Efficienza e giustizia ai tempi dell’Unione Europea
di STEFANO ROSATI (FSI Rieti)
Quanta distanza ci deve essere tra un cittadino e il ‘suo’ giudice? Quanti km è giusto che un cittadino percorra per avere giustizia? Qual è lo standard fissato dagli organismi internazionali? Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo l’accesso alla giustizia è strettamente legato alla riduzione della povertà, in quanto tramite esso viene assicurata la partecipazione alla vita democratica e l’emancipazione dei settori della società più marginali.
La Costituzione sul punto non prevede nulla perché ha recepito un sistema giudiziario forgiato dalla tradizione, e quindi fondamentalmente accettato dalla collettività, che teneva conto non solo delle caratteristiche orografiche e dello stato dei collegamenti del territorio ma anche dei differenti problemi di ordine pubblico delle singole circoscrizioni; la litigiosità dei cittadini e i tassi di criminalità variano da circoscrizione a circoscrizione. L’unica novità prevista dal Costituente era l’innesto nell’ordinamento giudiziario ereditato dal passato dei Tribunali regionali amministrativi, avvenuta solo negli anni ’70.
Il sistema giudiziario che abbiamo ereditato era basato sulla prossimità al cittadino (tribunali grosso modo in ogni città e giudici di pace anche nei paesi più grandi) e caratterizzato da una cronica carenza dei ruoli (pochi giudici, pochi pubblici ministeri, poco personale; in Italia, nel 2016 i giudici togati erano 10,6 per 100mila abitanti, ben al di sotto della media dei nostri ‘partners’ europei ,pari a 21 giudici; inutile dire che questo dato indica in modo assolutamente univoco quale è l’unica riforma necessaria; aumentare i ruoli di tutto il personale giudiziario).
L’efficienza e l’efficacia del nostro sistema è stata molto criticata, soprattutto da vari organismi internazionali, in base alle indicazioni dei quali nel 2011 fu fatta una riforma basata su soppressione e accorpamenti di uffici giudiziari tutt’ora molto controversa per i risultati conseguiti in termini di risparmi di spesa e di qualità del servizio per cittadini e professionisti.
Si trattava forse un sistema giudiziario inefficiente ma che teneva conto di aspetti fondamentali per la legittimazione democratica di un Paese, aspetti che purtroppo le sterili analisi di “economia aziendale applicata” degli organismi internazionali non riescono a vedere. Secondo costoro, nel ridisegnare la mappa giudiziaria dovremmo tenere conto di alcune anomalie: i distretti di Taranto, Messina e Reggio Calabria coprono ciascuno un’area tra 2.500 e 3.200 km2 (ossia ognuna l’1% della superficie Italiana) mentre i distretti di Torino, Bologna e Firenze coprono un’area 10 volte più grande (tra 22.000 e 29.000 Km2, ossia ognuno l’8% della superficie Italiana), e questo non va bene!
Tra le righe ci viene detto che i distretti di Taranto Messina e Reggio andrebbero accorpati, del fatto che a Taranto Messina e Reggio Calabria ci sia forse un po’ più di criminalità organizzata che a Firenze non bisogna invece tener conto: si chiama efficienza, o deficienza (mentale).
Sulla base di questi parametri è allo studio una riforma che, visti i grandi risultati raggiuti dalla riforma del 2010, accorpi e riduca le Corti d’Appello: perché è inefficiente che in Sicilia ci siano 4 Corti d’Appello e in Veneto solo una. Peccato che la realtà della Sicilia sia un po’ diversa da quella del Veneto (non è né meglio né peggio, è diversa).
Visto il valore che gli organismi internazionali riconoscono all’accesso alla giustizia (eguaglianza, lotta alla povertà e partecipazione democratica), i criteri da loro elaborati per ridisegnarne la mappa ci confermano che in questi consessi è pieno di persone con grossi problemi di aderenza alla realtà, e che dovremmo al più presto lasciarli giocare nei loro giardini per bambini un po’ troppo cresciuti senza disturbarli troppo.
Non poteva però mancare il parere dell’Unione Europea. La Commissione europea, infatti, pubblica annualmente il “quadro di valutazione UE della giustizia”, che “confronta l’efficienza, la qualità e l’indipendenza dei sistemi giudiziari degli Stati membri dell’UE, con l’obiettivo di aiutare le autorità nazionali a migliorare l’efficacia dei sistemi giudiziari”. L’Unione Europea valuta spesso le performance degli Stati membri anche su aspetti su cui farebbe meglio a tacere (il deficit di democraticità è un suo tratto genetico che fino ad oggi dopo settant’anni di pace non si è riusciti a risolvere).
Nel quadro di valutazione della giustizia 2017, nulla si dice delle controversie per omessa vigilanza in materia bancaria: poniamo che un anziano signore di Trapani scopra che le azioni della Banca che ha sottoscritto valgono zero perché la banca è fallita. Non rimprovererà se stesso per avere investito male, ma vorrà avere indietro i suoi soldi perché non era lui a dover investire bene, ma lo Stato a dover vigilare. Farà quindi causa all’autorità di vigilanza sulle banche più significative, ossia la BCE. Consulterà un avvocato e citerà in giudizio la BCE… a Lussemburgo (art. 268 TFUE)!
Dopo l’avvio del Meccanismo Unico di Vigilanza, infatti, non potrà più andare dal giudice della sua città, dovrà andare a Lussemburgo (peraltro da un giudice che non ha giurisdizione piena in quelle materie ma adesso questo non è significativo).
Voi che dite farsi 2000 Km per essere ascoltati dal giudice sono sufficienti?
Mi sembra un sistema abbastanza efficiente (per le banche e per la BCE). Questo gigantesco furto legalizzato di giurisdizione e quindi di democrazia e giustizia non compare nel quadro di valutazione dei buontemponi della Commissione. Chissà se prima o poi lo valuteranno e se lo metteranno in conto al sistema giudiziario europeo o a quello dei Paesi nazionali. Per avere più giustizia ci vuole più recesso (dai Trattati UE).
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