La ‘Storia’ di Francesco De Sanctis (seconda parte)
di GIAMPIERO MARANO (FSI Varese)
Nel Cinquecento si allarga sempre più il solco fra lo scetticismo e il materialismo degli intellettuali (si pensi a Pomponazzi) e della borghesia da un lato e la religiosità del popolo, “meno corrotto de’ suoi letterati”, dall’altro: la borghesia in ascesa e il letterato si trovano rispecchiati nell’Orlando furioso, un poema dalla raffinatezza artistica ineguagliata ma “vuoto di valori religiosi, patriottici e morali”, poiché in Ariosto il soprannaturale è “semplice macchina o forza, senza personalità”. Il riso di Ariosto “è il riso dello spirito moderno (…) precursore della scienza”: nel suo mondo “non è alcuna serietà di vita interiore, non religione, non patria, non famiglia, e non sentimento della natura, e non onore, e non amore”.
Questa tendenza individualista e puramente formalista in materia di letteratura, morale e religione raggiunge l’apice con Guicciardini e Tasso, per proseguire ancora nel Seicento con Chiabrera e Marino.
L’età barocca si sviluppa nel segno del sentimentalismo, dell’eccitabilità, della malinconia femminea, tutte manifestazioni tipiche della decadenza; svuotata di ogni contenuto autenticamente religioso, patriottico e morale, la letteratura stessa “diviene sempre più una forma convenzionale separata dalla vita”.
Ma è ferrea legge della storia e della natura che un determinato movimento dello spirito debba essere compensato dal suo contrario, e proprio nel Cinquecento comincia a delinearsi una nuova cultura, libera ed energica, il cui precursore è Machiavelli, “la coscienza e il pensiero del secolo”.
Machiavelli fu il primo a comprendere che l’Italia non poteva mantenersi indipendente senza essere unita. Certo la sua posizione era, in pieno Rinascimento, nulla più che quella di un isolato; il suo slancio patriottico era comprensibile più per il popolo che per i letterati cortigiani: “Le classi colte, ritiratesi da lungo tempo nella vita privata, tra ozi idillici e letterari, erano cosmopolite, animate dagl’interessi generali dell’arte e della scienza, che non hanno patria”, anche se, secondo De Sanctis, a Firenze gli intellettuali e la borghesia erano ancora parte del popolo e non separati da esso come invece accadeva in altre parti d’Italia.
L’ideale di Machiavelli introduce elementi di trascendenza in un secolo che l’ha respinta di fatto in quanto è imperniato sui concetti di virtù, gloria e patria: quest’ultima è vista da Machiavelli, nell’interpretazione che ne propone De Sanctis, come “una totalità politica fortificata e cementata da idee religiose, morali e nazionali”. La religione, al pari dell’istruzione ma a patto che non si trasformi in potere temporale, è “un istrumento di grandezza nazionale”, e poiché la causa della decadenza degli Italiani, cioè dello svanire del patriottismo, è “il pervertimento religioso”, la colpa della Chiesa non è stata soltanto quella di sollecitare l’intervento di eserciti stranieri a difesa del potere temporale ma consiste soprattutto nell’aver tenuto comportamenti immorali che hanno allontanato il popolo dalla religione.
Machiavelli precorre il processo di “lenta ricostituzione della coscienza nazionale” che prende avvio con l’opposizione all’ideologia ufficiale della Controriforma e del Seicento: per riappropriarsi del “colore locale e nazionale”, la cultura italiana più avanzata lotta contemporaneamente sia contro il cosmopolitismo teocratico della Chiesa sia contro quello laico.
In questo senso, uno dei “primi santi del mondo moderno” è Giordano Bruno, che “ha sviluppatissimo il sentimento religioso, cioè il sentimento dell’infinito e del divino (…) Leggendolo, ti senti più vicino a Dio. E non hai bisogno di domandarti se Dio è e cosa è. Perché lo senti in te e appresso a te, nella tua coscienza e nella natura. Dio è ‘più intimo a te che non sei tu a te stesso’. Tutte le religioni non sono in fondo che il divino in diverse forme”.
Nella sua polemica con Cartesio anche Vico si ricollega alla philosophia perennis: “Base della sua filosofia”, scrive De Sanctis, “è l’ente, l’uno, Dio. Tutto viene da Dio, tutto torna a Dio l’’unum simplicissimum’ di Ficino. L’uomo e la natura sono le sue ombre, i suoi fenomeni. La scienza è conoscere Dio, ‘perdere se stesso ‘ in Dio”. Il risveglio della coscienza nazionale procede nel Settecento con Parini, grazie al quale “la poesia riacquista la serietà di un contenuto vivente nella coscienza”, e con Alfieri, “l’uomo nuovo in veste classica”, che studiando l’antichità riscopre “il patriottismo, la libertà, la dignità, l’inflessibilità, la morale, la coscienza del dritto, il sentimento del dovere”.
Nell’Ottocento i Sepolcri di Foscolo, pur privi di un’ispirazione religiosa, rivelano un “vivo senso dell’umanità” attento ai valori della famiglia, della nazione e della libertà. Al punto finale del processo di rinnovamento della civiltà italiana De Sanctis pone il romanticismo; ne elogia la moderazione nel promuovere innovazioni e l’impermeabilità a “stravaganze ed esagerazioni forestiere” ma osserva anche l’assenza della “semplicità dello spirito religioso”, determinata dal fatto che in questo movimento continua ad agire, come nel classicismo, l’inclinazione antropocentrica della modernità: “La ‘divina commedia’ è capovolta: non è l’umano che s’indìa, è il divino che si umanizza”.
Nelle pagine conclusive della Storia De Sanctis parla da critico militante in senso più stretto e convenzionale: si augura che la letteratura nazionale contemporanea sappia trasformare la modernità in “mondo nostro” ma nello stesso tempo avverte che ciò non accadrà senza “‘esplorare il proprio petto’, secondo il motto testamentario di Giacomo Leopardi”.
De Sanctis non è insensibile neppure alle singole realtà regionali e locali italiane: si pensi al cenno autobiografico, da non considerare banalmente aneddotico, alla processione popolare celebrata nel suo borgo natale in occasione di una festività mariana, e ancor più ai passi in cui distingue fra l’attitudine contemplativa, la vivacità tenera e voluttuosa degli scrittori meridionali, l’arguzia, la saggezza e la grazia misurata dei toscani, la “decisione e chiarezza” dei settentrionali. Né manca un’allusione, questa volta in una prospettiva ecumenica inter-statale, all’utopia federalista e democratica di Mazzini (o a Mazzini attribuite): il robusto patriottismo di cui il critico dà prova, e per il quale pagò di persona affrontando il carcere borbonico e l’esilio, non sconfina mai, come avrebbe detto Saba, in nevrosi nazionalista.
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