La bussola si è persa
Un Costanzo Preve provocatorio più che mai. Ma le provocazioni costringono a pensare. D'altra parte la maggior parte delle conclusioni le abbiamo scritte e riscritte più volte in questo blog (SD'A)
dI Costanzo Preve
1. Non si può decentemente chiedere al marinaio di scendere in mare senza bussola, in particolare quando il cielo è coperto e non ci si può orientare con le stelle. Ma cosa capita quando si pensa che la bussola funzioni, mentre invece è magnetizzata e falsificata da un pezzo invisibile di calamita che gli sta al di sotto? Ecco, questa è una metafora abbastanza precisa della nostra situazione di oggi.
2. Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica – tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra – è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.
3. Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).
Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.
Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.
L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.
4. Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.
In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.
5. Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.
E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.
6. Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.
Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?
Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.
Sulla votomania compulsiva.
E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.
A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.
Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.
Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.
Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
Non si è persa nessuna bussola : la (mia)bussola è sempre la lotta di classe . E la forma che la lotta di classe deve assumere cambia specularmente con le trasformazioni del capitale . Se per Togliatti , nella sua democrazia progressiva , aveva indubbiamente un senso di lotta di classe rifarsi al concetto di patria/nazione , oggi non avrebbe più lo stesso senso perché la base sociale di riferimento è mutata : il corpo sociale degli sfruttati , rappresentato dai comunisti e i socialisti di allora , oggi non ha nemmeno cittadinanza e i nazionalisti ( anche quelli vestiti di rosso ) lo vorrebbero espellere ; se il corpo sociale “nazionale” diventasse paradossalmente tutto borghese , va da se che gli ideali comunisti/anarchici/socialisti non avrebbero alcun senso in quella determinata nazione .
La bussola in realtà la perde chi ha sempre avuto a cuore più l’invenzione borghese del concetto di nazione piuttosto che la lotta di classe . Le categorie globalismo/cattivo antiglobalismo/buono non hanno senso : hanno certo senso per i nazionalisti , ma sono fuorvianti , per chi invece non ha perso la bussola , perchè focalizzano l’attenzione su un oggetto di per se neutro come la nazione .
In ultimo non si capisce per quale misteriosa legge di natura non si possa arrivare a scrivere una Carta Costituzionale , sul modello di quella italiana ( e magari anche più avanzata ) , anche per l’Europa .
Ovviamente questo discorso prescinde da un giudizio sui vari movimenti/micropartiti extraparlamentari e spero di non aver offeso nessuno .
Tania,
su un punto siamo completamente d'accordo. La distinzione globalismo buono globalismo cattivo non ha alcun senso. Il globalismo, come ideologia volta a prom uovere la valorizzazione del capitale e a mettere i lavoratori dei paesi (un tempo) ricchi contro quelli dei lavoratori poveri e a consentire al capitale di andarsi a valorizzare dove vuole e di potersi muovere liberamente facendo venir meno all'improvviso denaro ai vari sistemi produttivi e a mettere gli stati in concorrenza tra loro è cattivo e basta.
Ma se il globalismo – che è quello che ho definito e non altro – è cattivo, allora non resta che contrastarlo inserendo norme giuridiche che anziché promuoverlo lo impediscano e lo facciano recedere. E dove le vuoi inserire le nuove norme giuridiche se non negli ordinamenti nazionali?
Sulla ipotesi di costituzione europea non ci siamo, invece. La Costituzione europea in che lingua verrebbe scritta? La maggior parte degli stati avrebbe una costituzione tradotta? E come fai ad imporre a tedeschi ed olandesi di finanziare, grazie all'unico sistema fiscale, le zone depresse dell'europa? Inoltre una costituzione come quella non la scrivi perché qualcuno lo desidera. Fu necessario combattere la seconda guerra mondiale e farlo dalla parte sbagliata; essere invasi da una potenza straniera; il tradimento Badiogliano; l'Italia divisa in due e un certo numero di persone che fecero la scelta giusta per salvare la patria. La costituzione europea non la hanno fatta dopo il 1945; figuriamoci se si può fare adesso.
Una cosa io ho imparato da un po' di tempo a questa parte. La realtà npon è come io la desidero; le condizioni storiche non sono sempre quelle che desidererei per poter modificare la realtà; una mia proposta politica non deve necessariamente coincidere (e in genere non può coincidere) con la mia proposta ideale. Io ho l'impressione che a te manchi, quando rifletti, questo sano realismo. Naturalmente, visto che io non riesco a combinare nulla, tu mi dirai preferisco essere non realista. A questa obiezione non posso replicarti nulla. Solo ricordarti che hai deciso di non essere realista.
