Rossobruni? No, rivoluzionari!
Un marchio d’infamia s’aggira nel web: il rossobrunismo.
È ormai sufficiente accostare questo neologismo a qualunque personaggio o meglio ancora movimento politico per screditarne per sempre proposte e opinioni. Il rossobruno, infatti, è ambiguo; cerca di infiltrarsi e riciclarsi; finge di essere un compagno ma in realtà è un fascio, e dei peggiori; condensa su di sé ogni risma di reducismo; è uno sconfitto e un reietto della storia; è uno sfigato; è per indole complottista; odia; la sua natura è violenta e antisemita; va da sé che in ogni rossobruno si nasconda un negazionista.
Perché questa onda di riprovazione così radicale sta investendo esponenti a cui la storia politica ha sempre lasciato uno spazio davvero marginale, che raramente si sono presentati come un movimento organico e davvero riconoscibile, e in cui sono stati inseriti, a torto o ragione, anche figure complesse e affascinanti? (dichiaro qui, ad esempio, la mia personale ammirazione per la figura misconosciuta di Nicola Bombacci, fondatore insieme a Gramsci e Bordiga del Partito Comunista d’Italia e finito fucilato a Dongo nel 1945 dai partigiani).
Probabilmente perché il rossobrunismo è una categoria che torna di estrema utilità nell’attuale lotta politica. Nell’area antagonista, infatti, da sempre divisa tra estremisti di destra e sinistra, si sta profilando con sempre maggior forza la tendenza a unire le forze e i pensieri antisistema orientandosi verso il superamento dei tradizionali concetti di destra e sinistra. Ecco, dunque, che appiccicare l’etichetta di rossobrunismo a queste tendenze risulta il modo più semplice per liquidarle e screditarle sbrigativamente, togliere loro ogni spazio di manovra senza bisogno di soffermarsi un secondo in più sull’analisi politica e di merito.
Ben si capisce, dunque, anche il riflesso condizionato di cui soffrono, spesso, i movimenti che si vedono attaccare addosso il cartello: Attenzione, passaggio rossobruni!
Riflesso condizionato che mi è parso di cogliere anche nel preambolo dell’ultima bozza programmatica di Alternativa, derivante probabilmente anche da recenti polemiche con l’accusa a Giulietto Chiesa, a Megachip, e quindi inevitabilmente alla stessa Alternativa, di andare a braccetto con rossobruni e filo-gheddafiani di vario genere.
In particolare il documento programmatico citato contiene questo brano: “Un altro concetto fondamentale per guidare politicamente una transizione verso una civiltà più umana è il superamento della contrapposizione tra destra e sinistra. Ciò non significa una confusione di valori, né significa cambiare il giudizio storico su ciò che hanno significato fascismo e nazismo, e sul decisivo valore di civiltà che ha avuto la lotta antifascista negli anni Trenta e Quaranta. Significa piuttosto rendersi conto che oggi l’opposizione di destra e sinistra è ormai del tutto interna a quel mondo che sta entrando in crisi irreversibile”.
Il passaggio condensa almeno tre aspetti di grande rilievo. Su due mi trovo profondamente d’accordo, anche se voglio specificare e integrare meglio il mio pensiero a proposito, il terzo solleva a mio avviso alcune problematicità. Andiamo per ordine.
“Ciò non significa una confusione di valori”. È un aspetto fondamentale. “Superamento” di destra e sinistra significa esattamente questo, non fare una commistione tra ciò che non sta insieme, una alleanza innaturale tra “sconfitti” della storia, ma appunto andare oltre, senza chiedere a nessuno di rinnegare, semmai mantenendo alcuni valori condivisi e in qualche modo universali, sviluppandoli e arricchendoli secondo le necessità che le inedite crisi epocali che stiamo affrontando impongono.
