La narrazione climatica
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
Noam Chomsky, scienziato statunitense e teorico della comunicazione, nell’elaborare le regole della strategia di controllo sociale, indicò per prima la distrazione e come seconda la creazione del problema con l’offerta della soluzione. La sequenza è nota: problema, reazione, soluzione. Il potere crea un problema o una situazione, verso i quali, tramite il controllo dell’apparato mediatico e di intrattenimento, fa convergere l’interesse delle masse. Anche con una studiata scansione temporale nella diffusione del problema, il potere provoca e orienta la reazione pubblica di consenso o dissenso. A questo punto il potere suggerisce la sua soluzione, che il pubblico è indotto ad accettare o addirittura a credere di essere esso stesso ad averla richiesta. Questo succede perché la massa presta attenzione non al problema in sé ma alla narrazione che i gruppi organizzati di interesse e di pressione confezionano dentro cornici informative ricamate di intrattenimento (infotainment). L’infosvago può rendere un qualsiasi problema socialmente rilevante o addirittura angosciante, non perché oggettivamente grave, ma perché intorno a esso racconta trame, dietro le quali media e politici nascondono gli scopi più vari. In pratica non c’è settore in cui non sia possibile esercitare il controllo sociale: gestire fondi e servizi pubblici (governance), impiantare nuove burocrazie (autorities), assumere caste di presunti esperti (skilleds), farsi finanziare ristrutturazioni industriali, dirottare investimenti verso produzioni e servizi preferiti, finanziare una ricerca scientifica e tecnologica e trascurare altre, etc.
Ora osserviamo come sul problema dell’emergenza climatica il sistema globale ha imposto una sua narrazione, indiscutibile quasi come un dogma: il riscaldamento globale (dato come esistente) è dovuto all’uomo e alle sue attività. Nonostante che il tema susciti vivaci diversità di pareri tra gli scienziati e non sia stato ancora sufficientemente analizzato e definitivamente spiegato, la macchina narrativa ha già imputato l’aumento della temperatura esclusivamente all’attività umana, scartando le cause naturali. Questa teoria del riscaldamento globale antropico, formulata in schema rigido e semplicistico, suscita sospetti di truffa ideologica o di comprato asservimento di certa scienza alla politica e agli affari.
Posto come indiscutibile l’assioma iniziale, come incontestabile viene offerta la soluzione: una globale e sollecita ristrutturazione industriale, la quale ha dei costi. Chi paga? Se l’origine del cambiamento climatico è antropica, allora la colpa è degli umani, cattivi, egoisti, incoscienti e irresponsabili, cioè dei popoli. Appunto ai popoli le oligarchie economiche e finanziarie intendono far pagare la riconversione energetica e la riorganizzazione generale dell’economia e della società con nuove tasse ecologiche sbrigativamente imposte, con bruschi e precipitosi cambiamenti delle abitudini di vita, con ulteriore sottrazione di diritti sociali.
Ovviamente, alla planetaria campagna di persuasione si affianca l’iniziativa politica. A supporto dell’obiettivo di profonda e affrettata ristrutturazione produttiva, il grande capitale ha ideato una nuova fumosa pseudosinistra: i partiti ambientalisti. Questi sembrano venir fuori dal cilindro non meno tempestivi, rapidi e folgoranti delle carriere politiche di un Renzi o di un Macron. In campo ambientalista quindi la tabella di marcia è stata rispettata: il fenomeno Greta, frastornata adolescente, sembra aver opportunamente funzionato, specie in Nord Europa; infatti il panorama politico di quei paesi è cambiato: i partiti eurosocialdemocratici si sono indeboliti e allineati per la consegna del testimone ai Verdi, gruppi di fede europeista non meno solida di quella dei socialdemocratici. Nel frattempo un vano e innocuo ambientalismo contagia rapidamente in ogni dove gruppi di studenti manifestanti con slogan d’ordine, che “suonano bene” nell’inglìsce mimetico e cosmetico.
Naturalmente non scema l’interesse geopolitico e strategico che, a dispetto della prospettata riduzione della dipendenza dai carburanti fossili, non arretra e non rinuncia a condizionare politicamente e militarmente le zone petrolifere del pianeta (Medio Oriente, Venezuela). Infine, per evitare che il pubblico, immerso nel frastornante flusso informativo, possa stancarsi con le continue “false nuove” (es. il livello degli oceani si innalza), il circo mediatico si impegna ad alimentare l’iniziale ondata emotiva, attribuendo alla fantasiosa emergenza climatica anche la fame e le migrazioni.
Nelle rapide del flusso mediatico le notizie vere e finte si accavallano e si sovrappongono caoticamente senza lasciare tempo e respiro per fare la cernita di quelle autentiche e importanti, sulle quali la velocità e il rimbombo impediscono di fermare la dovuta riflessione. Il libero scorrimento delle notizie fluisce in parallelo con la libera circolazione di prodotti e capitali; l’uno, monopolio di una manciata di agenzie stampa internazionali; l’altra, privilegio di un pugno di banche e multinazionali a esercizio planetario. Questi vertici di potere, insediati in un altrove, eludono la partecipazione popolare, non rispondono a nessuno, decidono quali notizie diffondere e quali valori/disvalori imporre. Il racconto del cambiamento climatico sembra rispondere fedelmente alle regole del controllo sociale: l’invenzione periodica di globali criticità, la distrazione da problemi veri e drammatici con quelli finti, il suscitare paure e narcosi collettive, la creazione di personaggi simbolo, conoscenze e informazioni affogate e diluite nell’intrattenimento.
Metodi e sistemi collaudati contribuiscono a fuorviare e distrarre le masse dalle strategie, incontrollabili perché occulte, di oligarchie finanziarie e monopolistiche transnazionali, dirette a conquistare e mantenere egemonie, espandere influenze, far lievitare capitali sui disagi collettivi. È una via senza uscita se lo Stato non torna sovrano nel controllo delle grandi reti di comunicazione, nel vincolo di un’informazione corretta e affidabile, nel tener distinti informazione e spettacolo, nell’impedire che le menti e le coscienze dei cittadini subiscano il condizionamento ideologico e la propaganda incontenibile dei padroni del discorso.
Ma dove sta tutto questo dibattito scientifico sul fatto che l’effetto serra ADDIZIONALE causato dall’attività antropica possa non essere significativo rispetto all’aumento della temperatura che stiamo registrando da un paio di secoli a questa parte? Io non ne trovo traccia, a parte qualche articolo da bar sport su alcuni blog e giornali (poi se vogliamo essere complottisti possiamo anche sostenere che TUTTA la scienza è venduta al capitale, ma a me pare proprio che il fenomeno Greta abbia la funzione di far credere alle nuove generazioni che basta decidere di andare in giro in treno invece che in auto per risolvere il problema, dato che dei politici non ci si può fidare e dello stato nemmeno, quindi non per risolvere un problema che non esiste, ma – ahimè – per non risolvere un problema che esiste tenendo a bada le energie più fresche). Tra l’altro essendo i trasporti il principale contributore alla produzione di gas serra una impostazione economica che favorisca lo sviluppo di mercati interni potrebbe contribuire grandemente a una riduzione delle emissioni avvicinando i luoghi di produzione a quelli del consumo.