Difendere la letteratura \ difendere la società
di LE PAROLE E LE COSE (Cristina Corradi)
[Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Cristina Corradi, che risponde alle parole che Walter Siti ha pronunciato durante il primo incontro di LPLC2, tenutosi a Milano lo scorso 9 novembre].
Ascoltando la prima parte della conferenza “Difendere la letteratura, difendere la società”, che si è tenuta lo scorso 9 novembre presso la Casa della Cultura di Milano, mi è tornato in mente il dibattito del secondo dopoguerra sui temi dell’impegno intellettuale e del rapporto tra cultura e politica[1]. Per noi che veniamo da decenni di diseducazione e di delega delle decisioni politiche alle tecnocrazie, è difficile anche solo immaginare il clima etico-politico di quegli anni in cui erano i partiti di massa e non gli scrittori a sollecitare l’impegno. Ma, con le dovute proporzioni e differenze storiche, la posizione di Walter Siti sembra oggi riecheggiare quella del «Politecnico» di Vittorini, che rivendicava l’autonomia della funzione intellettuale e rifiutava allora di suonare il piffero a sostegno del maggior partito della sinistra italiana.
Siti argomenta che la letteratura ha una sua forma, un’autonomia, uno specifico valore conoscitivo, e non le si può chiedere in modo eteronomo di assolvere immediatamente compiti di mobilitazione civile e politica. Sembrerebbe una posizione dettata dal buon senso, e tuttavia la rivendicazione di separatezza della letteratura dai rapporti sociali di produzione, che rinvia implicitamente a una concezione liberale e tecnico-scientifica della cultura e del lavoro intellettuale, ha il limite di non scalfire la posizione frontista di Saviano e di intrattenere con quest’ultima un rapporto di complementarità, anziché prospettare una reale alternativa.
Per essere più incisiva e convincente, e per non suonare come una un’autodifesa di ruolo, di ceto o di privilegi intellettuali, la rivendicazione di relativa autonomia, complessità e ambiguità della forma letteraria dovrebbe trovare necessario complemento in un’analisi della funzione del lavoro cognitivo nel tardo capitalismo finanziario e in una critica della forma di politica, di idea di società e di impegno sociale veicolate da Saviano (uso questo nome per brevità, ma si tratta dell’idea dominante di politica e di società, comune a gran parte del sistema dell’informazione, della comunicazione, dei partiti politici odierni).
Si può anche affermare provocatoriamente, e forse con qualche ragione, che il modo migliore per difendere oggi la società è difendere la letteratura da discutibili ingaggi, ma se non vogliamo realmente abbandonare la società, o consegnarla al tipo di scrittura e di politica che ha in testa Saviano, bisognerebbe dire che la letteratura volantino, schierata, fattiva, semplificata, invocata sotto il ricatto di un’emergenza, non è solo cattiva letteratura, ma è anche e soprattutto cattiva politica. Negli ultimi venticinque anni siamo spesso caduti nella trappola dell’emergenza, abbiamo rinunciato a ogni prospettiva strategica per poi scoprirci peggiori del mostruoso nemico di turno, ma non abbiamo ancora imparato la lezione.
La cattiva politica non è solo la politica spettacolo televisiva, è anche la politica della personalizzazione del nemico, che prescinde da un’analisi della composizione sociale, delle contraddizioni economiche, delle relazioni internazionali, è una politica che denuncia moralisticamente il razzismo, la rozzezza, l’illogicità dell’avversario, e che prescrive comportamenti razionali e sentimenti umanitari senza chiedersi se e come questa stessa politica abbia contribuito al dispiegarsi di comportamenti razzisti, rozzi, illogici.
Cattiva politica è, per esempio, quella parla di migranti ma non parla di movimenti dei capitali e demanda ai tecnici le decisioni sulla riforma del meccanismo europeo di stabilità e il completamento dell’unione bancaria. Cattiva politica è il piccolo cabotaggio elettorale, la rincorsa delle contingenze, l’emergenza emotiva, la stigmatizzazione del linguaggio corretto che dà per scontato, anziché problematizzarlo, il valore di posizione di alcuni temi – in genere civili e umanitari – tace i temi economici e sociali più spinosi, meno pacifici, più difficili da ricostruire, e carpisce plusvalore da contenuti preconfezionati da ingerire, consumare, divulgare.
Oggi il dibattito politico sembra dominato dalla contrapposizione tra una piccola media borghesia alleata del capitale produttivo nazionale in difficoltà sul piano internazionale, e una media piccola borghesia addetta prevalentemente al lavoro mentale e culturalmente di sinistra che tende ad assecondare o puntellare le richieste della tecnocrazia europea e del capitale finanziario. In questo contesto, anziché banalizzare la tensione utopica di Fortini, sarebbe utile rileggere “Difesa del cretino”[2] per domandarci se il filisteismo piccolo-borghese non alligni prevalentemente nel nostro campo, e se nella volgarità, sessuofobia, incapacità espressiva di certa piccola borghesia si esprima, seppur in modo regressivo e distorto, una forma di resistenza al colonialismo tardocapitalistico.
Per concludere, ricordo gli interventi che Brecht fece a metà degli anni Trenta, in condizioni storiche ben più tragiche delle attuali, ai congressi internazionali degli scrittori per la difesa della cultura. Agli scrittori e agli artisti preoccupati per le sorti della cultura, che lanciavano appelli e organizzavano convegni per denunciare la barbarie fascista, Brecht obiettava: l’antifascismo che trascura il nesso, non accessorio ma necessario, tra autoritarismo e rapporti di produzione capitalistici, l’antifascismo che isola la cultura dai rapporti di proprietà e pretende umanità e bontà dalla popolazione, senza lavorare per condizioni che rendano possibili comportamenti solidali, è complice della catastrofe e in qualche modo la prepara[3]. Se vogliamo contrastare la cattiva letteratura e la cattiva politica di Saviano, dovremmo imparare o ricominciare a ragionare come Fortini e Brecht.
[1] Per una ricostruzione accurata di questo dibattito si rinvia a D. Balicco, Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico, Roma, Manifestolibri 2006.
[2] Lo scritto del 1967 raccolto in Verifica dei poteri è in F. Fortini, Saggi e epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano Mondadori 2003, pp. 187-195, ma è reperibile anche in rete.
[3] Cfr. B. Brecht, Scritti sulla letteratura e sull’arte, Milano, Meltemi 2019,
Fonte: http://www.leparoleelecose.it/?p=37223
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