Garibaldi fu ferito
In onore di Giuseppe Garibaldi.
di Fabio Gallese
Mario Isnenghi, Garibaldi Fu Ferito, collana Saggine, Donzelli Editore.
Lettori, non fatevi fuorviare dal sottotitolo dell'opera, edita nel 2007 in occasione del 200° dalla nascita dell'Eroe.
Infatti, "storia e mito di un rivoluzionario disciplinato" potrebbe preludere ad un'opera retorica o favolistica sulle gesta di uno degli italiani più noti al mondo, l'unico generale italiano vincente in due secoli.
Al contrario, questo agile volumetto (209 pagine formato pocket) esplora con sommo rigore storico, ma non senza un filo continuo di ironia, l'uso ma soprattutto l'abuso che si è fatto dell'immagine dell'Eroe dalla sua fuga dall'Italia nel 1834 al 1950, abuso accompagnato o meno dal mutare delle parole d'ordine imposte dalle mode politiche che si sono succedute in questi secoli.
Dagli scritti e dalle lettere dell'Eroe riportate nel secondo capitolo di quest'opera, al contrario traspare la sua originale idea di Italia: libera, repubblicana, volontaristica, laica.
Sia i professionisti della politica a lui contemporanei, che i successivi, hanno da sempre ironizzato o gettato fango su questa idea, troppo "semplice", troppo cristallina, irrealizzabile perché presupponente il disinteresse del politico per il potere e la ricchezza, un servizio laico dell'uomo per il suo simile, come fu per lui.
Infatti, pur se fu sempre sostenuto da donazioni generose, non si arricchì mai, e non per inettitudine: a New York fondò una fabbrica di candele che, fin quando fu da lui diretta, andò benissimo!
La retorica rinascimental-savoiarda e poi fascista ne esaltarono l'immagine marziale per dannarne la memoria politica, rimasta però viva nei discorsi delle minoranze parlamentari ottocentesche e nei numerosi studi storici del risorgimento sino a riprendere corpo durante la lotta partigiana, quando altre schiere di garibaldini ripercorsero le stesse strade, versarono nuovo sangue spinti dalla forza rivoluzionaria e laica del suo pensiero, fatto di parole d'ordine semplici ma ancora valide.
Un libro da leggere per conoscere e ri-conoscere le idee originali che trasformarono i mille in cinquantamila, per rivivere i momenti di esaltazione ideale ma anche di disillusione intorno al concetto di patria che spiega molto dei vizi civici degli italiani.
Il tradimento dello spirito garibaldino nella creazione dello stato italiano (e nel suo governo dal 1861 ad oggi), infatti, spiega chiaramente al mondo la pessima visione di sé che affligge l'italiano, il quale, per riassumere, non si sente cittadino ma suddito.
Nel corso della narrazione, nelle citazioni dei discorsi e delle opere di illustri politici italiani traspare evidente il rapporto ambiguo e duale dei detentori del potere politico in Italia, nell'ottocento come nel novecento, rispetto alla figura ed al pensiero di Garibaldi, buono fin quando è statua, figurina, mostrina, ma pericoloso per il potere costituito perché rivoluzionario non infatuato del potere né abbagliato dai privilegi.
I politici italiani sono sempre stati di un'altra pasta: incendiari per ottenere il potere e poi pompieri, a rinnegare idee, amicizie, alleanze e dichiarazioni al momento della acquisizione della posizione dominante, vivono una sorta di stadio larvale rivoluzionario prodromico alla nascita di vanesie farfalle conservatrici incapaci di portare a termine un progetto, qualsiasi progetto, anche la dittatura fascista, naufragata nella totale incapacità e nella immensa voracità dei suoi gerarchi.
Anche il progetto costituzionale del secondo dopoguerra si è arenato quando un minimo di benessere diffuso ha fatto dimenticare ai protagonisti della stesura di quel testo "rivoluzionario" le tensioni ideali e l'impegno politico maturati nell'immediatezza del conflitto mondiale.
Ora siamo schiavi di tecnoplutocrati che con un dito possono toglierci tutto, schiavi di catene invisibili fatte di bisogni inutili, costretti al moto perpetuo come criceti in gabbia.
Garibaldi redivivo tornerebbe in Aspromonte, ripartirebbe da Quarto, riattraverserebbe la Romagna, ma soprattutto chiamerebbe ancora a raccolta i giovani disposti a dare il loro fattivo contributo per il miglioramento della res publica, per dare loro unità di intenti ed obiettivi.
Noi per questo lo eleviamo a simbolo del nostro progetto di Risorgimento della Repubblica.
Ma non era una marionetta pilotata da Albione?
Tesi ardita, la quale non può essere nemmeno discussa se espressa con una semplice domanda.
Prova ad argomentare che Garibaldi: a) agì in una direzione diversa da quella che doveva percorrere per realizzare gli obiettivi che si prefigeva; e b) che non realizzò i suoi obiettivi nemmeno in parte. Soltanto se dimostri a) e b) puoi affermare con coerenza che Garibaldì fu una marionetta. Ma non credo che né tu né nessun altro, per quanto profondo, colto è intelligente possa dimostrare a) e b). Infatti, se l’azione di Garibaldi è stata diretta ai fini che si prefigeva e, in parte (come sempre accade nella storia), li ha raggiunti, non ha alcun senso, dal punto di vista sorico e logico, qualificarlo una marionetta. Se poi intendi dire che vi fu concordanza di interessi e di obiettivi immediati (non quelli finali) tra la Gran Bretagna e Garibaldi, allora la qualifica di Mrionetta è certamente errata. E’ come argomentare dai Patti Lateranensi che il Fascismo fu una marionetta del vaticano o che il vaticano fu una marionetta del Fascismo. E’ addirittura assurdo.
