Cina e Usa si contendono il Pacifico
Perché è importante
Tali dati indicano che la Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta) continua a crescere, malgrado l’opposizione dei rivali di Pechino (a cominciare dagli Usa), le perplessità dell’Ue sulla penetrazione economica del Dragone e il rischio della “trappola del debito” per diversi partner dell’iniziativa, quali Sri Lanka, Pakistan, Gibuti, Malaysia. A ciò si aggiunga che la Repubblica Popolare è al 46° posto nella classifica dei paesi in cui è più facile fare affari, secondo il report “Doing Business 2019” della Banca Mondiale. Il Dragone ha compiuto un salto di cinquanta posizioni rispetto al biennio scorso, ma è ancora parecchio indietro rispetto alla sua Hong Kong (quarta) e agli Usa (ottavi). L’organizzazione riconosce i progressi dell’economia cinese in diversi settori (avvio delle attività economiche, gestioni dei permessi di costruzione, acquisizione dell’elettricità eccetera), ma evidenzia l’assenza di riforme in merito all’esecuzione dei contratti e alla risoluzione delle insolvenze.
USA CONTRO CINA AL SUMMIT APEC
Il summit della Cooperazione economica dell’Asia-Pacifico (Apec) svoltosi in Papua Nuova Guinea a metà novembre è stato dominato dal duello tra Stati Uniti e Cina. Come risultato, per la prima volta in venticinque anni, l’evento si è concluso senza una dichiarazione congiunta. La guerra commerciale mossa da Washington contro Pechino è ormai solo un frammento della più ampia strategia a stelle e strisce di contenimento tecnologico e militare del Dragone. Durante l’evento, il vicepresidente Usa Mike Pence ha detto che gli Stati Uniti “non offrono una cintura limitante e una strada a senso unico”, per scoraggiare la partecipazione dei paesi dell’Asia-Pacifico alla Belt and Road Initiative (letteralmente “Iniziativa della cintura e della via”). Il presidente cinese Xi Jinping dal canto suo ha cercato vanamente di difendere la globalizzazione – e quindi il suo progetto geopolitico – in antitesi al protezionismo dell’amministrazione Trump. Pare che la Cina sia stato l’unico paese a non voler firmare il documento congiunto perché gli Usa vi avevano inserito un’esplicita condanna alle pratiche commerciali sleali. Anonima condanna che aveva come destinataria Pechino.
Gli altri paesi affacciati sul Pacifico cercano in larga parte di mantenere una posizione equidistante tra le due potenze. Obiettivo: accogliere il denaro cinese senza rinunciare al sostegno strategico a intensità variabile degli Usa. Del resto, il piano infrastrutturale proposto dall’amministrazione Trump nell’ambito della visione “indo-pacifica” prevede “solo” 113 milioni di dollari di investimenti, più 60 miliardi da spendere in prestiti ad aziende private per progetti all’estero. Anche con il sostegno di Australia e Giappone, la cifra non sarebbe sufficiente per competere con la mole di denaro messa a disposizione dalla Cina.
L’AMBIGUITÀ DELLA PAPUA NUOVA GUINEA
La Papua Nuova Guinea mantiene una posizione a dir poco ambigua nel duello sino-statunitense. Al vertice Apec, Washington ha fatto sapere che con Canberra potenzierà la base militare di Manus, situata nella parte settentrionale del paese arcipelagico. La Papua Nuova Guinea otterrà anche l’aiuto statunitense, australiano, neozelandese e nipponico per estendere al 70% della sua popolazione l’accesso alla rete elettrica nazionale entro il 2030. Allo stesso tempo, questo paese ha aderito alle nuove vie della seta ed è membro dell’Asian infrastructure investment bank (Aiib, a guida cinese). Inoltre, la Papua Nuova Guinea ha recentemente permesso a Huawei di completare la costruzione della rete 5G nazionale. A poco è servita l’opposizione di Washington, Canberra e Tokyo, per le quali Pechino potrebbe servirsi di questa infrastruttura critica per spiare i paesi che la utilizzano.
L’AUSTRALIA TRA TIMORI STRATEGICI E CONVENIENZA ECONOMICA
Anche l’Australia pare incerta sulla postura da assumere nei confronti della Cina. Da un lato, Canberra riconosce benefici economici derivanti dalla collaborazione con la Repubblica Popolare. Il governo del primo ministro Scott Morrison ha infatti abbandonato il piano per un accordo di libero scambio con Taiwan, dopo che Pechino ha minacciato ripercussioni sulle relazioni sino-australiane. Le relazioni a cavallo dello Stretto di Formosa sono tutt’altro che positive e la Repubblica Popolare vorrebbe riprendersi l’isola entro il 2050. Inoltre, l’adesione dello Stato di Victoria alle nuove vie della seta lascia intendere la rilevanza della Cina quale partner economico dell’Australia.
Allo stesso tempo, Canberra teme l’eccessiva penetrazione di Pechino nei suoi affari economici e politici. Lo conferma non solo il divieto a Huawei e Zte per la costruzione della rete 5G nazionale, ma anche il lancio del programma infrastrutturale da due miliardi di dollari nel Pacifico per contrastare la Bri.
NUOVA ZELANDA CONTRO HUAWEI
Al pari di Australia e Usa, la Nuova Zelanda vede in Huawei una minaccia alla sicurezza nazionale. L’Ufficio governativo per la sicurezza delle comunicazioni neozelandese ha infatti respinto la richiesta dell’operatore telefonico Spark New Zeland di realizzare la sua rete 5G usando la tecnologia della multinazionale cinese. Eppure questa aveva già contribuito allo sviluppo del sistema 4G operativo in territorio neozelandese.
