Fondo Monetario Europeo? “Una calamità immensa”
di INDIPENDENZA
La riforma del MES? «Una calamità immensa» per l’Italia. Colpisce che a dirlo sia un suo estimatore come Giampaolo Galli, dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani presso Università Cattolica (Roma), docente di Economia Politica, assertore (si veda un suo libro edito nel 2018) del fatto che «uscire dall’euro significa caos economico e finanziario, fallimenti a catena, sofferenze sociali senza precedenti, austerità estrema, disoccupazione di massa e distruzione del risparmio». Ebbene questo repertorio propagandistico dell’ideologia neoliberale europeista propalato usualmente a fini di terrore per esorcizzare una fuoriuscita dalla gabbia del combinato imposto UE-euro, Galli nella sostanza lo riprende e lo rilancia da super-europeista convinto proprio riguardo gli scenari catastrofici che –a suo stesso dire– seguiranno la riforma del MES nei termini in cui è indirizzata. Il paradosso è che l’Italia, ceduta la sovranità monetaria, concorre a questa istituzione europea erogando propri fondi, come tutti gli Stati membri peraltro, con il risultato di esporsi alle vessazioni politiche, economiche, sociali quando richiedesse di ricorrervi.
L’essenza della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), prevista nel Piano Juncker, avviata dall’Eurogruppo nello scorso giugno e data in approvazione per dicembre, con suo successivo inserimento nel quadro delle istituzioni comunitarie, vincola l’erogazione di crediti agli Stati membri in difficoltà sui mercati dei capitali, esclusivamente in via «condizionale», dopo cioè l’adozione di durissime misure economiche (privatizzazioni e cessioni delle forme di sovranità residue, ad es.) e sociali (si parla, tra l’altro, di abbassamento dei salari, aumento dell’età pensionabile, riduzione della spesa sanitaria). Si mira così a rafforzare gli assetti normativi europei per costringere a percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici, togliendo agli Stati la facoltà dei residuali poteri di elaborazione di autonome politiche economiche.
Quindi, al Paese in crisi di liquidità si chiederebbe l’adozione di misure ancora più pesanti per usufruire di fondi in prestito che ne aggraverebbero l’esposizione debitoria. Se non si piega, quel Paese verrebbe lasciato sprofondare nell’abisso in cui si trovasse. A ben vedere un vicolo cieco. Solidarietà e cooperazione europea significano pertanto affossare di più chi si trovasse in difficoltà. In passato l’esercizio del fondo salva-Stati già si configurava come meccanismo per rafforzare le politiche di austerità di lacrime e sangue nei singoli Stati. Quella del MES e della sua riforma è una veste diversa, ma basata sugli stessi princìpi.
Si tratta insomma di una prospettiva alla greca (da tempo fuoriuscita dai riflettori massmediatici e non a caso, visto l’esito catastrofico dell’«aiuto europeo»…) che –già si lascia intendere nei vertici europei– potrà presto riguardare anche l’Italia. Il nostro, come rileva anche Galli, è «il paese con lo spread più alto e che non ha creato le condizioni, né dal lato della finanza pubblica né dal lato delle riforme per la crescita, per mettere il debito su un trend discendente in rapporto al Pil».
Nella sua audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati (6 novembre 2019) Galli prevede per l’Italia un’immane catastrofe, di fatto una deriva ancora più importante di quella già in atto, un «impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra»: «La nostra opinione […] è che l’idea di una ristrutturazione “early and deep” [preliminare e profonda, ndr] non avesse senso nella Grecia del 2010 e, a maggior ragione, non abbia senso nell’Italia di oggi. In particolare, occorre considerare che l’Italia ha risparmio di massa e che il 70% del debito è detenuto da operatori residenti, tramite le banche e i fondi di investimento. In queste condizioni, una ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra. Nessun governo può prendere una decisione del genere se non nel momento in cui perdesse l’accesso al mercato e non fosse più in grado di pagare stipendi, pensioni, fornitori ecc. Una ristrutturazione preventiva sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico. Sarebbe un evento di gran lunga peggiore di ciò l’Italia ha vissuto negli ultimi anni a causa dei fallimenti di alcune banche. Anche per questo motivo, azioni o parole che possano ingenerare il timore di una ristrutturazione o, peggio, di un default, vanno considerati come un pericolo per l’Italia e per gli italiani. Per questo motivo ci preoccupano le proposte di revisione del Trattato istitutivo del MES» .
Unione Europea riformabile, quindi? Certo, come da diversi decenni a questa parte, in direzione dell’indurimento progressivo del suo impianto e delle sue misure neoliberiste anti-nazionali ed anti-sociali. Unione Europea invece irriformabile nelle visioni oniriche (auto)ingannevoli degli alter-europeisti di trasversale collocazione politica. Non a caso a dettare la linea, anche sulla riforma del MES, è l’asse franco-tedesco, un direttorio che si è formalizzato con l’accordo PeSCo (dicembre 2017) e poi con il Trattato di Aquisgrana su commercio, mobilità, difesa e politica estera (gennaio 2019).
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