Il danno della semi acculturazione.
di ALDO GIANNULI
Nella società più recente, si è affacciata una figura socio culturale poco osservata o al massimo considerata alla stregua di una macchietta di cui ridere: il semi acculturato che, invece, merita di essere studiato, anche perché il fenomeno tende ad estendersi. E vale la pena di prendere il discorso dall’inizio.
La scolarizzazione di massa, storicamente, ha avuto più successo sul piano dell’istruzione professionale che su quello della diffusione della cultura.
Anche La formazione culturale di base è stata tradizionalmente affidata alla scuola media e, segnatamente quella superiore, mentre cessa quasi del tutto nell’Università (salvo che per quei corsi di laurea in cui professione e cultura coincidono come per la formazione degli insegnanti) e questa tendenza è andata via via accentuandosi.
Ad esempio, il corso di laurea di Legge ha via via rinunciato o molto ridimensionato insegnamenti quali Filosofia del diritto, Diritto canonico, Storia del diritto, per non dire del gruppo romanistico che, sino mezzo secolo fa, era ritenuto il fulcro formativo dell’intero corso. Il tutto a vantaggio dei “diritti” immediatamente operativi (commerciale, del lavoro, penale, amministrativo e relative specificazioni ed ibridazioni). Quindi sempre più scuola di istruzione professionale che scuola di formazione generale.
Il risultato è stato quello di produrre operatori più o meno buoni del diritto, dell’economia, dell’ingegneria o della medicina e così via, muniti di una sommaria infarinatura culturale negli altri campi (talvolta anche contigui: quanto capiscono di economia e finanza i laureati in legge? E quanto spazio ricevono gli insegnamenti di psicologia a Medicina?).
Ovviamente ci sono precise ragioni di ordine economico che spingono in questa direzione: gli studi universitari costano tanto allo Stato quanto agli studenti, per cui è giusto contenere la durata dei corsi con materie non strettamente utili all’impiego lavorativo. Questo, però, ha avuto una serie di ricadute non sempre positive, per cui, più che giuristi, si è finito per produrre “idraulici del diritto”, al posto di economisti “ragionieri di lusso” e così via.
Probabilmente, qualche ritocco (neanche troppo insistito) tanto a livello di medie superiori quanto a livello universitario, potrebbe ottenere risultati diversi. Il problema è quello di fornire allo studente una dose sufficiente di curiosità e mezzi culturali adeguati ad una vita di costanti aggiornamenti ed approfondimenti. In fondo, che un medico legga di tanto in tanto un romanzo, che un avvocato visiti una mostra vi pittura o un architetto cerchi di capire il contesto politico, economico ed anche teologico-filosofico del barocco, alla fine, può produrre anche migliori risultati in clinica, in tribunale e nel recupero di una piazza.
E, per la verità, non mancano (anche se sono troppo pochi) avvocati, medici ed architetti che dedicano qualche pezzo del proprio tempo ad attività di questo genere. Il guaio è che questo avviene molto a casaccio, senza alcuna “struttura di insieme” che organizzi le acquisizioni culturali man mano realizzate e su tutto si abbatte il bombardamento mediatico (di giornali, radio, Tv, cinema e, più di recente, il web) che dà vita ad un costante rumore di fondo, magari “rimbalzato” dalle conversazioni che un po’ nutre e di più confonde.
E tutto questo ha una crescita esponenziale per la crescita tumultuosa dell’offerta culturale sempre più diversificata ma spezzettata. Ottanta anni fa, il bagaglio di conoscenze letterarie di una persona di media cultura includeva necessariamente i grandi classici della letteratura italiana (Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, ecc), qualche rudimento di letteratura Latina (almeno Virgilio), e greca (soprattutto per quelli che avevano fatto il classico) e poi, non era obbligatorio, ma non guastava, la conoscenza di qualche testo francese (ad esempio Balzac), russo (ad es Tolstoj) o inglese (Shakespeare).
Già fra gli anni cinquanta ed i sessanta, questo sarebbe stato ritenuto un bagaglio meramente scolastico, al di sotto di uno standard medio e autori come Pirandello, Pavese, Calvino, Gadda, Ibsen, Kafka, Lorca, Proust, Joice, Mann o Sartre o classici di altre letterature come Shakespeare iniziavano ad affacciarsi fra quanti non potevano essere ignorati. Fra i settanta e i novanta si imponevano all’attenzione altri importantissimi come Sciascia, Bufalino, Morselli, Yourcenar, Saramago, Borges, Garcia Marques, Schnitzler, Roth, ecce cc.
E non è difficile immaginare che nei prossimi anni assisteremo alla scoperta di almeno alcuni classici cinesi, indiani, egiziani ecc.
Quindi il bagaglio base si è fatto ben più pesante ma a questo ha sopperito una offerta mediatica sempre più invadente e disordinata. Ma, pazienza che ci siano persone che fra una trasmissione di Rai Storia ed un a conferenza di Alessandro Barbero su you tube (prodotti culturali molto buoni in se ma fuori “cornice”) si convince di essere un esperto di storia: magari si tratta di una formazione un po’ confusa ma pur sempre basata su roba buona. Il guaio è quando la gente si abbevera alle fonti più che inquinate di tanto web o a trasmissionacce di questa o quella rete.
E qui comincia a nascere la figura del mezzo acculturato: l’orecchiante che ha sommato alla sua formazione professionale un po’ di chiacchiericcio televisivo, qualche titolo di quotidiano, mezza trasmissione radio ascoltata in auto eccetera e si convince di essere una persona acculturata. Le stimmate sicure dell’acculturato recente e parziale sono nel linguaggio: capita sempre più spesso di sentire persone che sdottoreggiano di politica, diritto , economia o quel che vi pare usando in modo del tutto improprio espressioni tecniche.
Ad esempio, salta su quello che ti dice che la “costituzione materiale” non esiste perché non è scritta da nessuna parte ed è solo un imbroglio di politico o giornalisti in mala fede (ignorando che ci sono testi fondamentali di Mortati o di Romano in materia. O quello che ti dice che non esiste l’ordine internazionale perché usa il termine in senso letterale e, constatando la presenza di guerre o diseguaglianze, diche che il sistema internazionale è “disordinato”.
Ora, il guaio di questa “divulgazione alle vongole” è la nascita di un robusto strato di semi acculturati che poi votano e votano male, comprano con effetti disastrosi sul mercato culturale, parlano diffondendo idee sempre più confuse.
Ed è in questo spazio che si profila il fenomeno de semi-acculturato diventa un castigo di Dio che produce involuzione culturale.
Ovviamente la soluzione non è mettere il bavaglio ai mass media o costringere la gente a corsi scolastici di richiamo. La soluzione sta nel dare una robusta base culturale che esige una didattica scolastica molto più adatta ai nostri tempi e dall’altro ripensare la divulgazione dandogli più spessore metodologico: fare divulgazione nel 2020 non è la stessa cosa di farla nel 1960 al tempo di “Non è mai troppo tardi”.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/il-danno-della-semi-acculturazione/
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