Una parola a favore dell'euro
di Daniela Salvini
Ho chiesto ad alcuni assidui lettori di questo blog di inviarmi un articolo, eventualmente già pubblicato. Daniela Salvini ne ha inviato uno sull’Euro, non in linea con le posizioni spesso espresse in questo blog. Un’occasione per ragionare e per riflettere (SD'A).
Una parola a favore dell'euro
La moneta, ogni moneta, dovrebbe essere, essenzialmente, un mezzo di scambio e di pagamento, anche se oggi, sempre più, risulta essere importante anche come riserva di valore nello spazio e nel tempo, come misura di tutti i valori, come mezzo di speculazione potente, come concentrato di ricchezza in poco spazio, tutte cose che facilitano l'accumulazione della ricchezza a chi può permetterselo.
L'era di tale accumulazione dovrebbe finire, ma intanto, in una fase di transizione, non possiamo rimanere passivi ed inerti aspettando quel crollo, considerato da molti ormai inevitabile e forse utile a far rinsavire il pianeta.
C'è chi propone l'uscita dell'Italia dall'Unione europea e dal suo sistema monetario. A mio parere questo è un errore.
L'euro, oggi, malgrado le vicissitudini della crisi mondiale e quelle legate alla situazione europea, mantiene una certa forza all'interno dei paesi dell'eurozona e più in generale nell'ambito internazionale. Le ragioni sono molto complesse e richiederebbero un discorso a sé. Accennerei però a quello che mi sembra il più influente. Essere moneta di riserva: la Cina, ad esempio, ma non solo, l'acquista e la tiene in alternativa al dollaro. Mantenere forte questa moneta potrebbe essere utile a svincolare l'Europa dal destino e dalla volontà dell'Impero. Naturalmente per dire questo parto dal presupposto che il sistema americano sia avviato al declino e possa uscirne solo dominando gli altri e, magari, utilizzando la guerra come mezzo.
Poiché da molte parti si comincia ad ipotizzare che sarebbe auspicabile un'uscita ragionata dal sistema euro – che non significa automaticamente uscita dall'UE, visto che più della metà dei suoi membri non lo adotta – da un'ottica alternativa, vorrei dire che pensare a soluzioni prettamente monetarie, per tornare a star meglio, è molto riduttivo. Punterei di più a considerare prioritariamente alcuni aspetti reali, che hanno a che fare direttamente con l'economia monetaria. Il mio non vuole essere un discorso esauriente ma l'avvio di un ragionamento diverso.
In un sistema autarchico un mutamento dei cambi non interessa, ma non è il caso dell'Italia. Se volesse domani fare da sé ripristinando la sovranità nazionale, con una propria moneta, avrebbe immediatamente a che fare con la sua grande debolezza. Chi ricorda l'Italia degli anni '70 sa cosa intendo. Quando una moneta si indebolisce, si avvia una perdita progressiva di potere d'acquisto derivante dal rincaro delle importazioni di energia e materie. Il potere d'acquisto corrisponde al reciproco del livello generale dei prezzi. Se quello scende, l'altro sale, e viceversa.
Quando aumenta il livello generale dei prezzi si dice che c'è l'inflazione. L'inflazione di cui parlo non è quella del 2 o 3%, strisciante, non molto pericolosa, e nemmeno l'iperinflazione, più rara. Parlo di quella alta, a due cifre.
L'inflazione non è un fenomeno neutrale perché sposta le ricchezze da alcune categorie di soggetti ad altre, in modo selvaggio. Ha conseguenze fortemente negative per tutto il sistema economico, ma aggrava la posizione di taluni, i percettori di redditi fissi in primis, quella dei piccoli risparmiatori, quella degli investitori che vengono scoraggiati, e altri ancora. Dunque, viene danneggiata la grande massa dei cittadini, i ceti subalterni in particolare.
