Contro l'Euro
di Claudio Martini
Ho letto con grande interesse l'intervento di Daniela Salvini. Esso mi dà la possibilità di sviluppare
una replica esaustiva e pertinente, tanto che credo che una critica serrata dell'articolo in questione
possa costituire la base di una critica generale del progetto europeo. L'articolo, infatti, è un tale
concentrato di errori, pregiudizi, luoghi comuni e fuochi fatui, diffusi in particolar modo a sinistra,
che una sua efficace confutazione consentirebbe di minare alla base l'impalcatura di menzogne che ancora tiene prigioniera tante persone.
Muse, ispiratemi.
Partiamo con una citazione del testo di Salvini.
“L'euro, oggi, malgrado le vicissitudini della crisi mondiale e quelle legate alla situazione europea,
mantiene una certa forza all'interno dei paesi dell'eurozona e più in generale nell'ambito
internazionale. Le ragioni sono molto complesse e richiederebbero un discorso a sé. Accennerei
però a quello che mi sembra il più influente. Essere moneta di riserva: la Cina, ad esempio, ma non
solo, l'acquista e la tiene in alternativa al dollaro. Mantenere forte questa moneta potrebbe essere
utile a svincolare l'Europa dal destino e dalla volontà dell'Impero.”
Qui ci troviamo di fronte ad uno dei miti più longevi e resistenti a qualsiasi evidenza degli ultimi
anni. L'Europa in quanto contro-potere degli USA, e l'euro quale contropotere del dollaro.
Ora, l'euro non esiste da ieri. Esso è entrato in corso come moneta scritturale il 1 gennaio 1999,
come contante nel 2002. è passato abbastanza tempo per stilare un pur sommario bilancio.
Nel corso del primo decennio di questo secolo l'euro non ha fatto altro che apprezzarsi su un dollaro
trascinato in basso da una politica di bassissimi tassi di interesse e da una bilancia commerciale in
deficit cronico. Dato che la moneta cinese, il Renminbi, segue la quotazione del dollaro attraverso
un meccanismo di pegging, ciò ha avuto come conseguenza una decisa affermazione delle merci
cinesi sul mercato americano, a scapito dei più costosi prodotti europei. Questo ha peraltro
permesso a Washington di legare alle sue sorti l'economia di Pechino, dato che le immense riserve
di dollari accumulate dall'export cinese sono state re-investite in titoli di stato Usa, in modo da
stabilizzarne l'economia e favorirne i consumi. L'euro forte tra monete piuttosto deboli (sterlina a
parte) ha rappresentanto una vera palla la piede per le economie dell'eurozona, in particolare per chi vive soprattutto di esportazioni e turismo: in primo luogo l'Italia, dunque. Questo fenomeno ha
riguardato solo parzialmente la Germania, che è sì un paese che campa di esportazioni industriali,
ma di prodotti destinati soprattutto ai consumatori europei. Il mercato unico e la valuta comune
favoriscono le imprese tedesche, e l'ovvio risultato è stao, in questi anni, un deciso allargarsi dei
deficit commerciali dei paesi mediterranei (Grecia in testa) a tutto vantaggio di quelli mitteleuropei
(come l'Austria, e persino la Polonia).
Ciononostante la crisi di competitività derivata dall'eccessivo valore della valuta unica, unita ai
nefasti effetti di una politica monetaria, da parte BCE, perennemente restrittiva, non ha risparmiato
neppure i lavoratori tedeschi, che si sono visti negare per anni, insieme ai loro colleghi europei,
qualsiasi aumento dei salari reali. Ecco come l'Europa è riuscita a mantenersi sui mercati
internazionali: con la moderazione salariale. In Italia, ovviamente, più che altrove.
