Perché dico no al federalismo*
di STEFANO D’ANDREA
* Articolo pubblicato su Appello al Popolo il 30 gennaio 2011, nel quale si trova, tra l’altro, questa chicca: “La crisi economica – si tratta di incertezza per tutti e di povertà per alcuni – potrebbe durare un decennio o due” (Larry Summers ha avanzato la tesi della stagnazione secolare soltanto alla fine del 2013!).
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Non ho obiezioni di principio contro il federalismo, anche se, a rigore, il federalismo vero è quello che “federa”, unendo stati diversi e sovrani, che federandosi perdono la sovranità. In Italia le federazione non fu possibile e fu necessaria la conquista egemonica piemontese, che alla fine fu per lo più accettata (come unica via percorribile) anche da chi, pur favorevole all’unificazione, l’aveva sempre avversata. Attuare oggi il “federalismo” significa creare o rafforzare centri politici parziali che si affiancano al centro politico della nazione, istituendo un rapporto dialettico tra i primi e quest’ultimo.
Le perplessità nascono dal caso concreto: l’Italia nella condizione in cui si trova oggi.
In primo luogo, l’Italia, non diversamente da altri stati europei , subisce da lungo tempo un intenso processo di erosione della sovranità.
L’erosione di sovranità ha proceduto verso l’alto: nei confronti della NATO e quindi degli Stati Uniti d’America; nei confronti degli organi dell’Unione europea e quindi del grande capitale finanziario e industriale (tedesco e francese in particolare); e, infine, nei confronti di quel guazzabuglio che viene chiamato lex mercatoria e che comprende, a mio avviso, anche il WTO: quindi a vantaggio, fino a qualche anno fa, degli Stati Uniti d’America e ora di varie potenze economicamente emergenti.
Peraltro, in Italia l’erosione della sovranità statale si è spinta anche verso il basso, a favore delle Regioni.
L’erosione continua della sovranità sta svuotando di poteri lo Stato italiano. Si tratta di una situazione nuova, creatasi soprattutto nell’ultimo ventennio, e che è all’origine dei dubbi sull’Unità d’Italia che cominciano a serpeggiare. Perché niente ci sembra più funzionare e perché tutto sta peggiorando? Perché lo Stato Italiano è stato svuotato della sovranità.
Al fattore della continua erosione della sovranità – la quale, verificatasi sotto profili parziali in seguito alla sconfitta della seconda guerra mondiale, ha avuto nell’ultimo ventennio un’accelerazione tale che nessuno trent’anni fa avrebbe mai potuto nemmeno immaginare – si affianca l’individualismo, che è la cifra della nostra epoca. Esso indebolisce tutti gli Stati. Perché getta nel dimenticatoio tutte le storie e le culture dei popoli, tutte le narrazioni, tutti i concetti che raggruppano collettività di persone, più o meno grandi (Stato, Popolo, Nazione, Classe, Partito, Corporazione, Ecclesia).
A questi due primi elementi, che nell’ultimo ventennio sono “esplosi”, sotto i profili sia quantitativo che qualitativo, va poi aggiunto l’elemento nuovo: la crisi economica.
La crisi economica – si tratta di incertezza per tutti e di povertà per alcuni – potrebbe durare un decennio o due. E nessuno oggi esclude che vi siano significative possibilità di crolli di sistemi economici nazionali. Per alcuni, in particolare per gli organi di stampa del grande capitale finanziario, ci sono possibilità che la Grecia, il Portogallo, la Spagna e anche la UE crollino. Per altri sarebbero gli Stati Uniti ad essere giunti ad un passo dal baratro. Io non mi sento di escludere un significativo crollo del sistema economico italiano se la crisi economica durerà molto tempo.
In situazioni di grande crisi gli Stati talvolta implodono. Tanto più implodono se sono già in movimento spinte centrifughe e se si tratta di Stati deboli perché composti da popoli di individualisti, non disposti a battersi e a resistere per una storia e un progetto comune, quale che sia.
Aggiungo, che il federalismo, attuato in questo momento storico, non soltanto aumenterebbe il rischio della implosione dell’Unità federale (che si vorrebbe costituire), bensì trasferirebbe poteri a ceti politici e burocratici che fino ad ora hanno dimostrato di essere meno preparati e più corrotti di quelli nazionali. Nelle regioni si annida la massima corruzione italiana.
Infine, l’Italia, più di ogni altro Stato, colpita da una grave crisi depressiva e invaghita degli Stati Uniti d’America, negli ultimi venti anni ha modificato un’enorme quantità di settori nevralgici dell’ordinamento, interrompendo un percorso che, con limiti ed errori, aveva una sua linearità, una sua logica e una sua storia. Si è venuto a creare un vero e proprio ordinamento disfunzionale, ingiusto e radicalmente in contrasto con il programma costituzionale.
Il federalismo rischia di essere come il bipolarismo, come il maggioritario; come l’indicazione del nome del candidato presidente del consiglio sulla scheda elettorale; come la concorrenza e la svendita delle aziende pubbliche; come i contratti atipici sorti in ambiente angloamericano, entrati nel nostro ordinamento “per agevolare il commercio internazionale” e infine approdati stabilmente nel commercio nazionale; come le “autorità indipendenti” (da chi?); come l’abolizione delle licenze commerciali; come l’abolizione dei minimi tariffari, che tutelavano dalla concorrenza alcune categorie di liberi professionisti; come la (voluta) eliminazione del contratto di lavoro nazionale; come il processo accusatorio; come le riforme del diritto societario, industriale e fallimentare; come le riforme della legislazione bancaria, finanziaria e valutaria; come la riforma universitaria del 3+2; come l’autorizzazione di pressoché ogni attività di scommessa e di gioco; come la eliminazione della stabilità del rapporto di lavoro subordinato; come le televisioni nazionali non più solo pubbliche ma anche private. Tutte iniezioni di istituti alieni nel corpo dell’ordinamento giuridico italiano. Un flusso continuo di veleno, che, in poco più di venti anni, ha disordinato e scardinato un ordinamento – dunque uno Stato, che non era migliore né peggiore di altri e che aveva tuttavia caratteri propri – e impoverito, intristito e instupidito un popolo.
Per queste ragioni, concrete e non astratte, che valgono ora e non in futuro e per sempre, sono contrario a dare attuazione, in un modo o nell’altro, al federalismo. Resta fermo che, se il federalismo si combatte politicamente esprimendo il punto di vista contrario e affilando gli argomenti contro la sua introduzione in questo momento storico, le secessioni si combattono militarmente, al fianco dell’esercito italiano.
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