Summit NATO: il ruolo dell’Italia nello scacchiere transatlantico
Di POLIKOS (Luca Sebastiani)
A 70 anni dalla nascita della NATO, il summit di Londra, tenutosi il 3 e 4 dicembre, doveva rappresentare una celebrazione del patto siglato nel 1949. L’appuntamento, al contrario, ha visto i protagonisti del mondo occidentale tutto meno che concordi nel valutare la vitalità e le prospettive future dell’Alleanza.
A cominciare dal presidente francese Macron, il quale aveva definito la NATO, appena poche settimane prima del vertice, in uno stato di «morte cerebrale», a riprova di quanto siano profonde le divisioni.
Uno dei punti maggiormente critici è il ruolo della Turchia di Erdogan, secondo Paese per capacità militari all’interno della NATO e quindi membro imprescindibile, che però, a seguito dell’operazione militare nel Nord della Siria, ha fatto storcere il naso a molti partner atlantici (primo tra tutti proprio Macron).
L’Italia, rappresentata dal premier Giuseppe Conte, ha ribadito l’importanza dell’Alleanza, che ha definito «una piattaforma unica di dialogo in un contesto che rischia di frammentarsi». Il presidente del Consiglio ha incontrato Trump in un bilaterale in cui si è parlato in particolare del caso libico, oltre che di cooperazione industriale e di 5G. Conte ha quindi cercato di convincere Trump ad appoggiare il governo di Accordo Nazionale di al Serraj, sostenuto da Roma fin dall’inizio della crisi.
Nello stesso giorno si era svolta una riunione tra i leader di Gran Bretagna, Germania, Turchia e Francia ed alcuni avevano supposto che il tema trattato fosse proprio la Libia, mettendo così ai margini decisionali l’Italia. Conte ha tenuto a sottolineare che l’argomento della riunione fosse stato invece la Siria, e che tra le potenze NATO non potesse essere possibile parlare di Libia senza coinvolgere l’Italia.
Nell’ultimo periodo molti esperti hanno sottolineato una sorta di disimpegno italiano per quanto concerne il dossier libico, anche per motivi di politica interna. Conte, parlandone con Trump, ha riaffermato l’importanza che Roma deve mantenere nel processo di stabilizzazione del Paese arabo. Il presidente del Consiglio si è poi confrontato con il premier britannico Boris Johnson, discutendo sia del futuro dell’Alleanza, anche in chiave post-Brexit, sia della situazione nel Mediterraneo.
Proprio Johnson è stato uno dei leader più distesi e propositivi, ricordando i princìpi fondanti politico-militari della NATO e l’impegno di destinare il 2% del Pil a favore del settore Difesa e Sicurezza. Lo stesso Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha voluto evidenziare l’incremento delle risorse destinate al mondo della Difesa, che ha definito «senza precedenti».
Durante il summit, Trump ha potuto dialogare con il presidente turco Erdogan, spendendo parole di elogio per il «buon lavoro» svolto da quest’ultimo all’interno della NATO. Dopo aver ripreso Macron per le sue frasi sulle condizioni dell’Alleanza, il presidente americano ha affermato che la «NATO è più forte che mai».
Non sono inoltre mancate polemiche su alcune frasi rubate dai giornalisti, i quali hanno ripreso una conversazione tra Macron, Johnson, Trudeau e Rutte, intenti a scambiarsi battute su un possibile ritardo del presidente statunitense. A prescindere da cosa si siano effettivamente detti i 4 leader, la cosa certa è che Trump ha cancellato l’ultima conferenza stampa per tornarsene a Washington.
Ai margini del summit Stoltenberg ha voluto riaffermare lo storico legame tra i membri della NATO. Il Segretario Generale ha parlato, in termini concreti, di un aumento delle forze di reazione rapida di 30 battaglioni, 30 navi da combattimento e 30 squadroni aerei, riconoscendo il contributo crescente nel settore della Difesa.
I punti più importanti affrontati da Stoltenberg hanno riguardato i rapporti con la Cina, fonte di opportunità e sfide a cui la NATO deve adeguarsi, e la Russia, con cui il dialogo deve essere migliorato ed implementato.
Tirando le somme, è stato quindi un vertice che non ha portato grande giovamento immediato alla compattezza dell’Alleanza. Le divisioni rimangono ma la speranza dei Paesi membri è che la “vecchia” NATO riesca ad unirsi e ricompattarsi, adeguandosi alle sfide attuali che la circondano.
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