L'impossiblità, sancita di fatto dai Trattati europei, di politiche redistribuitive e di sviluppo di
ispirazione keynesiana, il dilagare di privatizzazioni e deregulation, i diffusi tagli ai vari welfare
della zona euro hanno avuto come conseguenza una depressione delle varie domande aggregate; a questo dato alcuni paesi, come la Spagna, hanno pensato di far fronte sviluppando in maniera
abnorme il mercato dei crediti e il settore immobiliare, trainati da una impressionante crescita
dell'indebitamente privato, modello Subprime. La monarchia iberica era, fino a qualche anno fa, il
fiore all'occhiello del progetto europeo: giovane, dinamica, liberale. S'è visto come è andata a finire. Insomma, si può concludere con un suggerimento dell'economista Emiliano Brancaccio:
"Il grande limite dell’Europa, rispetto agli USA, risiede principalmente nella moneta. Gli Stati Uniti, forti della posizione di dominio monetario internazionale garantita dal dollaro, hanno per lungo tempo governato endogenamente lo sviluppo nazionale e mondiale. L’Europa invece si è mossa al traino, in una posizione che sul piano macroeconomico è stata quasi sempre subordinata agli USA. La stessa moneta unica non è nata con il proposito di diventare una moneta internazionale realmente alternativa al dollaro, ma sembra piuttosto essersi proposta quale baluardo della stabilità monetaria, una sorta di rifugio per il capitale ogni volta che il dollaro fosse stato soggetto a crisi e fluttuazioni eccessive. Fino ad oggi, dunque, le autorità europee non hanno quasi mai messo seriamente in discussione il primato macroeconomico e monetario americano."
In generale, chiunque ritenga che ci debba essere una alternativa valutaria allo strapotere del
dollaro (unico vero “signoraggio” esistente nel mondo) dovrebbe riflettere su un fatto: le basi
dell'egemonia finanziaria americana non sono di natura economica, bensì politica, o meglio
militare. Il dollaro non è la moneta di riserva globale in quanto l'industria Usa è fiorente o le loro
banche puntuali nei pagamenti, ma in quanto la Us Navy dispone di undici (11) super-portaerei a
propulsione nucleare da oltre 140000 tonnellate di stazza, mentre il resto del mondo può
mobilitarne soltanto due (2). è il potere militare che fonda quello economico, e non viceversa. Il
petrolio non si scambierebbe soltanto in dollari se gli Usa non occupassero militarmente il Medio
Oriente. In questo quadro, pensare che l'egemonia del dollaro possa essere scalfita da una
elefantiaca buro-organizzazione quale l'Unione Europea, che non ha una volontà comune se non
quando si tratta di servire Washington, e non sa fare altro che deprimere la propria economia
imponendo al Portogallo lo stesso tasso di cambio del Lussemburgo è semplicemente ridicolo.
Meglio sarebbe che ci fosse una platea di stati europei indipendenti e sovrani, alla De Gaulle, che
decidessero di liberarsi dell'opprimente tutela NATO e di rompere le uova nel paniere geopolitico di
Washington tutelando, volta per volta, i loro interessi. E se questo dovesse degenerare in una rivalità intra-europea, pazienza; almeno si dividerebbe il fronte imperialista, e non assisteremmo a quella
patetica riedizone della Santa Alleanza che oggi bombarda Tripoli, e ieri Belgrado.
Riprendiamo il discorso di Salvini.
“L'inflazione non è un fenomeno neutrale perché sposta le ricchezze da alcune categorie di soggetti
ad altre, in modo selvaggio. Ha conseguenze fortemente negative per tutto il sistema economico, ma aggrava la posizione di taluni, i percettori di redditi fissi in primis, quella dei piccoli risparmiatori,
quella degli investitori che vengono scoraggiati, e altri ancora. Dunque, viene danneggiata la grande massa dei cittadini, i ceti subalterni in particolare.
I percettori di redditi variabili, e tra questi metterei anche i rentiers, che possono scegliere fra una
gamma infinita di prodotti, sul mercato finanziario, sono maggiormente in grado, per gli aumenti
subiti, di scaricare sui prezzi, che “fanno” loro stessi, l'aggravio dei costi. A volte addirittura li
anticipano, diventando essi stessi causa di ulteriore inflazione, con ripetuti effetti a catena.”