“Né significa cambiare il giudizio storico su ciò che hanno significato fascismo e nazismo”. Perfetto, e aggiungerei anche il comunismo. Ma andrei oltre. Se a nessuno viene chiesto di rinnegare o annacquare il proprio giudizio storico, ciò dovrebbe valere in senso sia positivo che negativo. Chi ritiene che fascismo e nazismo siano stati, ad esempio, espressioni del “male assoluto”, sarà ben legittimato a continuare a farlo. A chi non lo pensa non potrà essere chiesta abiura, e il confronto su questi temi, anche aspro, dovrà essere demandato al suo giusto e naturale ambito, appunto al dibattito culturale secondo una prospettiva storica. E ancora, se a nessuno viene chiesto di cambiare il proprio giudizio storico, a maggior ragione a chiunque si deve lasciare la possibilità di modificarlo, di nuovo sia in senso positivo che negativo, come naturale conseguenza del confronto storico-culturale.
“E sul decisivo valore di civiltà che ha avuto la lotta antifascista negli anni Trenta e Quaranta”. Mi pare l’aspetto più delicato. Infatti, se non viene chiesto di rinnegare (nel senso sopra indicato) il proprio giudizio storico, come si può dichiarare l’antifascismo quale “valore di civiltà” in un documento programmatico? A me pare che i due concetti siano in contraddizione e non possano tenersi insieme, infatti l’antifascismo viene elevato al di sopra del giudizio storico, diviene valore politico, addirittura fondante. In quanto tale esso rappresenta una discriminante, una pregiudiziale escludente nei confronti di chi non si riconosca nel valore di civiltà dell’antifascismo, a meno di non richiedere una sua eventuale abiura.
Non entro nella questione di merito (se l’antifascismo possa considerarsi o meno un valore di civiltà), pongo una questione di metodo ma che non è questione formale ma sostanziale.
È giusto porre oggi una pregiudiziale antifascista quando il fascismo è morto settanta anni fa? È utile porre una pregiudiziale verso chi ha avuto una personale storia “fascista”, e trova lì le radici valoriali del suo essere, oggi, contro l’imperialismo americano, la globalizzazione capitalistica, il sionismo, o il modello di democrazia rappresentativa di stampo anglosassone, senza per questo essere terrorista, xenofobo, antisemita, o fautore della dittatura?
Se la pregiudiziale antifascista viene posta, se ne devono trarre tutte le necessarie conseguenze. Innanzitutto la distinzione tra destra e sinistra, fatta uscire vigorosamente dalla porta, rientra dalla finestra dopo essersi cambiata nome. Mi si potrà obiettare che non sono esattamente la stessa cosa le distinzioni tra destra/sinistra e fascismo/antifascismo. Lo concedo. Ma faccio notare che oggi, in Parlamento, il 100% dei nostri rappresentanti, molti dei quali hanno avuto un passato da comunisti e da neofascisti, si dicono o anticomunisti, o antifascisti, o meglio ancora entrambe le cose contemporaneamente. Sfido a trovarne uno pronto a dichiararsi apertamente anticapitalista o addirittura (orrore!) antisionista. Ecco che, allora, c’è qualcosa che non torna.
Ritengo che per un movimento radicalmente antisistema non sia più utile, oggi, fare riferimento all’antifascismo come ad un valore di civiltà, un valore fondante il proprio impegno politico. Esso può risultare fuorviante e sterile. Se la “casta” contro cui combattiamo si dichiara fieramente anticomunista e antifascista, noi non dobbiamo di converso dichiararci comunisti e fascisti, ma rompere questo schema. Né comunisti né fascisti ma rivoluzionari. Perché solo una rivoluzione può salvare i nostri valori di civiltà, certamente una rivoluzione democratica, una rivoluzione pacifica, ma una rivoluzione.
Sarà dunque necessario cominciare a smontare, anche a livello comunicativo, i paradigmi di chi vuole imbrigliare il nostro essere rivoluzionari in vecchi schemi asfittici. A chi ci chiama rossobruni, dobbiamo rispondere fermamente.
Rossobruni? No, rivoluzionari!
