Salvini sulla china di Craxi
Di COMIDAD
Chiunque avesse vinto le elezioni in Emilia-Romagna, avrebbe comunque trionfato il partito trasversale dell’autonomia differenziata, rappresentato da entrambi i candidati in partita e sostenuto sia dalla Lega che dal PD. Le elezioni hanno quindi assunto il valore di un regolamento di conti all’interno di quel partito trasversale. Il fatto che l’abbia spuntata il redivivo PD indica che l’establishment del Nord ricco si è rifiutato di consegnarsi esclusivamente alla Lega. Anzi, la stessa Lega è stata costretta nell’agosto scorso a riciclare il PD innescando la crisi di governo. E pensare che a Salvini avrebbe fatto comodo affrontare le inchieste giudiziarie dalla roccaforte del Ministero degli Interni. La Lega aveva già dovuto negoziare direttamente col PD non solo l’autonomia differenziata, poi varata dal ministro piddino Francesco Boccia, ma anche i finanziamenti alla banda affaristica del buco in Val di Susa.
La circostanza che la Lega sia riuscita, pur perdendo voti rispetto alle elezioni europee, ad aggiudicarsi la vittoria in una Regione povera come la Calabria, rappresenta non solo una sorta di ironia ma anche un segnale preoccupante per Salvini. L’incetta di baronie del voto organizzato funziona per la Lega al Sud, ma non dove una vittoria avrebbe effettivamente determinato uno spostamento dei rapporti di potere. C’è anche l’aggravante che la vittoria leghista sia avvenuta appiattendosi sulla candidatura di un’italoforzuta come Jole Santelli, a sottolineare che non c’è stata man bassa dei consensi ma solo assistenza da parte del baronaggio del voto organizzato.
La Lega sta ora scontando l’operazione salviniana di fingersi un partito “nazionale”. La messinscena era complessa, poiché in effetti la vecchia Lega Nord continuava ad esistere; ma l’arrivo di baroni del voto meridionali, cioè la “meridionalizzazione” della Lega, ha creato diffidenza nell’establishment del Nord; e quindi quella “fuga dei ricchi” ansiosi di liberarsi della zavorra meridionale, è stata affidata anche al PD, in particolare al più zelante degli “autonomisti” (in realtà separatisti striscianti), cioè Stefano Bonaccini. È evidente che Bonaccini ed i suoi sodali si illudono: i “ricchi” del Nord Italia fuggono, ma per andare a fare i poveri nelle macroregioni tipo Eusalp allestite dall’Unione Europea. Del resto liberarsi dalla zavorra è una tipica aspirazione da palloni gonfiati.
Per coprire il ruolo del voto organizzato nella vittoria di Bonaccini, i media hanno enfatizzato gli effetti di un movimento socialmente irrilevante come le “Sardine”. Si è anche maramaldeggiato sullo sgonfiamento elettorale dei 5 Stelle, omettendo di farsi la domanda fondamentale e cioè come un movimento del genere abbia potuto superare il 30% dei voti alle elezioni politiche. Ci avevano raccontato che il successo di Luigi Di Maio e soci era stato dovuto alla promessa elettorale del reddito di cittadinanza; e allora come spiegare il fatto che, una volta varato il reddito di cittadinanza, il consenso elettorale dei 5 Stelle si è dimezzato?
È chiaro invece che l’ipertrofia dei 5 Stelle era stata dovuta al concentrarsi del voto organizzato, particolarmente al Sud, su quel movimento. I 5 Stelle sono stati usati dalle baronie del voto come arma di minaccia e ricatto, per far intendere alla Lega ed al PD che non si può fare a meno del voto organizzato.
È strano che un razzista antimeridionale come Salvini abbia sottovalutato il fattore del razzismo interno e del colonialismo interno quando si è lanciato nella pantomima del partito “nazionale” arruolando baroni del voto meridionali. Ricorre quest’anno il decennale della morte di Bettino Craxi ed è ancora più strano che la sua vicenda non abbia insegnato nulla alla Lega. La caduta di Craxi fu certamente dovuta a cause internazionali, soprattutto al fatto che il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 marginalizzava l’Italia e la rendeva semplicemente una preda coloniale. Ma le cause interne non furono da meno nel tracollo craxiano. Per la borghesia milanese rappresentava un insulto dover ammettere nei propri salotti i boss di un Partito Socialista meridionalizzato, come i Giulio di Donato ed i Carmelo Conte; per questo motivo Craxi fu completamente mollato dall’establishment del Nord, che già aveva creato una sua rete di protezione in senso antimeridionale con la Lega.
Sempre più stranamente, le analogie della vicenda di Salvini con quella di Craxi non finiscono qui. La Lega ha scoperto infatti di essere un partito “decisionista”; da qui il tentativo leghista di forzare l’attuale legge elettorale in senso maggioritario. Si è dovuto persino ascoltare un leghista di solito attento a quello che dice, l’ex viceministro Massimo Garavaglia, ammonirci nei talk-show sull’esigenza di “decidere”, rilanciando persino la fiaba del debito pubblico esploso per colpa dei partitini che dovevano alimentare le loro clientele. E la spesa per gli alti interessi sul debito pubblico, necessaria per sostenere il cambio della Lira nell’assetto del sistema monetario Europeo, che fine ha fatto? Garavaglia si è dato praticamente la zappa sui piedi, poiché ha dato fiato a quell’altra leggenda secondo cui i conti pubblici sarebbero minacciati da provvedimenti come Quota 100, voluto appunto dalla Lega.
Si scopre perciò che il referente ideologico della Lega è ancora quel famigerato documento della Commissione Trilaterale del 1975 sulla “Crisi della Democrazia: la Governabilità delle Democrazie”, le cui tesi furono riprese anche da Craxi (o meglio, dal suo consigliere ideologico Giuliano Amato). Nei giorni scorsi è stata però proprio la Corte Costituzionale di Giuliano Amato a bocciare a Salvini il suo referendum per sostenere il maggioritario.
Craxi si rivelò politicamente un ingenuo quando prese sul serio quel documento della Trilateral, attribuendogli un autentico valore programmatico, dando così avvio a quella febbre delle riforme istituzionali ed elettorali che oggi contagia persino la Lega. Il documento Trilateral era in realtà un tipico esempio di retorica vittimistica dei ricchi; un vittimismo la cui funzione era esclusivamente di criminalizzare la politica in base al mito di essere stata troppo indulgente e corriva verso le richieste dei poveri. Ovviamente non era vero niente poiché, nonostante la lunga fase di sviluppo economico, i redditi da lavoro, pur crescendo, non erano mai saliti tanto da corrispondere all’effettivo livello di produttività. Il vero obbiettivo del documento Trilateral perciò non era quello delle riforme istituzionali ma l’ulteriore compressione dei redditi dei ceti più bassi.
Può apparire assurdo che il dibattito politico sia rimasto fermo ad un documento di quarantacinque anni fa, ma il vittimismo dei ricchi è un evergreen. Il capitalismo è un fenomeno di crimine organizzato, la cui peculiarità consiste nel suo gigantesco apparato di pubbliche relazioni, teso ad egemonizzare la narrativa ed il linguaggio, conformandoli al punto di vista dei ricchi.
Fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=940
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