Quando la digitalizzazione non semplifica ma scarica il lavoro sulle famiglie e le imprese
di JACOPO D’ALESSIO (FSI-Riconquistare l’Italia Verbania)
Un appunto sulla semplificazione raggiunta mediante digitalizzazione. È questo un punto che è stato posto in nota durante il Consiglio europeo di questi giorni. Si tratta di un criterio dirimente cui l’Italia dovrà adattarsi tramite l’introduzione di nuove riforme se, in futuro, vorrà ottenere quei miliardi di prestiti del RF (che inoltre dovrà ripagare con gli interessi). In realtà il mantra dell’informatizzazione della PA nei rapporti con i cittadini e le imprese era già partito da un pezzo, mediante il decreto legislativo 7 marzo 2005 e poi con il decreto del 13 dicembre 2017.
Solo che bisogna fare chiarezza perché da quel momento in poi ciò che è successo davvero, viceversa, è stato che gli uffici pubblici hanno scaricato progressivamente le loro mansioni sugli utenti. Volete davvero semplificare la PA? Bene, allora lo stato NON deve risparmiare ma, viceversa, realizzare ingenti spese per assumere personale altamente qualificato (ma anche non qualificato) mediante concorso pubblico, così da:
– scorporare gli uffici che, a causa delle “razionalizzazioni”, si trovano ora con meno impiegati per affrontare sempre più funzioni incrociate e sovrapposte di uffici precedentemente separati;
– aprire più sportelli in uno stesso ufficio per evitare i rallentamenti e le file;
– collocare del personale che faccia da tutor affinché segua le pratiche più complesse durante le sue vicissitudini;
– disporre di centralinisti che possano ridurre i tempi di attesa al telefono per assistere l’utente;
– attribuire segretari ad esempio ai medici di base che devono sbrigare il lavoro di segretario e seguire i malati contemporaneamente;
– ecc.
La maggiore digitalizzazione si colloca cioè nella classica impostazione ideologica liberale ed europea dello “stato minimo” che distrugge lavoro, rendendo i servizi sempre più inefficienti e distanti dai cittadini.
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