Ps: Ma chi lo dice, all’ex comunista Giorgio Napolitano e all’ex neo-fascista Ignazio La Russa, di essersi tenuti a braccetto sulla guerra in Libia con la stessa linea politica interventista, in stile perfettamente rossobruno?
Смерть фашизму!
Да здравствует Советских Социалистических Республик!
Già, ma orma da vent'anni l'Unione non c'é più e ne stiamo ancora pagando il prezzo. In compenso, ci sono ancora i fascisti.
Posso farti alcune domande, Simone?
1) perchè ammiri Bombacci?
2) "Nell’area antagonista, infatti, da sempre divisa tra estremisti di destra e sinistra, si sta profilando con sempre maggior forza la tendenza a unire le forze e i pensieri…"
mi sai indicare delle manifestazioni di questa "tendenza"?
3) Tu credi al decisivo valore di civiltà che ha avuto la lotta antifascista negli anni Trenta e Quaranta?
4) più in generale, perché qualcuno dovrebbe avere difficoltà a riconoscere quel valore?
5) si può essere, oggi, contro l’imperialismo americano, la globalizzazione capitalistica, il sionismo, o il modello di democrazia rappresentativa di stampo anglosassone, e contemporaneamente denunciare gli errori e gli orrori di Iran, Siria, Sudan, Corea del Nord, Russia?
6) "“Superamento” di destra e sinistra significa esattamente questo (..), andare oltre, (..) mantenendo alcuni valori condivisi e in qualche modo universali, sviluppandoli e arricchendoli secondo le necessità che le inedite crisi epocali che stiamo affrontando impongono." Mi sai indicare i valori universali propri di chi ha un origine di estrema destra?
7) Tu dici che l'antifascismo "può risultare fuorviante e sterile". Esattamente, perché?
Grazie
Rispondo alle domande di Claudio.
1) Perché fu un rivoluzionario autentico, coerente fino alla morte rispetto al suo ideale di socialismo rivoluzionario, mai opportunista, che anzi si buttò in alcune battaglie che sapeva già perse, consapevolmente e mettendo in gioco la vita, solo per la speranza di rappresentare un esempio da consegnare alla storia.
2) Cardini, Tarchi, il gruppo di Eurasia, il gruppo della Sinistra nazionale.
3) Sì. E soprattutto la fase della lotta di liberazione nazionale. Ma ritengo che tale lotta fu sostanzialmente tradita dalla dirigenza politica, soprattutto da quella comunista e socialista (per gli azionisti e i cattolici non si può parlare di tradimento visto che furono perfettamente coerenti coi loro intenti). Non a caso il tradimento generò quel frutto malatissimo che fu il brigatismo rosso degli anni ’70, che voleva appunto rinverdire quella Resistenza-Rivoluzione tradita.
4) Intendi a “sinistra”, immagino. Appunto, per il tradimento di cui sopra.
5) Certo (ma non ho ben capito il retro-pensiero, se c’è, della domanda).
6) Riferendosi al fascismo rivoluzionario (che sarebbe arduo definire propriamente di “destra”, benché radicale): la supremazia del lavoro sul capitale, la concezione di identità di popolo.
7) Ovviamente mi riferisco all’antifascismo come valore fondante un movimento politico oggi. Perché non è più utile, come dicevo il fascismo non c’è più, è morto da settant’anni. Oggi esiste il totalitarismo, sotto altre forme rispetto quelle storiche del XX secolo, non il fascismo. Esistono i “fascisti”, ma vogliamo mettere come valore fondante di un movimento politico l’antifascismo per fronteggiare quattro coglioni che ancora fanno il saluto romano? E in questo modo escludere pregiudizialmente altri che invece vengono da quella storia ma possono essere nostri compagni di strada, oggi?
Grazie a te
Approvo incondizionatamente il ragionatissimo testo di Santini. Fra tanti azzurrini e rosé, e fra gli ormai pochi rossi e neri arroccati su posizioni vecchie di 70 lunghissimi anni, ben vengano i rosso-bruni.