I percettori di redditi variabili, e tra questi metterei anche i rentiers, che possono scegliere fra una gamma infinita di prodotti, sul mercato finanziario, sono maggiormente in grado, per gli aumenti subiti, di scaricare sui prezzi, che “fanno” loro stessi, l'aggravio dei costi. A volte addirittura li anticipano, diventando essi stessi causa di ulteriore inflazione, con ripetuti effetti a catena.
L'economia reale italiana non potrebbe rimanere indifferente ad un cambio che muta sempre a suo svantaggio perché il paese è da sempre caratterizzato da grande povertà di materie prime che si procura all'estero. Anche i capitali spesso provengono dall'estero. Sia quelli interni che quelli esterni giocano sempre più la carta della finanza, fuggevoli e infidi, oppure inseguono le imprese che delocalizzano, rincarando il danno a spese dell'economia reale.
La fortuna economica e lo sviluppo sono stati, in passato, tradizionalmente legati alla grande qualità del lavoro e alla creatività. Da un pezzo mafie e competizioni sleali, accanto a politiche giovanili e scolastiche scellerate, hanno depredato il lavoro italiano. La maggior parte degli operatori italiani oggi può fornire prevalentemente manovalanza.
Le materie importate devono essere pagate in valuta estera, quindi il loro prezzo, con un cambio svalutato, aumenta. Se si scegliesse o si dovesse decrescere si dovrebbe comunque importare perché l'Italia non è autosufficiente in nessun settore, tanto meno quelli di base, come l'alimentare.
Dovendo importare occorrerebbe almeno pareggiare la bilancia commerciale con le esportazioni.
Ora è vero che la svalutazione competitiva avvantaggia gli esportatori, mettendo in moto il sistema produttivo. Però è anche vero che ciò che si produce, spesso utilizza lavoro straniero in patria, a più basso costo, mentre le merci vendute verranno utilizzate da altre persone lontane da noi, i ricchi nel mondo. Non torna a beneficio diretto della comunità nazionale. Dare troppa importanza alla svalutazione competitiva è sbagliato, poco lungimirante, guarda agli effetti immediati. Con un cambio sfavorevole, gli esportatori otterrebbero sì un aumento di introiti, ma a costo di esportare quantità crescenti da vendersi per ottenere la stessa quantità di moneta nazionale. L'Africa ex-coloniale e il suo crescente debito estero, controllato da FMI e altri organismi internazionali, strozzini che fingono di aiutare, ci insegnano. In più gli imprenditori non sarebbero invogliati a fare gli investimenti utili a migliorare la qualità dei prodotti. Sono dubbiosa di un sistema che ricerca una maggiore competitività, al ribasso, andando a competere così con gli interessi di paesi che sulla bassa qualità sono molto più competitivi di noi, tipo l'India o la Cina.
In conclusione, a mio parere, non è neppure una soluzione adottare monete locali, di nuova fabbricazione, valide solamente in alcune zone del paese e non in altre. La molteplicità confonde, complica, rende meno confrontabili e trasparenti gli scambi.
Lasciamo la moneta che c'è e cambiamo eventualmente il modo di usarla, sia nel microcosmo che nel macrocosmo.
Cerchiamo di pensare a ridurne l'uso piuttosto, a cambiare la mentalità riguardo alle nostre priorità.
Con tutto ciò non intendo minimamente prendere le difese del sistema europeo attuale. Vale la pena di insistere nel non voler accettare le condizioni capestro che vengono propinate oggi dalle autorità interne ed esterne, e sbandierate come un toccasana per superare la crisi, per riavviare la “crescita”.
Se con un programma di vera opposizione verremo cacciati dallo Sme, o se l'Europa si disgregherà, faremo a meno anche dell'euro, ma fino a che questo non avverrà per forza propria, noi, popolo, dal basso, dobbiamo presentare i nostri secchi rifiuti ma anche le proposte alternative dell'Europa che vorremmo.