E se otto stati, magari tra loro non confinanti sono favorevoli e altri e venti no che si fa? Si aspetta? Si conquistano gli altri militarmente? Come fai a dire che una costituzione come quella italiana potrebbe essere scritta per l'europa? Non vedi gli insuperabili ostacoli che si frappongono alla realizzazione della tua volontà?
Infine il termine nazionalismo. I nazionalisti vogliono proiettare lo stato fuori dai confini e talvolta sono imperialisti. Poi ci sono quelli più pacifici che dicono che lo stato si proietta naturalmente e necessarianmente fuori dai confini. I sostenitori dello stato nazione, che si dichiarano patrioti e non nazionalisti, non hanno la volontà che il loro stato metta i piedi fuori dai confini. E se ad una considerazione realistica constatano questo "movimento naturale", faranno normalmente buon uso del potere statale. Insomma, non si può negare che gli stati, nella stipulazione dei trattati internazionali, facciano valere la loro forza; come fai tu, naturalmente, quando contratti per acquisti o vendite personali. Ma da questa considerazione realistica a definire tutti coloro che reputano che la società si organizza meglio e in modo più giusto se si sottrae ai vincoli globalisti ce ne vuole.
Infine la lotta di classe. Questo concetto sorse quando la maggior parte delle persone viveva in condizioni brutali. Si credette che la storia era sempre stata lotta di classe. Eppure sarebbe bastato riflettere che per millenni vissero società schiavistiche, nelle quali gli schiavi, pur essendo maggioranza, non si ribellavano, e constatare che la storia narra di pochissime ribellioni degli schiavi, per concludere che "la storia non è sempre stata lotta di classe; e che per lunghi periodi, generalmente, non lo è". Nei paesi sviluppati, è almeno dalla fine degli anni settanta che la lotta di classe è scomparsa (salvo nei pensieri di minoranza che non hanno influoto sulla storia). Essa ricomparirà quando l'impoverimento sarà molto maggiore e generalizzato. Ma ricomparirà per scomparire appena il sistema ricreerà opportunità per molti. Ecco, ammettere questo significa essere realisti; non ammetterlo significa bendarsi gli occhi e fingere che la realtà coincide sempre con le nostre credenze o con i nostri desideri.
Limitare le disuguaglianze; premiare il lavoro autonomo e subordinato; e punire le vincite da scommesse e le rendite; schierarsi a favore del capitale investito nella produzione di beni e servizi e far rendere sempre di meno il capitale finanziario, che guadagna con interessi e scommesse; organizzare la società in modo che il diritto alla casa costi poco e comunque in qualche modo sia riconosciuto a tutti; questo è un serio programma. Esso presuppone la sovranità dello stato nazione. Che lo stato possa governare e disciplinare la produzione e la distribuzione.
Credo occorra precisare che la dittatura degli economisti (o monetaristi, o Chicago Boys, fate voi) sia stata possibile grazie ad una meticolosa manovra a tenaglia: la stabilizzazione della destra come portatrice di benessere e di tutta la pletora di aggettivi positivissimi che accompagna i concetti di Modernità e Progresso (questo grazie a fattori non secondari come la transumanza totale dei giornalisti verso i pascoli del potere e la pubblicità-adesso spiegatemi la differenza tra i due) e il parallelo svuotamento della tensione epica ed etica che animava la sinistra fino a qualche decennio fa e che ha portato il PSI al craxismo ed il PCI al dalemismo e veltronismo, formule fuorvianti di atlantismo.
La manovra a tenaglia è riuscita perfettamente e la bussola è stata truccata. Il Nord non è più Nord e la Sinistra non è più Sinistra. Tutto confluisce nel Grande centro del Pensiero Unico Monetarista. La speculazione ha preso il sopravvento, occorre incassare cash e servono fringe benefits e stock options per essere della partita.
C'è da distinguere quindi tra sinistra storica e la sinistra attuale che nulla ha a che vedere con quella storica così come Nenni nulla ha a che spartire con Craxi.
La prova del nove: è uscito proprio oggi sul blog di Grillo (ok non linciatemi) una dura intervista di Ivan Cicconi che riporta il pensiero di Luigi Preti -allora Presidente del PSDI (?!)-, che così apostrofava la nascente linea ad alta velocità: “Fermate questa grande opera perché è una truffa con la quale spenderemo decine di migliaia di miliardi di vecchie lire che cadranno sulla testa dei nostri figli e dei nostri nipoti”.
http://www.beppegrillo.it/2012/03/passaparola_la_1/index.html#*ict1*
Ecco, mi piacerebbe, per dirla alla Moretti, che qualcuno dicesse oggi in Parlamento qualcosa di sinistra. Non di sinistro, ma di sinistra. Perchè ricordo il repertorio della sinistra e oggi ormai sento solo repertori sinistri. Uguali a destra e a sinistra.
A chi pensate possa giovare questa impossibile distinzione?