Sarò telegrafico.
a) "Questo non significa confusione di valori" va inteso come "I nostri valori comunque provengono dall'antifascismo", come è spiegato dal capoverso seguente. Quindi non significa che tutti i valori e disvalori facciano brodo.
b) Sono assolutamente contrario a mettere sullo stesso piano nazismo e comunismo, per il fatto evidentissimo che sono stati due progetti opposti e a me quello che non piaceva era il primo.
c) In quanto agli esiti di questi progetti, la categoria di "totalitarismo" è un buco nero o una fomula magica che nulla spiega perché nulla ha di analitico e di scientifico.
Nell'attesa che si trovi uno strumento più adatto per capire cosa è successo nel Novecento (io qualche idea ce l'ho ma non posso discuterla qui), ricordo che da una parte c'era Auschwitz e dall'altra partigiani che combattevano per la libertà.
Mio padre era partigiano. Mio cugino Franco a 18 anni fu arrestato dalla Gestapo e morì l'anno dopo in campo di concentramento in Germania. Personalmente, come potete capire, non ho dubbi da che parte stare.
Piero Pagliani
Complimenti a Santini e Martini per il livello e il tono del loro dibattito. Sottoscrivo anche le risposte di Santini alle 7 domande. Aggiungerei solo all'elenco di quelli che cercano di abbattere gli antichi steccati Alain de Benoist, di cui Tarchi è un divulgatore in Italia. Mi appello a un fronte ampio fra tutti gli anticapitalisti e antimperialisti: è quanto dà significato al tentativo di creare Uniti e Diversi.
Grazie Fuschini. Infatti ho citato Tarchi per voler rimanere in ambito italiano, ma anche io ovviamente pensavo a De Benoist. E poi non ho citato appunto a chi già si trova nell’alveo di Uniti e Diversi, perché Movimento Zero sicuramente rientra in questa prospettiva e mi pare che anche Per il Bene Comune vi si stia posizionando sempre più.
Un ottimo articolo che condivido in toto.
Guardare avanti e uscire dall' impasse di una dicotomia, che torna utile solo a quel Sistema che non piace a nessuno di noi, è diventato un dovere di tutti coloro che per davvero ambiscono al cambiamento. Assurdo che, in nome di quelle etichette che il Nemico comune ci ha appiccicato, , continui lo scontro sul nulla e ci si rifiuti di confrontarsi sui programmi che per lo più sono sovrapponibili.
Un caro saluto, Simone.
Caro Simone,
sono certo che il giudizio storico sul passato debbe rimanere fermo. Nessun tentativo, quindi, di equiparare nazi-fascismo e comunismo. Il superamento di destra e sinistra va comunque effettuato consapevolmente nel presente e per il futuro. Il discrimine per appartenere ad un movimento democratico e anticapitalista lo individuo nell'adesione fiera e convinta ai principi della Costituzione Italiana (nata dalla Resistenza) e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Chi non accetta queste premesse, fascista o comunista che sia (o sia stato), è un inutile compagno di viaggio, subalterno all'ideologia violenta del sistema capitalistico. I nomi che tu fai, da Cardini a Tarchi, fino a De Benoist, sono di tutto rispetto. E dubito che anche solo uno di loro sarebbe così stupido da definirsi, oggi, fascista. Se lo ha fatto in passato non mi riguarda.
Le vie per giungere ad un cammino comune di pace e di liberazione sono infinite.
