Perché tentiamo di candidarci alle elezioni regionali e come valutare i risultati elettorali
di STEFANO D’ANDREA (Presidente del FSI)
Al fine di evitare che, all’esito delle elezioni regionali in Umbria e, in seguito, di altre elezioni regionali nelle quali riusciremo a candidarci nel 2020, militanti e simpatizzanti restino ingenuamente delusi per i risultati in termini di voti ottenuti, voglio chiarire, una volta per tutte, le svariate motivazioni che ci spingono a tentare di candidarci nelle elezioni regionali e i diversi obiettivi che ci proponiamo, obiettivi che sono tutti raggiunti per il semplice fatto di riuscire a candidarci e, in parte, sono, talvolta, raggiunti anche se non riusciamo. Voglio anche svolgere due osservazioni che, a mio avviso, sono necessarie per valutare i risultati elettorali che otterremo.
Intanto, da un lato, un partito nazionale deve avere un radicamento tendenzialmente su tutto il territorio nazionale, dall’altro una frazione di un’alleanza è tanto più utile all’alleanza quanto più è in grado di raccogliere le sottoscrizioni necessarie a far candidare l’alleanza nel maggior numero di circoscrizioni possibile. Tentare di candidarci serve, quindi, in primo luogo ,a sapere: in quali circoscrizioni siamo in grado di fare ciò che è necessario per riuscire a candidarci nelle elezioni nazionali, da soli o come frazione di un’alleanza; in quali circoscrizioni non siamo ancora in grado ma siamo vicini all’obiettivo; e in quali circoscrizioni, pur essendo in parte presenti, siamo lontani dall’obiettivo, per mancanza di capacità, di volontà, di possibilità (tempo a disposizione dei militanti) e di relazioni sociali (necessarie a trovare gli autenticatori). A tal fine si deve tener conto che, con l’eccezione di due regioni, le sottoscrizioni richieste per la candidatura alle regionali sono superiori a quelle richieste per candidarsi alle nazionali. Le regionali sono dunque un buon test per verificare lo stato dell’arte.
In secondo luogo, tentare di candidarci serve a sapere quale e quanto apporto è in grado di offrire e concretamente offre ogni militante, nonché a scoprire quali simpatizzanti ci danno una mano, sia pure piccola, e che tipo di apporto forniscono. Possedere queste informazioni ci rende più forti per il futuro: conoscere le forze che abbiamo, sapere su chi si può contare per un compito e su chi per un altro, è oggettivamente una crescita, tanto che il punto non necessita di spiegazioni.
In terzo luogo, tentando di candidarci si diffondono informazioni e conoscenze tecniche, che già abbiamo al livello centrale: tempi a disposizione per la raccolta delle firme, utilizzabilità di moduli fatti da noi, senza attendere quelli forniti dal ministero dell’interno, soggetti abilitati ad autenticare le sottoscrizioni, formalità relative al simbolo e in generale al deposito e altro. La conoscenza diffusa di queste informazioni consentirà, quando dovremo candidarci nelle elezioni politiche nazionali, di avere a disposizione più militanti che possano guidare le operazioni in circoscrizioni “vergini” nelle quali non ci saremo ancora candidati e quindi nelle quali le conoscenze saranno assenti.
In quarto luogo, i militanti di ogni regione nella quale riusciamo a candidarci, colgono l’occasione per dotarsi di un programma regionale, nel quale i nostri principi nazionali vanno declinati e prima ancora scoprono competenze e problemi della politica regionale.
Ma esiste anche un vantaggio di tipo psicologico: quando si tenta di candidarsi, quasi tutti i militanti e molti simpatizzanti, ciascuno secondo il proprio carattere e la propria condizione, sono spinti a fare uno “sforzo estremo” in termini di quantità di impegno, di spese sostenute di messa alla prova della propria persona e nel rendere pubblico, con la candidatura, a parenti amici e conoscenti, il proprio totale coinvolgimento in un partito politico. Si genera insomma quella esaltante sensazione di preparare e svolgere una battaglia, che è di per sé formativa e momento di crescita.
