La rivoluzione senza popolo del covid-19 ed il destino di una generazione di italiani
di SIMONE GARILLI (FSI Mantova)
In Italia e in gran parte del mondo è in corso una rivoluzione senza popolo, e in particolare senza popolo organizzato, il quale nella modernità si può esprimere al suo massimo livello solo attraverso i partiti. La rivoluzione la sta facendo un virus, che sta riuscendo nell’enorme compito grazie alla sua contagiosità e all’elevato tasso di ospedalizzazione richiesto. I governi sono costretti così ad interrompere la produzione e la mobilità di persone e merci, rendendo superflua anche la mobilità dei capitali.
Ciò che differenzia un virus sconosciuto e pandemico da altre pur gravissime patologie (pensiamo all’elevatissimo tasso di tumori che contraddistingue da decenni l’occidente e in particolare alcune aree produttive) è appunto la contagiosità, che implica limiti alla mobilità. Il capitale vive di mobilità. Un capitale fermo è un capitale inutile, che non si realizzerà se non per breve periodo e con tendenze stagnazionistiche.
Per queste ragioni il covid-19 sta mettendo sotto scacco l’accumulazione di profitto globalizzata, che è la fase suprema dell’accumulazione capitalistica nella quale l’elemento di mobilità dei fattori produttivi e del capitale stesso è elevato all’ennesima potenza. Si produce spezzettando i processi e i capitali in tutto il globo, alla ricerca di margini di profitto elevatissimi, e si realizza l’investimento muovendo il prodotto ovunque sia richiesto.
Il congelamento dei trasporti e della produzione reso necessario dal diffondersi del virus richiede misure talmente vaste e capillari, sotto i profili economico, sanitario e dell’ordine pubblico, che solo un attore può venirne a capo: lo Stato. O meglio, gli Stati. Ciò comporta l’uscita da una narrazione asfissiante e a senso unico durata oltre trent’anni, la quale rivendicava l’esigenza dello stato minimo e l’ascesa della logica dell’interesse privato in tutti i campi, produttivi e non. Il pendolo della storia contemporanea è tornato dalla parte dello Stato. È una conquista irreversibile, se con ciò intendiamo almeno la prossima fase storica (alcuni decenni). E tutto ciò è successo e succederà in pochi mesi. Si tratta del portato positivo della rivoluzione guidata da un virus pandemico.
Tuttavia, occorre prestare molta attenzione al portato negativo di questa rivoluzione, che forse a causa dell’entusiasmo per il ritorno improvviso dello Stato e del deficit pubblico in molti devono ancora scorgere: siccome non c’è un popolo organizzato a dirigere le operazioni, al rapidissimo stravolgimento culturale, che in parte resterà in ogni caso come sedimento positivo, seguirà una altrettanto rapida restaurazione politica, che nei fatti corrisponderà ad un balzo in avanti a danno delle classi popolari. La finestra emergenziale si porterà dietro riforme su scala europea e mondiale (accelerandone alcune già in dirittura di arrivo e favorendone di nuove) e prassi politico-legislative al di fuori del circuito costituzionale.
La storia è contraddittoria, e lo sono anche le rivoluzioni, tanto più se guidate da un virus e non da un popolo organizzato. Ecco perché costruire nuovi partiti, che in questa fase devono essere convintamente sovranisti, e che in generale devono essere statalisti e social-democratici, è oggi più che mai il destino che spetta alle classi popolari. Non farlo significherebbe accettare che ancora una volta la crisi sia gestita dal grande capitale e dagli Stati dominanti a danno del popolo e degli Stati dominati.
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