Sull’unificazione politica e movimentistica del fronte del dissenso
di STEFANO D’ANDREA
Ieri, assieme a una quindicina di militanti romani, nonché a tre salentini, noi di Riconquistare l’Italia abbiamo partecipato all’ “Assemblea nazionale del Fronte del dissenso”. A differenza della manifestazione del 10 ottobre 2020, questa volta la gestione della pandemia era il tema unico, o quasi, come risulta dagli 8 punti dell’appello, nessuno dei quali toccava i temi dell’antieuropeismo, del neosocialismo, della piena occupazione, delle prossime elezioni politiche, ecc..
Lo scopo era di “unire il fronte del dissenso”, che dovrebbe stare “insieme per una nuova umanità”, come si legge nell’articolo linkato, con il quale veniva promossa l’assemblea.
Le persone erano poche per una manifestazione. Erano però molte per una assemblea e quella che avrebbe dovuto svolgersi era un’assemblea. Soltanto che erano molte, forse troppe, anche le sigle dei gruppi o associazioni, i cui rappresentanti hanno preso la parola. Ma su questo punto mi soffermerò tra breve.
Gli organizzatori hanno comunicato che, secondo quanto riferito dal Prefetto di Roma, in un anno sono state indette in Italia oltre 4.500 manifestazioni contro la gestione pandemica. L’obiettivo sarebbe, appunto, unificare, in vista di un’unica manifestazione, che si dovrebbe svolgere a Roma nei primi di giugno, questo fronte del dissenso.
Nonostante un bell’intervento del rappresentante del Movimento Sport e Salute e quello di Riccardo Paccosi dei teatranti di Bologna, mancava una componente del dissenso, che probabilmente ha organizzato la gran parte delle manifestazioni: i lavoratori autonomi ai quali è stato impedito di lavorare. Il 95% dei presenti, ma forse il 99%, aderiva all’assemblea per una posizione critica relativa alla narrazione e alla gestione pandemica.
Effettivamente tra le due anime del dissenso, quella politica e quella corporativa, corre una distanza (potenzialmente) abissale.
Niente esclude, infatti, che il barista o il ristoratore che voglia giustamente riaprire per poter lavorare, o il titolare di una palestra o di altro impianto sportivo, o un attore di teatro, siano favorevoli al green pass, alla DAD prolungata, o all’obbligo vaccinale, o alla campagna terroristica portata avanti dai mezzi di informazione. Si tratta di persone che hanno protestato perché volevano lavorare, sia pure in sicurezza, purché fosse possibile starci dentro con le spese e procurarsi uno stipendio. Probabilmente, se fossero stati offerti con tempo dei veri ristori, idonei a coprire tutte le spese e a dare un piccolo stipendio, la gran parte degli autonomi che ha protestato, non lo avrebbe fatto.
Queste due anime della protesta possono forse unirsi in una manifestazione unica nazionale ma non hanno assolutamente nulla in comune, se non, forse, l’interesse a protestare insieme. Dico forse perché se, nei primi giorni di giugno, per l’abbassamento del numero dei casi sotto i diecimila al giorno, in Italia avremo soltanto zone gialle, è davvero difficile, anzi impossibile, che la componente corporativa partecipi alla manifestazione. L’unione politica delle due “parti”, tuttavia, è impensabile e insensata.
Invece i gruppi e le associazioni che hanno svolto critiche politiche alla gestione pandemica, e prima ancora alla narrazione, possono unirsi politicamente?
Stando agli interventi ascoltati ieri, alcuni certamente no. Si sono ascoltati infatti interventi millenaristi, frasi come “Cristo è stato il primo esperto di marketing” (detta per ammirare Cristo), un inno all’“Europa delle nazioni” recato dal presidente di una associazione dal nome superato dalla storia, “Noi con Trump”, persone che si sono vantate di aver fatto finire la carriera di importanti politici nazionali (la carriera dei quali, tra l’altro, non è per niente finita), e altre ingenuità del genere.
Tuttavia, la maggior parte delle persone con cui è capitato di parlare erano brave e soprattutto belle persone, che sembravano anche essere antieuropeiste e neosocialiste – sebbene antieuropeismo e neosocialismo abbiano appena fatto capolino negli interventi – e tutto sommato infastidite o scettiche dinanzi alle declamazioni irrazionali contro la gestione pandemica, che, bisogna precisarlo, negli interventi sono state rare, anche se presenti.