I cittadini ribelli, sia di destra che di sinistra, non possono prevedere una costruzione istituzionale ideale, totalmente diversa da quella esistente; possono spingere con delle parole d'ordine, chiedere un programma diverso. Agli italiani, come agli spagnoli, che sembrano avviati alla lotta, o ai greci, converrebbe aprire un dialogo fra loro, contro gli stessi programmi imposti, le stesse proposte, le stesse speculazioni. Se si considera il suolo europeo come territorio nazionale e la popolazione europea come un insieme composito e diversificato, ma unico, si possono chiaramente individuare interessi comuni, o altrettanto, soggetti nemici comuni oppressori: le stesse banche, le stesse istituzioni, gli stessi centri di potere, gli stessi controlli.
Gli Stati nazionali sono già disgregati per l'opera delle multinazionali, le classi politiche e dirigenziali di ognuno sono manipolati dall'esterno. Vale la pena ripristinare l'Italietta? Non è che può essere spazzata via dalla sera alla mattina con un po' di uranio impoverito?
Il potere politico italiano è talmente corrotto e la casta gode di tali privilegi che, sganciata dall'Europa, per evitarlo, sarebbe ancor più serva dell'Impero.
Chiedo invece un'Europa più indipendente dall'Impero, meno liberista e svincolata dalle agenzie di rating americane, con regole severe che limitino la speculazione per uscire dal ricatto sui debiti sovrani, che potrebbero benissimo essere ristrutturati. Un'Europa con norme fiscali uniformi, che stabiliscano imposte progressive, imposte patrimoniali, che voglia regolare i propri debiti, pubblici e privati, con l'inaugurazione di stagioni austere un po' per tutti, ma senza colpire in particolare i ceti meno abbienti. Immagino programmi per favorire l'occupazione, attuati cambiando i modi di produrre, in un quadro di produzione quantitativa globale minore, più essenziale, più utile alla comunità.
Stampando più moneta, lira od euro che sia, come propone Barnard e qualche altro, non si va da nessuna parte. Di questo sono certa.
Ravenna, 26 giugno 2011
Comincio da qua: " non possiamo rimanere passivi ed inerti aspettando quel crollo, considerato da molti ormai inevitabile e forse utile a far rinsavire il pianeta".
Non possiamo da che punto di vista? Se non erro, e ti chiedo conferma, negli anni trenta vi fu un "crollo della globalizzazione", ossia del commercio internazionale e della libertà di circolazione dei capitali (finanziari). Si trattò più di risposte politiche alla crisi del sistema (autarchie sovietiche e dei fascismi di vario tipo; separazioni di banche commerciali e banche d'affari e quindi tendenza del risparmio ad essere reinvestito nello stato che lo aveva prodotto) che di cause delle crisi.
Se le cose stanno così, e ti chiedo conferma, perché non credere che le alternative, per chi muove da obiettivi alternativi al sistema vigente, siano in realtà due soltanto: attendere il crollo perché nascano idee, forze e interessi coordinati al mutamento (un mutamento che, è bene ribadirlo, nato con i nazionalismi e con l'autarchia sovietica, si consolidò dopo la seconda guerra mondiale); oppure agire per il crollo (un default dopo i quale si ricominci, forse, è una applicazione del principio: agire per il crollo)?
Non credo che il sistema si lasci riformare, che ci siano le forze, le idee e i partiti necessari. La crisi del 2008 ha dimostrato che se il sistema non crolla, tutto va nella direzione di stabilizzare, rafforzare e ristrutturare il sistema.
Se il sistema riuscisse, sia pure dopo duri "sacrifici" (per i deboli) e fallimenti (per le imprese più indebitate) a far ripartire il finanziamento del consumo a debito, avrebbe ben presto un consenso semitotalitario come lo ha avuto fino ad ora. Quando l'eroinomane ha l'eroina, non ha voglia di ragionare.
Volere un obiettivo che migliora, secondo il nostro punto di vista, la nostra condizione in genere implica l'accettazione di un sacrificio (per esempio, starò peggio per dieci anni ma poi starò meglio e staranno meglio i miei figli).. L'idea di procedere con riforme che ci danno (o non ci fanno perdere) e non ci tolgono nulla è tipica di ogni propaganda. In genre non ha rispondenza nella realtà
La conferma te la dò io. Con la grande depressione (causata, secondo alcuni studiosi, dall'eccessiva indipendenza delle banche centrali) e la fine della globalizzazione che si era avviata a fine ottocento, le economie nazionali si ripiegarono su se stesse: iniziò allora una fase di politiche economiche interventiste. Numerose banche centrali (ma anche private) furono nazionalizzate, tutte persero la loro indipendenza.