Di fronte questo minaccioso sventolamento dello spauracchio-inflazione, non resta che dare la
parola a un autore particolarmente osteggiato da Salvini, ossia Paolo Barnard.
“Naturalmente i teorici del neoliberismo, che già dalla fine degli anni ’60
bombardavano il mondo economico internazionale con la falsa idea che gli Stati a moneta sovrana
spendono come i cittadini, cioè che s’indebitano come i cittadini, che è del tutto falsa come ho
spiegato nei capitoli precedenti. Da qui il terrore del Debito pubblico come problema di Stato. Ma furono Milton Friedman e i suoi Chicago Boys a mettere il sigillo dell’autorevolezza a questo assurdo concetto, quando sostennero che la Phillip’s Curve era sbagliata. Spiego: essa è unateoria monetaria chesostieneche se la disoccupazione cala, aumenta anche l’inflazione, perché più persone ricevono unostipendio,spendono di più e questo aumenta la quantità di denaro circolante. Se il denaro aumenta e nonaumentano parallelamente anche i prodotti sul mercato, allora si ha inflazione . Questo puòsuccedere, ma è dimostrato che non fa danni, poiché anche se i prezzi salgono un poco, il beneficio per la collettività di avere meno disoccupati è assai superiore.
Friedman dichiarò invece che nella Phillip’s Curve il calo della disoccupazione non avrebbe solo
portato a un aumento proporzionale dell’inflazione, ma avrebbe proprio scatenato una spirale
d’inflazione esponenziale fuori controllo. Un disastro, terrificante, figlio del ‘terribile’ Debitopubblico
anch’esso.
Questo fantasma fittizio, poi ampiamente smentito, come si diceva fece presa nell’immaginario
dell’ortodossia economica del mondo che conta, politici asserviti inclusi naturalmente. Insomma, il
dogma divenne che abbassare la disoccupazione ci faceva male, quando nella realtà avrebbe fatto
male solo alle elites rapaci del Vero Potere, e salvato invece milioni di cittadini degni.”
Capito a chi conviene il terrorismo sull'inflazione? Ma andiamo avanti.
“L'economia reale italiana non potrebbe rimanere indifferente ad un cambio che muta sempre a suo svantaggio perché il paese è da sempre caratterizzato da grande povertà di materie prime che si procura all'estero.”
Come ho già scritto, il predominio degli Usa non ha ragioni economiche, ma militari. Silla diceva:
“chi ha la spada ha anche la borsa”. La politica prevale sempre sull'economia. Ecco perché, a mio
parere, la questione monetaria si intreccia con quella della nostra collocazione internazionale.
È un fatto che una moneta svalutata pone lo stato che la emette in una posizione di debolezza nel
mercato delle materie prime. Tuttavia, le grandi potenze non si procurano le materie prime soltanto
con gli strumenti propri del banchiere e dell'economista, ma anche con una intervento diretto dei
propri servizi di sicurezza, interferendo con la politica interna degli stati detentori delle risorse. Si
chiama imperialismo: con le armi della politica le grandi potenze creano condizioni economiche
favorevoli. Ora, io non propongo di mettere in campo metodi orribli come le infiltrazioni di servizi
segreti o le invasioni militari per accaparrarci le materie prime, ma sostengo che relazioni politiche
privilegiate con i principali paesi esportatori di idrocarburi e non solo, come il Sudan, L'Iran, la
Russia o il Venezuela ci permetterebbero di aggirare gli svantaggi di una moneta debole. Per farlo
occorre una decisa svolta nella nostra politica estera, dato che, per pura coincidenza, quei paesi si
trovano perennemente nel mirino NATO e media dei paesi occidentali fanno a gara a chi ne
demonizza in maniera più creativa le guide politiche. Un cambiamento della nostra collocazione
internazionale, che rompa il tetragono schieramento occidentalista in favore dei paesi emergenti e
ostili all'imperialismo ci darebbe accesso ad un canale di favore per le materie prime di cui il nostro
apparato industriale abbisogna.