Paolo Bartolini
Caro Paolo, sono d’accordo con te. E mi offri la possibilità di chiarire un punto. Col mio intervento non intendevo assolutamente porre la questione di una equiparazione tra nazi-fascimo e comunismo, equiparazione politica, storica, o culturale che sia, sarebbe a dir poco operazione miope e stupida, anzi, per molti versi aberrante. Semmai su questo punto ponevo una questione metodologica: cioè, nazismo, fascismo, comunismo, sono categorie storico-politiche sulle quali il giudizio dovrebbe essere appunto di ordine storico, politico-culturale. Su altro piano, quello valoriale, non ha senso per me fondare oggi un movimento politico che si richiami esplicitamente al comunismo. Non a caso aderisco ad Alternativa e non ai tanti partiti e partitini comunisti o neocomunisti che pur ci sono (e dico così riconoscendomi un passato “comunista”).
Il punto controverso, e mi rendo conto che lo sia, è altro. Cioè, l’antifascismo è come fascismo e comunismo una categoria ormai solo storico-politica o un valore politico attuale su cui fondare un movimento politico? Io mi pongo nella prima opzione, e si badi, così facendo non rinnego i valori dell’antifascismo, né invito nessuno a rinnegarli. Se non altro per un semplice motivo: quei valori fondanti che han dato vita all’antifascismo, che valgono anche oggi, non sono nati con l’antifascismo, ma venivano da ben più lontano. E alcuni di essi erano condivisi addirittura dal fascismo (!) o almeno da alcune sue compenenti e in alcuni momenti. Per questo l’analisi sul fascismo va fatta sul piano storico perché altrimenti è chiaro come si possa far fatica a comprendere che oggi ci sono persone che si trovano sul nostro stesso cammino, che potremmo incontrare, ma che rischiamo di non incontrare se poniamo apertamente una pregiudiziale antifascista. Non perché queste persone non abbiano superato gli steccati ma perché possono pensare, in maniera giustificata, che siamo noi che quegli steccati non li abbiamo ancora superati.
Un forte abbraccio.
Simone Santini
Qualsiasi movimento che voglia definirsi anticapitalista ha come mototre la lotta di classe . Ora , dal momento che definisci il fascismo "anticapitalista" , mi sapresti indicare , durante il ventennio , cos'è che è andato storto ? Quale sfortunata circostanza ha impedito a questa lotta di classe di emergere con tutto il suo bagliore ? Perchè per me c'è stata per tutto il ventennio una lotta di classe , solo che la classe protagonista non era certo quella che avrei voluto io ..
ciao , e grazie per l'eventuale risposta
@ Tania. Non sono un esegeta del fascismo ma credo che un punto di svolta fondamentale per la storia di quel movimento, dell’Italia, e probabilmente dell’Europa, sia da ricercare nel delitto Matteotti. Non so se la storiografia ufficiale abbia sufficientemente sviscerato la possibilità, molto concreta, di mandanti “occulti” (del resto i “poteri forti” in grado di condizionare il potere politico non sono invenzione recente). Se ti va di approfondire l’argomento prova a fare una ricerca online con le parole chiave “Carlo Silvestri” e “delitto Matteotti”. Ti consiglierei di leggere “Mussolini e Matteotti e il dramma italiano” dello stesso Silvestri, se non fosse praticamente introvabile.
Ciò detto, non mi pare di aver scritto da nessuna parte che il fascismo del ventennio (cioè quello al potere) sia stato, tout court, anticapitalista. Anzi, non lo penso. Ho scritto altro. E anche la tua affermazione che la lotta di classe è sempre e comunque il motore dell’anticapitalismo non mi pare così lapalissiana.
Ringrazio te per il tuo intervento.
Non confondiamo i piani e le questioni. Il comunismo è stato un tentativo rivoluzionario, con i suoi sogni, le sue speranze, le sue idealità, le sue realizzazioni (la decolonizzazione per fare un esempio).
Il fascismo è stato una rivolta delle classi medio-borghesi di reazione al comunismo e con al suo interno posizioni "anticapitalistiche" populistiche tipiche della piccola borghesia. A dimostrazione di ciò vi è l'appoggio della grande industria al fascismo e la sua pratica imperialistica (altro che le demoplutocrazie!!!!) come la guerra in Libia, in Eritrea e Somalia, e la partecipazione alla II guerra mondiale insieme con la Germania nazista.
