità e qualità, che ci riporta per qualche verso, volendo dirlo in termini marxiani, alla dicotomia valore di scambio e valore d’uso.
La quantizzazione di ogni aspetto dell’esistenza, del resto, non può che ignorare gli aspetti qualitativi, così come l’utilità che un bene ha per noi può essere (ed anzi, sicuramente lo sarà) non comparabile con l’utilità che ha per gli altri soggetti, mentre la comparazione diventa possibile considerando il valore di scambio della merce.
Se si sposta l’angolo visuale fuori delle logiche e dagli immaginari capitalistici, tutto cambia.
Qualità e “incomparabilità”/ non misurabilità possono riprendere il sopravvento ed avvicinare il mondo che ci sta intorno alla “misura d’uomo”, che vive in un tempo storico determinato.
E’ questo un utile “esercizio” che è già stato fatto, quando dominava ancora quello che io chiamo il capitalismo del secondo millennio, ad esempio da Marcel Mauss con il suo Essai sur le don dei primi inizi del novecento (Forma e ragione dello scambio nelle società arcaiche), con il quale contrapponeva al capitalismo diffusore della merce culture e civiltà antiche di segno completamente diverso, già da tempo estinte o comunque per loro natura precapitalistiche, in cui lo scambio era rituale e la dannata quantizzazione di tutto (che è diventata così invasiva e totalizzante da creare l’inferno in terra) non esisteva, non essendo in quei contesti culturali neppure concepibile.
Ci sarà un futuro contesto culturale in cui non si imporrà più la quantizzazione (monetaria, in particolare) di ogni aspetto dell’esistenza?
Probabilmente sì, perché, anche se non ce ne accorgiamo, ed abbiamo un’impressione “da fine della storia” con disastro imminente, la storia è sempre in movimento e consentirà all’uomo di superare il più grande male che oggi lo affligge: il capitalismo.
A quale prezzo, però, non possiamo ancora prevederlo.
Saluti
Eugenio Orso
Caro Eugenio,
l'accumulo di capitali è un processo numerico. Che si tratti dei fantastilioni su cui ama tuffarsi Paperon de' Paperoni oppure i fantastilioni delle speculazioni finanziarie (che rappresentano 13 volte il PIL mondiale) poco importa. Se il PIL mondiale rappresenta il tutto, quei fantastilioni speculativi sono 13 volte il tutto.
Una parte deviata di questa società (quella che siede ai vertici) ha fatto voto di astinenza nei confronti della sobrietà e di servitù nei confronti dell'accumulo. Un'altra parte non può fare voto alcuno, impegnata com'è a sopravvivere più che ad accumulare.
In mezzo stanno coloro che hanno fatto voto, ma vedono la realizzazione dell'accumulo come una frustrazione, causa l'ineguale sviluppo ovvero la concentrazione e/o distribuzione dei capitali.
E' quella classe media che da sempre fa la fortuna del capitale, perchè ne condivide lo spirito e ne sostiene i metodi. Che però sta sparendo. Sta sparendo perchè non riesce (tra i tanti altri motivi) a stare dietro alle fantasticherie del mondo sempre più virtuale della finanza che sta rinchiudendo noi tutti nelle cantine della percezione fallita. Cade così un vincolo sacro per il capitalismo: il sodalizio, fatto anche di ammiccamenti e intuizioni comuni, tra capitale e borghesia.
Stanno destrutturando l'immaginario collettivo dell'era industriale, fatto di fatica e sudore per attraversare i secoli bui ed arrivare a pieno titolo alla Modernità (la freccia del Tempo cui faccio riferimento nell'articolo) per consegnarci il riassunto sbiadito di un'interpretazione virtuale.
E' vero che la quantizzazione ha origini lontane, ma la sua valenza era stata in qualche modo stemperata dal duro contatto con la realtà. Oggi tale quantizzazione ha aspetti parossistici quali i già citati 13 PIL mondiali di transazioni finanziarie.
Con tali inflazioni numeriche si perde il contatto con quella realtà fatta di qualità e quantità che eravamo abituati a conoscere. Non esiste più la corrispondenza biunivoca tra ciò che viene detto è ciò che può essere verificato. Si riallaccia qui il mio discorso sul ready-made, ovvero la capacità di sganciarsi temporalmente e storicamente dalle conseguenze dei propri pensieri che vivono così di vita propria.
Siamo cioè esonerati, grazie all'intervento di stratosferiche virtualità, dal riprendere il filo conduttore che da sempre ha unito pensiero ed azione.
Siamo tutti potenziali fantastilionari, basta volerlo. Ce l'ha confermato anche il broker Alessio Rastani che vede in ogni recessione la possibilità di enormi guadagni.
E' l'idea stessa di quantizzazione che viene amplificata all'ennesima potenza, per scoprire quanto inadeguata e criminale sia.
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