Rivalutare Garibaldi? No grazie, leggetevi le cronache del massacro di Bronte. Se fosse redivivo, lo ritroveremmo nelle schiere dei bunga bunga…
La guerra è la guerra. Un errore, anche gravissimo; un atto di straordinaria violenza. Un atto di repressione necessaria (a torto o ragione), nell'opinione di chi lo commette, perché una impresa abbia successo, non può significare assolutamente nulla in un giudizio storico obiettivo, distaccato, non moralista.
Fu coraggioso? E allora deve essere ammirato anche dai detrattori, i quali, altrimenti, suscitano sospetto. Ebbe un'idea alla quale dedicò la vita? Fu un realista, accettando un esito che soltanto parzialmente coincideva con i propri ideali? Fu ammirato da tutti i borghesi del sud (e da alcuni nobili) che erano liberali e da quella parte del popolo che seguiva i borghesi liberali anziché i preti e i nobili fedeli ai borboni?
Traggo velocemente notizie da Wiki, che qualche volta è utile, perché semplifica le ricerche.
Fin da ragazzo salvò vite umane dall'annegamento? Fuggì di casa da ragazzo per sottrarsi agli obiettivi del padre e realizzare il proprio destino? Scelse fin da giovane le idee Mazziniane e l'ideale dell'unità d'italia? Entrò nella giovani Italia? Ebbe l'idea fantastica di condurre una guerra corsara contro austriaci e piemontesi? Affrancò e rese libero lo schiavo trovato sulla prima nave assaltata? Fu accusato dalle autorità dell'uruguai di aver liberato cento schiavi neri? Ha combattuto in una delle pagine più belle della nostra storia, ossia in difesa della Repubblica Romana, dove fu pure ferito? E respinse l'esercito di Ferdinando II che era accorso in difesa del papa (è un fatto che i neo suddisti omettono continuamente di considerare)? Riuscì a fuggire rocambolescamente da quella meravigliosa avventura, subendo anche il sacrificio del suo amore? Rifiutò l'immunità parlamentare?Si allontanò realisticamente da Mazzini credendo il programma mazziniano irrealizzabile? Ebbe successi contro gli austriaci nella seconda guerra di indipendenza? Partì per il sud con l'esercito più colto di tutti i tempi (avvocati, ingegneri, medici)? (allora le masse stavano appena entrando nella storia; sicché la discussione sul risorgimento come fenomeno borghese o di popolo è ridicola: fu sufficentemente di popolo per il tempo; tanto che parecchi membri del popolo del sud combatterono per il regno delle due sicilie). Il 10% degli iniziali mille erano del sud e segnatamente in gran parte siciliani? Si unirono a lui anche nobili come il barone di Santanna? Sconfisse l'esercito borbonico? Chiese, da parlamentare, di ricostituire l'esercito del sud, il cui scioglimento sarebbe stato, a suo dire, la causa del brigantaggio? Tentò di attaccare Roma, per liberarla dal potere temporale del papa, senza il consenso dei piemontesi e si scontrò, rimanendo ferito, con l'esercito dei piemontesi? In occasione della terza guerra d'indipendenza si presentarono 30.000 persone che volevano essere volontari comandati da lui? Fu ferito anche nella terza guerra d'indipendenza? Obbedì, quando era penetrato nel territorio nemico? Combatté per la terza repubblica francese nella guerra franco-prussiana essendo quasi l'unico at ottenere successi? Hugo lo ringraziò pubblicamente, dicendo che soltanto Garibaldi era intervenuto, mentre le nazioni si erano tenute in disparte? Gli offrirono di partecipare alla guerra di secessione (sia gli stati del sud che quelli del nord)? Si dichiarò disponibile a partecipare con gli stati del nord se gli avessero dato il comando supremo e fosse stata netta la proposta abolizionista? Verso la fine della vita, assunse idee socialisteggianti? Coniò il motto "l'internazionale è il sol dell'avvenire"? Prese posizione a favore della comune di Parigi? E non fu Benedetto Cairoli, il garibaldino che aveva perso due fratelli a Villa glori, a proporre nel 1872 il suffragio universale?
Il massacro di Bronte è un episodio. La rivolta dei contadini contro i possidenti impauriva qualcuno che poteva risultare utile alla causa. Era anche estranea all'impresa dell'unità d'italia. Mi sembra che, purtroppo, qualche noto inglese avesse possedimenti proprio a Bronte. Ma non ha senso giudicare un uomo da un episodio. Cosa credi che Lenin non abbia alcuna responsabilità per la morte di qualche milione di persone durante la guerra civile che seguì la rivoluzione? I morti erano tutti cattivi? Tutti ricchi? E che dire allora di Robespierre?
La guerra è guerra. Gli eserciti, anche quelli dei rivoluzionari, sono spesso formati da persone violente. E la violenza chiama violenza. Se ti torturano un amico, tu diventi improvvisamente un torturatore. All'obiettivo principale vengono sacrificati tanti valori importanti.
Se conosci un italiano vivente che valga un centesimo di Garibaldi indicami il suo nome. Nemmeno in passato ve ne sono stati altri. Abbiamo avuto martiri del risorgimento o della resistenza e persino kamikaze come Pietro Micca. Ma di uomini che hanno vissuto la vita come avventura, al servizio di un ideale; che hanno combattuto per quell'ideale e sono stati feriti più volte; che sono stati realisti, accettando un esito non conforme al proprio desiderio, nella convinzione, fondata, che le cose non potessero andare diversamente; di tali uomini ne abbiamo avuto uno solo: Giuseppe Garibaldi.