Il punto è che non si può uscire da una fase di recessione economica sanza far ricorso a provvedimenti anti-ciclici, e questi provvedimenti sono tutti di ispirazione keynesiana. Ci vorrebbe un potere politico che le attuasse. Noi, in Europa, dipendiamo invece dalle scelte arbitrarie di una BCE autoreferenziale e ossessionata dall'inflazione, per cui popoli e governi non hanno alcuna possibilità di scongiurare le misure restrittive di Trichet (ultima lo sciagurato rialzo dei tassi di interesse). Queste misure restrittive sono l'esatto contrario di quanto avremmo bisogno, ma putroppo i Trattati conferiscono alla Bce una competenza esclusiva in materia monetaria, nonché una piena autonomia riguardo agli strumenti e una quasi completa discrezionalità rispetto agli obiettivi.
C'è chi dice che il default prossimo venturo degli USA sancirà la definitiva vittoria dell'Euro in quanto moneta di riserva globale. Cazzate. è vero che in caso di default il dollaro perderebbe qualsiasi credibilità, tuttavia la crisi che ne scaturirebbe colpirebbe fortissimamente anche le conomie dell'eurozona. La bancarotta americana creerà una maxi-recessione a livello globale, un po' come scagliare un masso in una pozzanghera. Tutti i paesi che vivono di esportazioni soffriranno le pene di un mercato internazionale contratto, mentre le prospettive di crescita dell'Europa mediterranea, già abbastanza risibili, faranno la fine delle spighe sotto la falce. In questo quadro pazzesco l'anno prossimo mr. Draghi busserà alle nostre porte chiedendo il pareggio di bilancio, cioè cure da cavallo che faranno stramazzare al suolo la nostra già moribonda economia. Viva l'euro!
le uniche cose da fare sarebbero svalutare la nostra moneta, approfittando della probabilissima deflazione post-crollo dei prezzi delle materie prime, e indirizzare le così ottenute risorse finanziarie nella rivitalizzazione della domanda interna, possiblimente con investimenti mirati (quelli legati al risparmio energetico sarebbero utilissimi).
Però dovremmo essere sovrani. Ah, già.
@Stefano
Mi chiedi conferma riguardo al crollo della globalizzazione negli anni trenta. Non so se si può sintetizzare proprio così. Temporaneamente la crisi colpì tutti in maniera molto forte, ma mi pare che dopo una fase di distruzione, si reimpostò un nuovo equilibrio mondiale. Tenendo da parte per il momento le chiusure autarchiche e i fascismi nazionalistici, mi pare che l'Occidente, mentre crollava il primato mondiale dell'Inghilterra, si riaffermasse prepotentemente tramite la supremazia economica e commerciale degli Stati Uniti.
Credo che nella storia le cose non avvengano in modo lineare. Non si può avere una sequenza esatta temporale così come tu la delinei. Prima si distrugge e poi si ricostruisce da zero. Credo che nel vecchio stiano i semi del nuovo. E poi, credi che gli altri, quelli che credono in questo sistema, ti lascerebberoo liberamente fare in un dopo?
In alcuni articoli da te scritti poco tempo fa dicevi che in ogni ambito occorre essere propositivi. Facevi degli esempi riguardo ai campi più diversi: costruire orti anche in città, nei parchi e nei giardini, proponevi modi alternativi di educazione. Hai fatto proposte anche riguardo all'uso della moneta.
Non mi sembra che tu sia stato nell'ottica di attendere il crollo per poi farti un'idea. L'idea te la sei fatta subito anche se non la puoi realizzare. Se tutto crollerà partirai, tu o qualcun altro che l'ha rielaborata, i tuoi figli magari, proprio da quelle idee che sopravviveranno alla crisi.
