Panico e tecnocrazia: una correlazione significativa
di SIMONE GARILLI (FSI-Riconquistare l’Italia Mantova)
Noto una quasi perfetta coincidenza empirica tra il panico da Covid (laddove per panico si intende una paura di intensità smisurata rispetto al rischio oggettivo, per quanto non perfettamente misurabile), e l’adesione ideale al modello di governo tecnocratico.
Detto altrimenti: i più impauriti, ancora nella fase attuale di declino netto e costante dei contagi, tendono ad essere coloro che meno confidano nel processo democratico che si è sviluppato nella modernità di pari passo con il costituzionalismo e l’entrata delle masse nella storia e, ritenendolo superato e inefficiente, si affidano di volta in volta agli esperti di settore (ma solo a quelli indicati come tali dalla narrazione dominante).
Questa fascia di cittadini solitamente ben istruiti, ma sprovvisti di una matura coscienza politica, intende la società come un grande laboratorio e la politica come riflessione intorno alla scelta corretta e scientificamente fondata da disvelare e infine applicare, se necessario ricorrendo alla sospensione della stessa democrazia formale.
Secondo questa visione si tratta banalmente di distinguere il politico raziocinante (colui che ascolta e si fa guidare dagli esperti) da quello irrazionale (colui che mira a solleticare la pancia della gente). Il primo guarderebbe all’interesse comune, la cui esistenza è data per scontata, mentre il secondo solo al suo interesse in termini di consenso.
Ora, se è vero che nella postmoderna politica senza ideologie il secondo tipo di politico esiste ed è effettivamente dannoso (prima di tutto culturalmente), è falso che possa esistere un politico imparziale e raziocinante nella sua equidistanza di classe. Qualsiasi scelta politica influisce sull’equilibrio di potere tra le classi, redistribuendolo o al contrario fissando uno squilibrio preesistente a vantaggio di una o più classi e a svantaggio delle altre.
La piena comunanza di interessi fra le classi sociali presupposta dall’ideologia tecnocratica non può esistere in una società avanzata e perciò stratificata, nella quale in generale si confrontano sul campo due macro-classi: il Popolo (di cui le piccole e medie imprese dipendenti dalla domanda interna e dai salari fanno parte a pieno titolo) e il Grande Capitale, che dietro la retorica dell’interesse collettivo e della competenza (economica, finanziaria, sanitaria…a seconda del momento) nasconde la sua agenda politica.
Nelle crisi questa agenda politica risponde ad una immediata priorità: scaricare i costi della transizione sui molti per uscirne indenni, e se possibile più grandi e potenti. La crisi è quindi occasione di ristrutturazione del modo di produzione e del discorso pubblico a fini di dominio.
Perché funzioni, naturalmente, il Popolo deve rimanere confuso e diviso. A chi agisce secondo buon senso e pesa gli interessi materiali, spirituali, democratici sullo stesso piatto della minaccia sanitaria, valutando quest’ultima nella sua dinamica temporale e cercando un ritorno alla normale socialità quando la minaccia si allontana o scompare, si oppone un gruppo relativamente minoritario ma agguerritissimo di portavoce della narrazione tecnocratica dominante. Senza supporto di altro che non sia la fede negli esperti ufficiali del momento, questa categoria di cittadini mima una profondità di analisi che non ha per schernire, educare o nel migliore dei casi allontanarsi con ostentata prudenza dalle pratiche sociali spesso intuitive ma generalmente sacrosante della maggioranza.
È una faglia interna al Popolo sulla quale la narrazione dominante lavora quotidianamente per evitare che si ricomponga. Da qui la caccia all’untore solitario, la conta ossessiva dei morti, la colpevolizzazione del corridore senza mascherina, la bavosa reprimenda verso i rarissimi casi di palese mancato rispetto delle regole, la costruzione mediatica di una inesistente società della movida sregolata, con tanto di fotografie manipolate, la pubblicazione di scenari catastrofisti che non stanno né in cielo né in terra, e così via… a coprire errori, responsabilità situate altrove e progetti ben nascosti dietro la coltre di retorica.
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