Il problema è che queste persone sembravano appartenere o essere legate o seguire sui social una cinquantina di associazioni diverse, spesso locali, quasi sempre comunali, suppongo costituite mediamente da dieci persone. E 50 x 10 fa 500 (ma le sigle che hanno aderito sono addirittura 100). Paradossalmente, un numero molto utile per un progetto politico, se queste persone potessero essere unificate politicamente, e meno utile per una grande manifestazione.
Ma il problema è: chi le unifica politicamente? Perché, in un’alleanza politica, 50 gruppi da 10 persone devono assumere impegni per mezzo di una sola voce. Insomma, proprio a causa del loro carattere locale e anzi cittadino e comunque delle modeste dimensioni numeriche, i 50 gruppi devono essere soltanto un elemento (non 50 elementi) dell’alleanza.
Infine, non è detto che chi si organizza localmente o tramite la rete, per esprimere idee su un tema, sia disposto ad assoggettare se stesso a un progetto, un insieme di vincoli, opzioni simboliche e di linguaggio, strategie e scelte, insomma all’alleanza. Le piccole associazioni caratterizzano il movimento, il fare liberamente ciò che si desidera, il prendere la parola, l’esprimersi, il declamare, il dire liberamente ciò che si pensa.
L’agire politicamente, invece, significar eseguire una decisione assunta da una organizzazione, la cui volontà si è concorso a formare nelle forme congressuali con peso di un cinquecentesimo (per stare all’esempio), e addirittura una decisione assunta da un’alleanza, decisione che rispecchia solo parzialmente quella del partito.
Insomma, psicologicamente, ossia come atteggiamento psicologico, e strutturalmente, ossia come organizzazione, il partito è l’antitesi del movimento: il movimento sta al partito, come il buio sta alla luce del sole.
Parteciperemo, quindi, alla manifestazione dei primi di giugno, sapendo che in essa incontreremo brave e belle persone.
Ma sappiamo:
- che l’unificazione del fronte del dissenso è soltanto l’unificazione del fronte del “dissenso politico”, al quale rimarrà del tutto estraneo il dissenso corporativo-rivendicativo, che nei primi di giugno sarà intento a lavorare; ciò è un fatto ed è anche un bene;
- che sarebbe opportuna una certa, anche minima, selezione degli oratori: la estrema ingenuità di certi interventi fa perdere alla manifestazione dignità e forza;
- che l’unificazione tramite assemblee e coordinamenti di 50 persone può dar luogo solo a una manifestazione e a niente altro. Come si svolge, per esempio, una riunione di 50 persone su meet o zoom? E se ora del coordinamento fanno parte 100 sigle, come si svolge una “riunione” di 100 rappresentanti?
- che l’unificazione politica di 500 persone divise in 50 sigle è raggiunta mediante un organo direttivo di 3 persone, con una di esse che porta la voce in un tavolo dell’alleanza e in quel tavolo assume impegni per tutte le 500 persone: fin quando esiste il “coordinamento” di 50, non c’è alcuna unificazione: l’unificazione è la distruzione del coordinamento.
Insomma, i 50 che ieri, intervenendo alla presidenza, hanno detto spesso a gran voce “unifichiamoci”, anche se non lo sanno, hanno detto che 47 di loro devono abbandonare la scena, fare i soldati, tornare sugli spalti e lasciare che la prossima volta dal palco parlino in 3, quelli che essi reputano i migliori.
Infatti, un’altra manifestazione-assemblea nella quale si susseguano 50 persone che parlano per 5 minuti, (quasi) sempre sforando i tre minuti concessi dalla presidenza e il “movimento” si addormenterà, o almeno vedrà scendere continuamente il numero dei partecipanti, fino ad addormentarsi, per poi magari risvegliarsi a distanza di mesi e poi ri-addormentarsi di nuovo, se le forme adottate saranno le medesime. In un ciclo che, date certe forme, è destinato a durare per l’eternità.
Allego il mio breve intervento, che ha almeno il pregio di non aver sforato i tre minuti e mi auguro che gli amici di Liberiamo l’Italia, e tutti gli altri partecipanti al movimento, prendano queste mie osservazioni per quello che vogliono essere: spunti di riflessione per chi promuove questo movimento.
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