Ancora:
“Lasciamo la moneta che c'è e cambiamo eventualmente il modo di usarla, sia nel microcosmo che
nel macrocosmo. Cerchiamo di pensare a ridurne l'uso piuttosto, a cambiare la mentalità riguardo alle nostre priorità.”
Che significato può avere questo passaggio? I vaghi accenni a situazioni che hanno a che fare con la nostra intimità più che con l'azione politica ("la nostra mentalità"), nonché i riferimenti meramente
onirici ("microcosmo che nel macrocosmo.") non lasciano adito a dubbi: la linea suggerita dall'autrice
è quella dell'impotenza e dell'opportunismo. Ciò è confermato dal seguente svolgimento:
“Chiedo invece un'Europa più indipendente dall'Impero, meno liberista e svincolata dalle agenzie di
rating americane, con regole severe che limitino la speculazione per uscire dal ricatto sui debiti
sovrani, che potrebbero benissimo essere ristrutturati. Un'Europa con norme fiscali uniformi, che
stabiliscano imposte progressive, imposte patrimoniali, che voglia regolare i propri debiti, pubblici
e privati, con l'inaugurazione di stagioni austere un po' per tutti, ma senza colpire in particolare i
ceti meno abbienti. Immagino programmi per favorire l'occupazione, attuati cambiando i modi di
produrre, in un quadro di produzione quantitativa globale minore, più essenziale, più utile alla
comunità.”
E io invece chiedo più felicità, più equilibrio, e soprattutto meno invidia.
A chi sono rivolte le preghiere dell'autrice? Quando chiede più indipendenza dall'America, si
rivolge a David Cameron piuttosto che agli sciovinisti Polacchi e Baltici? E quando si dice incline a
un Europa meno liberista, a chi parla? Forse ai falchi neo-liberisti della Commisione Europea? E chi
dovrebbe acconsentire a “norme fiscali uniformi”? Forse i contribuenti finlandesi e Olandesi, a cui
si dovrebbe chiede di accollarsi con le proprie tasse i debiti dei greci?
Questi propositi sono talmente sognanti irrealistici da risultare risibili. Una visione analisi così
sballata, così estranea alla cruda evidenza, non può che avere un origine ideologica. Questa
interpretazione è secondo me dimostrata dalle seguenti parole:
“Agli italiani, come agli spagnoli, che sembrano avviati alla lotta, o ai greci, converrebbe aprire un
dialogo fra loro, contro gli stessi programmi imposti, le stesse proposte, le stesse speculazioni. Se si considera il suolo europeo come territorio nazionale e la popolazione europea come un insieme
composito e diversificato, ma unico, si possono chiaramente individuare interessi comuni, o
altrettanto, soggetti nemici comuni oppressori: le stesse banche, le stesse istituzioni, gli stessi centri
di potere, gli stessi controlli.”
“Se si considera”… appunto, SE. E perché mai si dovrebbe considerare l'insieme dei popoli europei
come qualcosa di composito e diversificato, ma unico? Non esiste un popolo europeo. Punto. Non
esiste alcuna solidarietà europea: nessuno, in Europa, ha manifestato pubblicamente preoccupazione per la sorte dei “fratelli” greci. “Una d'arme di lingua,d'altare, di memoria di sangue di cor” cantava
il Manzoni riprendendo la definizione di Vico di Nazione. Quale di questi elementi lega oggi il
belga al rumeno, il cipriota all'irlandese? I popoli europei non solo non si amano, ma a malapena si
sopportano. I popoli europei non hanno interessi comuni, ma egoismi e rivalità. L'unico grande movimento che, nel 900, è riuscito a indebolire i vari sciovinismi etnici e nazionali è stato il comunismo. Caduto quello, sono subentrati il separatismo (Cecoslovacchia) e la guerra (Jugoslavia).