FILIPPINE, TONGA, VANUATU, FIGI E ISOLE COOK NELLE NUOVE VIE DELLA SETA
Durante la visita di Xi Jinping nelle Filippine, Manila ha firmato il memorandum di adesione alla Bri. Il presidente filippino Rodrigo Duterte continua a giocare su due fronti, tenendosi stretta la collaborazione militare con gli Usa e alimentando quella economica con la Cina. Duterte vuole servirsi degli investimenti infrastrutturali cinesi per migliorare la qualità di settori quali trasporti, agricoltura, irrigazioni, porti, gestione dell’energia idroelettrica, telecomunicazioni.
Questo mese ,anche Tonga, Vanuatu, Figi e Isole Cook hanno firmato il memorandum. Prima di loro avevano compiuto il medesimo gesto anche la Papua Nuova Guinea, Niue e Samoa. Pechino tenta insomma di erodere la sfera d’influenza dell’Australia.
L’ITALIA RIMANDA L’ADESIONE ALLA BRI
La partecipazione dell’Italia alla Bri è sfumata, per ora. Roma avrebbe dovuto firmare il memorandum di adesione durante la prima esposizione internazionale per le importazioni della Cina (Ciie). Il documento non è vincolante, ma certificherebbe l’appoggio nostrano all’iniziativa geopolitica cinese. Roma potrebbe aver deciso di rimandare questo passo per non inasprire i complessi rapporti con l’Ue e gli Usa, entrambi contrari a una eccessiva penetrazione economica cinese nel Vecchio Continente. Non è escluso che l’Italia firmi il memorandum l’anno prossimo. Magari durante il secondo forum della Bri, che si terrà a Pechino ad aprile. Resta da vedere se in questi mesi l’Italia tramuterà l’indecisione in una chiara presa di posizione (a favore o contro la Bri) oppure se sceglierà di non scegliere. Subendo passivamente le reazioni di Usa e Cina.
XI JINPING IN SPAGNA
La visita del presidente cinese Xi Jinping in Spagna (27-29 novembre) non determinerà la partecipazione ufficiale di quest’ultima alle nuove vie della seta. Al pari di Roma, Madrid è preoccupata per le ripercussioni che l’appoggio al progetto geopolitico cinese avrebbe nei rapporti con il resto dell’Ue.
A ogni modo, è probabile che Cina e Spagna siglino nuovi accordi economici. Gli investimenti cinesi in terra spagnola sono aumentati rapidamente negli ultimi anni, da dieci milioni di euro del 2012 al 1.6 miliardi nel 2016. Inoltre la Cosco, gigante della logistica cinese e braccio operativo della Bri, ha già investito nei porti di Valencia e Bilbao. Le esportazioni spagnole verso la Repubblica Popolare sono aumentate del 23,8% lo scorso anno, ma complessivamente il deficit commerciale spagnolo è cresciuto del 2,3% rispetto al 2016. Madrid potrebbe accogliere nuovi investimenti e chiedere un maggiore accesso al mercato cinese, per aiutare l’economia a crescere.
IL PRIMO AEROPORTO DELLA CINA NELL’ANTARTICO
La Repubblica Popolare ha avviato la costruzione del suo primo aeroporto nell’Antartico, vicino alla stazione permanente di ricerca cinese Zhongshan. Al Polo Sud, Pechino dispone anche di una seconda infrastruttura in funzione tutto l’anno, chiamata “Grande Muraglia”. Le basi Kunlun e Taishan invece sono aperte solo durante l’estate australe.
Nell’Antartico, altri quindici paesi dispongono di una pista d’atterraggio: Usa, Russia, Regno Unito, Australia, Nuova Zeland, Francia, Italia, Germania, Cile, Argentina, Norvegia, Sudafrica, Giappone, Belgio e India. Il completamento di quella cinese richiederà alcuni anni e all’inizio vi opererà solo un aereo, lo Xue Ying 601, che attualmente usa la pista della Russia, la più vicina alla stazione di Zhongshan. Pechino vuole ampliare le attività nell’Antartico per sfruttarne le risorse (energetiche e ittiche) e servirsi degli avamposti a fini strategici. Lo scorso gennaio, la Cina ha pubblicato il suo primo libro bianco sull’Artico, con l’intenzione di tracciarvi una “via della seta polare”, quale nuova rotta della Bri. È probabile che in futuro anche l’Antartico sia incluso esplicitamente nell’iniziativa cinese.
I DOLORI DEL PAKISTAN
L’attacco sferrato al consolato cinese di Karachi, che ha mietuto quattro vittime, evidenzia la vulnerabilità geopolitica del corridoio economico Cina-Pakistan. Questo percorso infrastrutturale è strategico per Pechino, che vorrebbe servirsene per incanalare parte dei flussi commerciali nell’Oceano Indiano senza passare dallo Stretto di Malacca, controllato dagli Usa. Eppure gli attacchi dei ribelli baluci e di altri gruppi militanti ai danni dei cinesi e dei pakistani impiegati nel progetto mette a repentaglio la loro sicurezza e lo sviluppo del corridoio.
A ciò si aggiunga che l’economia pakistana è destabilizzata dagli alti livelli di debito pubblico e di deficit commerciale e dal crollo delle riserve di valuta estera. Per questo, lo scorso mese Islamabad aveva tagliato di due miliardi di dollari il budget previsto per la costruzione della linea ferroviaria tra Karachi e Peshawar. Poi a novembre ha siglato con Pechino 15 accordi di cooperazione in settori quali la lotta alla povertà, l’agricoltura e il trasferimento di prodotti tecnologici. La Cina evidentemente non vuole permettere all’instabilità economica pakistana di compromettere lo sviluppo di un così rilevante percorso infrastrutturale.
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