Altro discorso, ovviamente, è il percorso di chi, da destra, giunge a posizioni realmente anticapitalistiche ed emancipatrici ma che questi discorsi non fanno altro che rendere molto più problematico, più di quanto già non sia.
Io sono disposto a superare qualsiasi steccato ideologico, nella mia vita ho riconosciuto a me più vicine persone nate e cresciute a destra, piuttosto che, come me, a sinistra. Questo perché, di fondo, c'è un grande confusione su quelli che sono valori di destra e di sinistra.
Tanto che, credo, sarebbero queste due parole, prima di tutto, da abolire. Perchè ormai generano solo confusione, essendo contenitori in cui troppi, per troppo tempo, hanno messo dentro di tutto.
Il problema, cari amici, non sono le ideologie. Il problema è l'uomo. E noi forse dovremmo sforzarci di individuare quei valori che rendano possibile la sopravvivenza della specie e del pianeta in cui vive.
Il problema non è ideologico, è etico.
E questa etica, a mio parere, deve essere costruita sul principio del primato della ragione sulla cieca forza evoluzionistica in cui il diritto è del più forte, il più astuto, il più adattato, sia esso individuo o popolo, nelle relazioni sociali o economiche.
Lo spartiacque è Etico. Da cui discendono poi le scelte politiche ed economiche.
Altrimenti non ha senso parlare di alcun superamento, perché rimarremo sempre e comunque invischiati nello stesso errore di fondo.
“Il problema, cari amici, non sono le ideologie. Il problema è l’uomo. E noi forse dovremmo sforzarci di individuare quei valori che rendano possibile la sopravvivenza della specie e del pianeta in cui si vive. Il problema non è ideologico, è etico”.
Ben detto buzz, secondo me hai centrato il cuore della questione.
Il problema è la configurazione di un terreno di reale critica-pratica, offensiva, per uscire dalla difensiva e cominciare ad opporre resistenza concreta alla depredazione neoliberista. E' indispensabile assodare che è una questione che ha già travalicato i meandri ridotti e deserti della "politica", e che si tratta di afferrare ed esprimere gli interessi dell'immensa maggioranza sociale, ora sotto attacco.
Non è l'inveterata trappola che riverbera la contrapposizione fittizia destra-sinistra, nè gli echi di ideologismi oggi, qui ed ora, improponibili. Stiamo per essere scaraventati negli anni 30, perdendo conquiste civili e sociali conseguite da tre generazioni di italiani. Ci vuole pragmatismo, senso pratico: farla finita con il narcisismo settario ed impotente di "seguo solo quelli che hanno la mia bandiera, della stessa tonalità di colore e con l'asta con dentica lunghezza e diametro" !!!
Ci vuole pragmatismo, senso pratico, volontà di lottare, in primo luogo per arginare la grande offensiva dell'elite finanziaria. Leticare sulla politica non è proprio il caso, quando siamo in presenza di una equivalenza: neoliberismo di sinistra-neoliberismo di destra; oppure liberismo con due ali interscambiabili e complici.
Sono proprio costoro, ad aver messo in circolazione questa etichetta del rosso-brunismo! Sono le medesime canaglie che nel passato coniarono gli "opposti estremismi si toccano" per arginare la grande offensiva dei cetisubalterni negli anni 70. Si tratta di ciamare a raccolta coloro che sono disponibili a un movimento reale capace di modificare lo statodi cose esistente, qui ed ora.
"Mio padre era partigiano. Mio cugino Franco a 18 anni fu arrestato dalla Gestapo e morì l'anno dopo in campo di concentramento in Germania. Personalmente, come potete capire, non ho dubbi da che parte stare."