Concludiamo con l'ultima citazione.
“Gli Stati nazionali sono già disgregati per l'opera delle multinazionali, le classi politiche e
dirigenziali di ognuno sono manipolati dall'esterno. Vale la pena ripristinare l'Italietta? Non è che
può essere spazzata via dalla sera alla mattina con un po' di uranio impoverito?”
A chi parla di “italietta”, bisogna rispondere che sulla paura e sul diprezzo di sé nessuno è mai stato
in grado di costruire qualcosa. L'illusione della fine degli stati-nazione, già ampiamente smentito
dalle guerre di Bush, ha già condotto all'irrilevanza il movimento no-global. Quanto volte ancora
bisogna ripetere lo stesso errore? Il dissolvimento delle sovranità nazionali non è un innocente dato
di fatto, ma un preciso progetto politico perseguito dalle elite finanziarie ed intellettuali europee. Le
masse popolari hanno solo da perderci, in questo progetto.
L'”italietta”, in realtà un grande paese, potenzialmente ricchissimo, è l'unica trincea possibile da cui
i lavoratori italiani possono difendere se stessi e il proprio futuro. Per fare questo però devono
scrollarsi di dosso il soffocante fardello dell'euro e della UE; e prima ancora, liberarsi dell'idea che
il sistema sia riformabile dall'interno. Non è così. Chiunque conosca l'impianto giuridico
dell'Unione sa che è praticamente impossibile modificarne l'assetto istituzionale per via
democratica. Chiunque proponga una via diversa dall'uscita dal progetto europeo propone di fatto
l'immobilismo.
Se le masse italiane riuscissero a imporre il ritiro del nostro paese dall'euro, non solo ci salveremmo
dalle grinfie degli avvoltoi di Francoforte e Bruxelles, ma libereremmo L'Europa della dittatura del
capitale franco-tedesco, sancendo una disastrosa sconfitta del mostro neo-liberista sorto sulle
macerie del Muro di Berlino.
Si può dire tutto il male possibile di questa Europa e dell'euro, ma non è il caso di rimpiangere la liretta. Nei primi anni Novanta, con la lira circolante, l'Italia si trovò in una condizione di bancarotta dello Stato, tanto che Amato fu costretto a prendere un provvedimento di assoluta emergenza: il prelievo del sei per mille da tutti i depositi bancari, compresi i conti correnti, deciso in una notte con un provvedimento d'urgenza. L'ultrakeynesismo semplificato di Barnard non offre soluzioni credibili. La sua proposta in sostanza si limita allo stampare a piacimento moneta nazionale sotto controllo pubblico per alimentare i consumi. Troppo facile e, a ben guardare, molto più moderato del discorso di Salvini. Infatti Salvini vuole una moneta forte per un'Europa politicamente e militarmente autonoma, in un quadro economico diverso dall'attuale e improntato a una mentalità nuova. Barnard non fa altro che suggerire un sistema per rimettere in moto i consumi. Infine mi sembra il caso di riflettere meglio sull'eredità politica di De Gaulle. Voleva la sopravvivenza delle nazioni ma in un quadro europeista. Parlava di un'Europa che andasse dall'Atlantico agli Urali, escludendo la Gran Bretagna giustamente considerata troppo vicina agli USA. Sembrava una follia guardare all'est europeo quando ancora imperava l'URSS, ma era una visione lungimirante. Oggi sarebbe possibile costruire una UE che ruotasse attorno all'asse Parigi-Berlino-Mosca, escludendo Londra e in completa indipendenza dagli USA. Ci vorrebbero solo statisti di grande spessore e non i servitorelli che governano ovunque. Martini ha ragione quando denuncia la mancanza di spirito europeista, ma se risaliamo al Medioevo possiamo recuperare una mentalità non nazionalista, riscoprendo antiche radici culturali per le quali un'Europa con un Centro autorevole ma fatta di realtà locali largamente autonome era un ideale vivo. Era l'ideale di Dante. Perché non vedere la frammentazione nazionalista degli ultimi secoli come una fase storica superabile?
