di GILBERTO TROMBETTA (FSI-Riconquistare l’Italia Roma; candidato Sindaco Roma 2021)
Le bugie, si sa, hanno le gambe corte. E così, dopo mesi di propaganda unionista da parte del Governo e supportata dalla libera stampa di regime (stampa mainstream o dominante per gli amici) la verità sta venendo fuori. Come alcuni di noi ripetevano da mesi dopo aver letto le carte ufficiali dell’Unione Europea, si comincia ad ammettere che i soldi del Recovery Fund – Recovery MES per gli amici – non ci sono. E, se mai ci saranno, non li vedremo prima della metà del prossimo anno. Eh sì, perché come dicono oggi Baroni e Bresolin su La Stampa, «per vedere le prime risorse del Recovery Fund bisognerà attendere almeno fino a giugno, quando la UE comincerà a raccogliere sui mercati quasi 900 miliardi per finanziare le misure straordinarie di ripresa».
«Per far partire il Next Generation EU servono infatti ancora una serie di passaggi. Prima di tutto il via libera del Consiglio UE, poi la ratifica nei 27 parlamenti nazionali. Dopodiché i Governi presenteranno nel dettaglio i loro piani a Bruxelles e a quel punto inizierà la fase di valutazione dei progetti. Il passaggio richiederà tre mesi di tempo, ma prima di arrivare all’esborso del 10% (per l’Italia 6,5 di sovvenzioni lorde e 12,7 di prestiti) servirà una tappa fondamentale: la raccolta dei fondi sui mercati». Insomma aspetta e spera… Eppure oggi l’Italia può finanziarsi a tassi molto bassi. Negativi addirittura per i titoli di Stato con le scadenze meno lunghe. Questo perché la BCE sta acquistando titoli di Stato come mai prima di ora, facendo appunto abbassare i rendimenti, cioè gli interessi passivi sul debito. Che è uno dei compiti – dovrebbe almeno essere – di ogni Banca Centrale. Perché le Banche Centrali possono emettere moneta quando vogliono e senza limiti.
Lo ha ammesso addirittura il Capo del dipartimento di Economia e statistica di Banca d’Italia, Eugenio Gaiotti, durante l’audizione sulla nota di aggiornamento al Def (Nadef) davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato rispondendo alla domanda sulla provenienza dei soldi che la BCE ha usato e userà per il programma di acquisto di titoli PEPP. «Questa è una decisione di politica monetaria, che vuol dire trattasi di emissione di moneta, che è quello che fa una Banca Centrale. Come qualsiasi banca centrale, la Banca Centrale Europea acquista titoli e crea moneta, crea proprie passività per sostenere l’economia. Tutto qua». Già, tutto qua. O forse no. Perché il finanziamento della politica fiscale, cioè del deficit, tramite emissione di titoli di Stato, quindi con l’emissione di nuovo debito pubblico non solo non è l’unica strada, ma non è neanche la migliore.
Vediamo infatti cosa ci dice Nicola Acocella nel suo Elementi di politica economica.
«Come si è detto, il disavanzo può essere finanziato in due modi: attraverso la creazione addizionale di base monetaria o l’emissione di nuovi titoli del debito pubblico. Le due modalità di finanziamento in deficit hanno natura ed effetti notevolmente diversi. La prima differenza fra i due modi di finanziamento consiste nel loro diverso costo. È chiaro che il finanziamento con debito è costoso. Il finanziamento con base monetaria è, invece, spesso meno costoso o niente affatto costoso. Non lo è affatto, se realizzato attraverso emissione di monete o biglietti del Tesoro, se si prescinde dai costi materiali dell’emissione, lo è in minima misura, se ottenuto nell’ambito di convenzioni tra Stato e Banca Centrale o di norme del genere di quelle che, fino al 1981 (ossia al cosiddetto divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia) prevedeva l’obbligo di quest’ultima di finanziare lo scoperto del Tesoro sul C/C di Tesoreria. Questa linea di credito, infatti, poteva essere mantenuta indefinitamente nel tempo e, anzi, tendeva a crescere in valore assoluto all’aumentare del volume della spesa pubblica, diventando una forma stabile di finanziamento del deficit. La seconda differenza tra finanziamento monetario e finanziamento con titoli del debito pubblico è da ricollegarsi agli effetti espansivi sul reddito. In tale caso la politica fiscale espansiva esplica appieno i suoi effetti e si giustifica il ruolo preminente attribuitole da Keynes. Da questo punto di vista, uno stretto coordinamento della politica fiscale e di quella monetaria si rivela prezioso per ottenere incrementi di reddito e di occupazione: al contrario, può nuocere l’indipendenza della Banca Centrale che porti a non assicurare un’adeguata espansione monetaria in presenza di un aumento della spesa pubblica».
Che è poi quello che succede dentro la gabbia unionista. Come si evince dalla parole pronunciate dal presidente di Banca d’Italia, Ignazio Visco «L’obiettivo della stabilità dei prezzi è il nostro principale mandato». Vale a dire che la nostra Banca Centrale non è indipendente come millanta di essere. Peggio. Opera fuori dal recinto Costituzionale che ha al primo punto occupazione e lavoro e che in nessun articolo parla di “stabilità dei prezzi”. Cioè di garantire i privilegi alla rendita finanziaria.
Quindi no, non è tutto qua.
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