La manifestazione dei lavoratori Whirlpool a Roma
di FSI Roma
Venerdì 4 ottobre una delegazione del Fronte Sovranista Italiano ha partecipato al corteo indetto dai lavoratori Whirlpool a Roma, a seguito dell’annunciata vendita dello stabilimento di Napoli da parte della divisione EMEA del gruppo americano, in violazione degli accordi precedentemente presi e senza fornire alle rappresentanze dei lavoratori adeguate garanzie su nuovi acquirenti con solide prospettive strategico-industriali, in particolare con riguardo alla garanzia dei livelli occupazionali.
La manifestazione, cominciata a Piazza della Repubblica e terminata con un presidio davanti al Ministero dell’Industria e dello Sviluppo Economico (MISE), in via Molise, ha coinvolto migliaia di lavoratori, affluiti a Roma da vari stabilimenti: Napoli, Siena, Avellino.
Gianni Bassani, delegato COBAS dello stabilimento Whirlpool di Siena, con il quale abbiamo avuto il piacere di conferire nel corso del corteo, ci ha spiegato che i partecipanti erano quasi tutti dipendenti Whirlpool, 65 solo dallo stabilimento di Siena, e che se fosse stato possibile organizzare più pullman avrebbero certamente preso parte alla protesta anche familiari e amici che solidarizzano con i lavoratori.
Impressionante la sproporzione tra il numero delle forze dell’ordine, impegnate direttamente o soltanto dislocate nei paraggi delle vie attraversate dal corteo, e il numero di manifestanti. Se gli organi di polizia dello Stato liberale – “minimo” con i forti ma forte con i deboli – avessero voluto, avrebbero potuto schiacciare senza difficoltà le migliaia di persone pacificamente affluite a Roma per un incontro con il ministro, cui chiedere nient’altro che dignità e lavoro. Eppure, come afferma Bassani, «conosciamo già la posizione del ministro e non ci rassicura». Tra i manifestanti si percepiva – ad un certo punto – eccitazione per il palesarsi di cameramen e giornalisti televisivi nei pressi di piazza Barberini. «C’è la televisione!» segnalava ai colleghi, speranzosa, una manifestante. È umano, ma forse anche un po’ ingenuo, affidarsi – com’è tipico della nostra epoca – alla spettacolarizzazione del circo mediatico mainstream, sperando nella chimerica “visibilità” della protesta.
È sorprendente, invece, che tra le varie sigle sindacali ve ne fosse in particolare una che incorpora nella sua bandiera i colori e i simboli dell’Unione europea, e che ciò non venga percepito dai manifestanti come oltraggioso, mentre invece – alla fine del corteo – qualcuno si prendeva, davanti alle telecamere, lo spazio per polemizzare contro il razzismo; polemica, questa, che ci è francamente sembrata un po’ una forzatura in una manifestazione a difesa di posti di lavoro.
«Chiediamo che, a limite, intervenga lo Stato con una nazionalizzazione. Purtroppo, non tutti i lavoratori sono consapevoli del ruolo dell’Unione europea nei processi di deindustrializzazione e di penalizzazione dei diritti dei lavoratori, anche se sono sempre di più coloro che cominciano ad aprire gli occhi», ci dice Gianni Bassani. Aggiungiamo che non è chiaro a molti che sono proprio le regole UE sulla libera circolazione di merci e capitali, oltre che sulla concorrenza e sul divieto di aiuti di stato a legare le mani a governi (indipendentemente dal colore) e spuntare ogni possibile strumento di “persuasione” nei confronti di investitori privati, nazionali e stranieri, attivabile in casi come questo per tutelare l’industria e il lavoro sul territorio nazionale.
Un’operaia di Napoli ha sfilato reggendo sulla schiena un cartello: “cambiano i governi, cambiano i ministri…”. Forse sarebbe ora che qualcuno, nel movimento sindacale, facesse notare alle maestranze, con più forza di quanto fatto finora, che l’unica cosa che rimane stabile, da quando i diritti dei lavoratori nel nostro paese hanno cominciato ad essere calpestati, per favorire la deflazione competitiva e la libertà assoluta degli “investitori stranieri” di fare i loro comodi, è il “pilota automatico” dell’Unione europea. Intanto segnaliamo con piacere che gli operai hanno intonato l’Inno di Mameli durante il corteo. Forse sempre più cittadini stanno capendo che solo uno stato nazionale può essere il baluardo dei diritti sociali?
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