Il pensiero di Robert Mundell: così fu concepito l’euro
di INSIDEOVER (Andrea Muratore)
Il 4 aprile si è spento a 88 anni nella sua villa di Siena l’economista canadese Robert Mundell, insignito del Premio Nobel nel 1999 per i suoi studi sulle teorie monetarie e le cosiddette “aree valutarie ottimali”.
Mundell, ritenuto tra i maggiori economisti del Novecento e tra i massimi esponenti del pensiero della supply-side economics che, assieme al rilancio dell’ideologia marginalista, ha costruito quello che viene chiamato il “mainstream” neoliberista. Uno dei cui testi sacri è un trattato del 1971 dello stesso Mundell, The dollar and the policy mix, pubblicato all’Università di Princeton.
Esponente della scuola dei Chicago Boys, cresciuti nella città dell’Illinois all’ateneo dominato dall’inizio degli Anni Cinquanta dal pensiero di Milton Friedman, di cui uno degli ultimi epigoni è l’attuale ministro dell’Economia brasiliano Paulo Guedes, Mundell è stato salutato come “teorico dell’euro” in quanto al pensiero dell’economista canadese si ispirano buona parte dei concetti politici e teorici che hanno spinto le autorità comunitarie a valutare la creazione della moneta unica tra gli Anni Ottanta e Novanta.
Sulla scia dei lavori pioneristici dello studioso russo-britannico Abba Lerner a partire dagli Anni Sessanta Mundell studiò le cosiddette aree valutarie ottimali, ovvero teorizzò delle condizioni sotto la cui realizzazione sarebbe stato possibile ipotizzare il fatto che uno spazio economico si sarebbe potuto saldare sotto una comune valuta.
In A Theory of Optimum Currency Areas, pubblicato nel 1961 dall’American Economy Rewiev, Mundell teorizzò quelle che a suo parere erano le quattro aspettative da realizzare per ottenere un’area valutaria ottimale:
- mobilità del fattore lavoro all’interno della regione in considerazione.
- apertura alla mobilità dei capitali e alla flessibilità dei prezzi e dei salari all’interno della regione per distribuire col meccanismo di domanda e offerta le opportunità lavorative.
- Presenza di un meccanismo di redistribuzione degli effetti dei rischi e delle disuguaglianze creati dai primi due fattori tra le aree partecipanti all’Avo. Da attuarsi soprattutto attraverso l’esistenza di redistribuzione fiscale e investimenti di coesione per le aree meno sviluppate.
- Esistenza di un indirizzo comune di governance degli affari economici tra le regioni o i Paesi membri dell’area valutaria ottimale.
L’altro importante contributo teorico di Mundell è il cosiddetto Teorema Mundell-Fleming, sviluppato assieme all’economista britannico Marcus Fleming, a lungo alto funzionario del Fondo Monetario Internazionale. Mudell ne scrisse in Capital mobility and stabilization policy under fixed and flexible exchange rates, paper del 1963 pubblicato dal Canadian Journal of Economics and Political Science, dopo l’uscita di Domestic financial policies under fixed and floating exchange rates, lavoro di Fleming per il Fmi dell’anno precedente. Sotto le condizioni di questo modello matematicamente molto complesso il modello Mundell-Fleming esplicita che un’area economica ben precisa non può mantenere, al tempo stesso, tassi di cambio fissi, movimenti di capitale liberi e una politica monetaria indipendente, dovendo scegliere due di questi tre per bilanciare occupazione, inflazione e equilibrio produttivo. Un “trilemma” estremamente attuale per l’Europa di oggi.
Mundell fu consigliere della Comunità economica europea e dell’Unione europea per strutturare l’Euro come area valutaria ottimale nel corso degli Anni Novanta, e nel 2012 ha sottolineato che la moneta unica europea ha consentito di ridurre i costi di transazione tra le economie, sanando il rischio legato alla mobilità di fatto incompleta del fattore lavoro tra i diversi Paesi europei. A dire il vero, fino all’attuazione del Recovery Fund Eurolandia non disponeva nemmeno di un meccanismo di redistribuzione delle disuguaglianze (eccezion fatta che per i fondi di coesione comunitari) in grado di bilanciare ottimamente differenze operative e produttive tra le diverse zone del Vecchio Continente e la graduale espansione dell’Unione ha portato nel gruppo Paesi con modalità di governance economica diverse da quelle del nocciolo duro della Comunità originaria.
Da area valutaria ottimale, dunque, l’Euro è gradualmente virato verso la forma di una valuta ideale per un modello Mundell-Fleming, irrigidita per natura dall’assenza per i Paesi membri di una politica monetaria in grado di livellare differenziali di inflazione reale e produttività. Con la conseguenza dell’obbligo alla deflazione interna in caso di shock economici asimmetrici e del poderoso intervento posto in essere dalla Banca centrale europea nelle fasi di maggiore turbolenza finanziaria come necessaria cura alle crisi sistemiche dell’Europa.
Per Mundell il vero determinante ultimo della politica deve essere la garanzia della mobilità di capitale, equesto principio nell’Unione europea odierna è stato completamente realizzato. Da qui, però, a ritenere l’Euro un’area valutaria ottimale passa molta acqua sotto i ponti: economisti di peso come Giulio Sapelli hanno criticato il fatto che nella globalizzazione odierna l’unica mobilità garantita completamente sia proprio quella finanziaria, sottolineando gli effetti distruttivi dei grandi capitali lasciati liberi di muoversi ove preferiscono senza garanzie alla produzione industriale e al lavoro delle singole aree componenti un mercato unificato.
Mundell è il padre dell’Euro, ma le sue due teorie principali sono state rischiosamente unificate dai costruttori materiali dell’unione monetaria europea lasciandoci in eredità, complice il baricentro “tedesco” delle idee che ne hanno plasmato la costituzione, numerose asimmetrie sistemiche: dall’elevata disuguaglianza territoriale alla divergenza de facto tra le inflazioni nelle varie zone, che favorisce le economie più competitive (Germania, Olanda e Paesi affini), molto non è stato sufficientemente spiegato dalla teoria economica. E parliamo di ciò che è alle basi dell’imperfezione della valuta comune europea.
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