Una volta riusciti a raccogliere le sottoscrizioni necessarie a candidare la lista Riconquistare l’Italia, un ulteriore risultato è quello di ottenere una certa, minima, visibilità del candidato alla presidenza della regione e quindi della lista e del partito. La legge sulla par condicio, infatti, impone ai quotidiani che volessero effettuare un’intervista ad un candidato presidente o dedicare ad esso una pagina, di rivolgere l’intervista o di dedicare una pagina a tutti i candidati compreso il nostro. Il medesimo obbligo di parità di trattamento, a parte gli spot a pagamento, hanno i canali televisivi e radiofonici e la RAI. Esiste poi un diritto al passaggio di uno spot, credo per tre volte, su RAI TRE. E infine, si sfrutta l’occasione per sponsorizzare sui social, a un costo tutto sommato modesto, il partito, la lista e il candidato presidente. Altro non si riesce a fare, dato il numero limitato di militanti e la vastità dei territori regionali. Dalla visibilità conseguita verranno sia altri militanti, sia altri simpatizzanti, con i quali entreremo in contatto.
Quanti elettori si imbatteranno in una nostra sponsorizzazione su un social e ascolteranno un breve intervento del candidato presidente? Quanti vedranno e ascolteranno la TV il pomeriggio in cui il candidato presidente avrà a disposizione quarantacinque minuti in una tribuna politica su RAI TRE? Quanti ascolteranno il nostro candidato presidente rispondere alle domande di un giornalista nelle trasmissioni organizzate dalle televisioni private? Quanti leggeranno l’intervista da noi rilasciata a uno, due o tre quotidiani della stampa locale? Quanti, osservando un manifesto elettorale, andranno sulla rete a cercarci per capire chi siamo? Rispondere a queste domande è fondamentale perché se si risponde, come credo debba rispondersi “il 10-20% degli elettori” allora si sa anche che l’80-90% degli elettori andrà a votare senza aver mai ascoltato o letto una frase del nostro candidato presidente. Un gesto davvero eclatante potrebbe raddoppiare il numero di elettori che acquisiscano una minima informazione su di noi, perché se ne parlerebbe nei bar o negli uffici. Ma per non essere pagliacci, non possiamo instaurare la pratica sistemica del gesto eclatante, che quindi va rinviato al tempo della candidatura nelle elezioni nazionali. Dunque un numero di elettori molto ristretto, tra il 10 e il 20% potenzialmente può scegliere di votarci.
Ciò significa che ottenere l’1% dei voti quando non si è conosciuti che da un numero di elettori che oscilla tra un quinto e un decimo del totale (diverso è il caso di partiti che prendono pochi voti anche se tutti ne conoscono l’esistenza), induce a reputare che il partito abbia una potenza persuasiva (nel caso si faccia conoscere da tutti gli elettori) già in grado di convincere il 5-10% di elettori; e quindi che ottenere lo 0,5% significa possedere un potenziale persuasivo già del 2,5-5%.
Ma in realtà c’è un altro elemento di cui tener conto: il voto utile. Con i sistemi maggioritari e i premi di maggioranza anche gli italiani sono stati “costretti” o “educati”, ma meglio si dovrebbe dire diseducati, al voto (dell’) utile idiota. I partiti piccoli e più in generale i partiti che non possono “vincere”, quando il sistema elettorale non è proporzionale, prendono una percentuale di voti inferiore alla stima della quale godono presso l’elettorato.
Perciò, in realtà, per calcolare l’astratta potenzialità persuasiva degli elettori , il coefficiente per il quale va moltiplicato il risultato elettorale di un partito che è conosciuto da un numero di elettori che oscilla tra un quinto e un decimo del totale e che non può vincere, probabilmente non è mai inferiore a dieci: ciò spiega come il M5S possa essere passato dallo 0,1-2% che ottenevano nel sud le liste civiche Beppe Grillo nel 2011 al 25% nelle politiche del 2013.
Per valutare la potenza persuasiva attuale dei nostri temi, dei nostri argomenti e della nostra “comunicazione”, è dunque necessario tener sempre ferma l’idea che quando ci candidiamo alle elezioni regionali riusciamo a farci conoscere soltanto da una frazione dell’elettorato (che secondo me è di un decimo, non di più) e che anche una parte di coloro che ci apprezzano non ci vota, perché per il momento preferisce dare il voto utile.
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