Ecco un altro ritardato che segnala avvenimenti presunti.Punto primo bisognerebbe anche che l'idiota segnalasse dove stava la gestapo quando gli arrestavano il presunto cugino.Secondo dovremmo capire la differenza tra comunismo e nazionalsocialismo perchè a conti fatti il comunismo non aveva la gestapo,ma la ceka poi kgb ed anche in fatto di campi di concentramento si è dato più da fare di tutti.Quindi non si capisce come mai si nomini solo ed esclusivamente il nazionalsocialismo,quando negli anni 30' in comunisti in Ucraina (e non solo) praticavano selezione assoluta cioè ammazzavano milioni di persone e così hanno continuato per decenni.
“Trovate l’intruso”, ecco un commento che stona completamente con la pacatezza e la civilta che gli altri hanno avuto nell’esprimere opinioni differenti.
In base a cosa ti permetteresti, con tutto rispetto, di dare del ritardato alla persona in questione, suppongo che non avresti problemi a credergli se avesse detto che l’hanno deportato i sovietici, come non ne avrei io, sarà perchè purtroppo tutti sappiamo quanto i sovietici siano stati dispotici o anche, e qui me ne duolerebbe di più, se un altro affermasse che un parente è stato fucilato ingiustamente dai partigiani.
Mentre scrivevo però ho riflettuto e posso avanzare solo un’ipotesi plausibile per questo energico diniego nei confronti di tale possibilità, idee negazioniste, forse.
Questa mia precisazione non sminuisce in alcun modo gli orrori delle persecuzioni sovietiche e si limita ad affermare che queste ultime erano su basi politiche più che etniche, ma è una sottigliezza in quanto i due piani si sovrappongono, rimane sempre l’esaltazione dei capi nell’identificare la loro stabilità e benessere con quello del popolo.
A proposito di popolo sulla concezioni di “identità del popolo” come valore universale ci sarebbe da discutere, niente da dire in linea di principio, ma bisogna vedere come questa si delinea, se intenda negare che etnie e origini diverse non siano necessariamente motivo di divisione, in certe situazioni. Saranno frutto in parte di una globalizzazione voluta dai poteri economici dominanti, della dispersione della lotta di classe con l’arrivo di nuovi poveri da paesi impoveriti, ma non possiamo negare il valore di un’amicizia tra compagni di classe di etnie diverse, non possiamo certo dividerli. Semmai la lotta deve essere unita.
Non intervenni a quel tempo a commentare l’articolo che non condividevo di Simone, il quale non volle entrare nell’ARS e cessò di pubblicare su Appello al Popolo.
Ho sempre creduto che la qualifica di rossobruni, quando non indichi, come sarebbe storicamente appropriato, una specie, minoritaria, di fascisti, e dunque pur sempre fascisti, sia erronea.
Credo che oggi non vi sia bisogno né di rosso-bruni né di rosso-rossi né di nero-neri, bensì di rosso-rosa, di rosa-bianchi e di bianco-neri, uniti in un fronte. Ma in realtà non vi è nessun bisogno di ricorrere ai colori. Basta dire che vi è bisogno di sovranisti che vogliono ricollocare la Costituzione del 1948 al vertice del nostro ordinamento, distruggere l’Unione europea, e ripercorrere un cammino di attuazione della Costituzione che fu abbandonato tra la seconda metà degli anni settanta e i primi anni ottanta.
Il problema è che o fascismi (anche comunista) sono nati come superamenti di destra e sinistra storiche. Giustamente contrari allo squalo del Capitale internazionale hanno dato il popolo in pasto ai barracuda dei capitalisti nazionali. Queste cose accadono con sinistre deboli e sedotte dalla finanza internazionale, con destre che si socializzano o socialisti che si nazional-socializzano senza portare a pieno impiego, redistribuzione etc. che dovrebbe essere l’interesse vero di un controllo nazionale e democratico sugli strumenti finanziari (dazi, moneta, intervento pubblico in economia etc.). Quando poi il popolo non capisce ancora perché non c’è stato un intervento a favore delle masse e i ricchi continuano a magnare, ecco che è colpa dell’Ebbreo errante, degli zingari ladri, dei culattoni antinatalisti ecc.