Ora, ipotizziamo che tu propendessi per l' incoraggiamento del défault. Ma se il défault è provocato da chi, in molta parte da fuori Europa, speculando e facendo affari, vorrebbe salvarsi e prosperare facendo sprofondare proprio l'Europa stessa, come è possibile pensare che ci sarà un ritorno positivo per lei? Credo che l'Europa e i suoi popoli debbano difendere il loro sistema dall'aggressione esterna americana, potenza che spero avviata al declino, ma non per crescere nel modo tradizionale, quello insegnato dai manuali di economia politica, secondo tradizione liberista o keynesiana. Un'Europa relativamente autosufficiente, armata, libera dalla Nato, con una propria moneta, politicamente più coesa, ma con un'economia più sobria, tutto questo è un'utopia, non il risultato di un tentativo riformistico.
Probabilmente dovresti chiarire di più altre alternative possibili.
Forse che proporre un'uscita dall'euro, un ripristino della lira, l'aumento delle esportazioni tramite svalutazioni competitive, una ripresa dei consumi e degli investimenti, è avere un programma meno riformistico? A me sembra in ogni caso che questa proposta sia un tentativo di cambiare il corso delle cose dall'interno. Solo che è un programma che non mi convince affatto.
@Claudio
Credo di essere d'accordo con te sul fatto che il crollo degli Stati Uniti avrebbe le ripercussioni terribili alle quali accenni. Non sono convinta che un crollo dell'Europa comporterebbe necessariamente una crisi mondiale. Prima di lasciarci schiacciare dovremmo difenderci. L'Italietta, da sola, non va da nessuna parte. Sono dell'avviso, se questo avvenisse, che subirebbe, in caso lo volesse qualcuno, le sorti della Libia o dell'Afghanistan.
Propongo una nazione federale europea, una sovranità europea che non c'è, una BCE pubblica, una lotta contro le politiche liberiste europee, proteste forti contro lo strapotere delle banche e di eventuali Draghi. Propongo lotte, dal basso, da parte di antagonisti organizzati. In un partito magari.
Ho sentito da qualche parte che ci vuole qualcuno che dia la linea. Quella giusta però.
Se un osetno e capace agricoltore non può produrre quel che più serve al paese, perchè i costi superano i guadagni (mercato) o le normative vigenti lo impediscono (eurocrazia), significa che il sistema paese è sbagliato e va corretto. Il mercato se è troppo libero può anche sbatterti fuori da casa tua. Se poi non è così libero come sembra, ma è invaso da una forza economicamente dominante che lo manipola, lo orienta, lo distorce a proprio vantaggio (che è la motivazione primaria e legittimata a prescindere da tutto, maxi-dimensioni comprese), la sua azione distruttrice delle piccole economie locali diventa invincibile. La libera circolazione dei capitali è il principio che spiana la strada a questa fasulla concezione del libero mercato, trasformato in arma di distruzione di massa in tutti quei contesti che si frappongono sulla sua (cattiva) strada. La soluzione “politica” fortunatamente esiste, ed è sempre quella di salvaguardare il primato dell’uomo sugli strumenti di cui dispone. Il mercato non è altro che uno dei tanti strumenti, da riportare al servizio dell’uomo in ogni contesto locale prima ancora che globale. Oltretutto queste due dimensioni non sono antagoniste ma concorrenti alla causa del bene comune e del bene individuale: quel che è veramente positivo e virtuoso localmente lo è anche globalmente, in tutti quei casi in cui il privilegio viene contrastato moralmente e praticamente. Questo euro e l’Europa che ha prodotto sono esattamente l’opposto di tutto ciò, del percorso che la crisi ecologica ci obbliga a intraprendere. La difesa di se stessi non vuol dire isolamento ed egoismo in questo senso, al contrario è il fondamento per un unione nuova e possibile, anzi l’unica possibile nel segno del rispetto reciproco. L’europa dei banchieri se la conosci la eviti.
Risponderò con la franchezza che meriti.