barnard non offre strumenti utilizzabili per contestare
E così, angustiati dallo spauracchio della liretta e del CAF spendaccione, spauracchio peraltro ampiamente immaginario, dovremmo rinunciare a una via di salvezza dal massacro sociale che QUI e ORA si sta compiendo? Buffo. Non si è ancora capito che la destinazione inevitabile dle nostro paese è una situazione di tipo greco? I conti in rosso non significano niente. L'inflazione è spesso un male necessario. Ma la disoccupazione, la povertà, l'alienazione del patrimonio pubblico a prezzi di saldo, queste sono PIAGHE. Come è possibile prefererire le une alle altre senza entrare in contraddizioni kafkiane?
Le idee di Barnard non sono il tema di questa discussione, ma mi vedo costretto ad argomentare in loro favore. Qui è in gioco una questione culturale, più che economica. Il punto non è se Barnard abbia ragione su questo o quella materia tecnica (secondo me esagera la mancanza di limiti di spesa dello Stato, ma ci sta), ma se è condivisibile la sua piattaforma ideale. Questa piattaforma non è keynesiana, piuttosto illuminista-hegeliana. Il punto centrale del pù grande crimine (ma davvero lo avete letto?) è infatti la descrizione del concetto che terrorizza le elite finziario-aristocratiche, e cioè quello che Barnard chiama il Tridente. Stato, popolo e leggi coordinati, non c'è limite a quel che può fare il Tridente. Persino ottenere per tutti Libertà, Uguaglianza e Fratellanza. Franco Cardini definisce la Rivoluzione francese come la lotta della Nazione contro il Trono e l'Altare. Dato che lo storico fiorentino è un reazionario di estrema destra, sono ovvie le sue simpatie per l'Ancien Regime. Ma chi, come me, è devoto a Robespierre e a Mazzini, non può che vedere nella Nazione lo strumento del riscatto dell'emancipazione dei subalterni. Per questo non è affatto moderata l'idea che la Nazione faccia ripartire i consumi (leggi: benessere per il popolo) utilizzando la sua moneta sovrana; sempre per questo è moderatissima l'immaginare, anzi il sognare, fantasmagorici super-stati europei "improntanti ad una mentalità nuova". Non nuova, vecchia. Anzi, ancien.
Lasciamo Dante alla Storia.
Consiglio questa lettura, che si discosta un po' da quanto dico io ma è molto efficace
http://sollevazione.blogspot.com/2011/07/euro-un-tumore-neoliberista.html#more
E' bello discutere con Claudio MArtini perché è informatissimo ed è un forte ragionatore. Anch'io sono talvolta tentato di rivalutare lo Stato nazionale, e perfino un governo autoritario ma popolare. Tuttavia quando Martini rifiuta la prospettiva di un'Europa con un governo centrale forte ma rispettoso di larghe autonomie di maxi regioni, bollandola come un ritorno all'ancien régime, non tiene conto del fatto che anche lo Stato-Nazione appartiene a una concezione Sette-Ottocentesca , non avvertendo la svolta storica irreversibile degli ultimi decenni, una svolta che rende anacronistici gli ideali ottocenteschi anche più di quelli medievali. Se il ritorno all'antico non viene concepito nei termini di una riproposizione di privilegi di classe, il termine reazionario perde tutto il connotato negativo che aveva. Anzi, sostengo che oggi l'unica maniera per essere autenticamente rivoluzionari è un atteggiamento antiprogressista e antisviluppista, in una parola reazionario. Vorrei essere governato da persone come Cardini, cento volte migliori dei Berlusconi, dei D'Alema e dei Vendola.
Pur costatando che i miei rilievi non scalfiscono l'idea ormai generalizzata e quasi di moda che sia meglio per tutti uscire dal sistema euro, ringrazio le persone di questo sito perché mi sembra abbiano detto cose molto interessanti ,che fanno pensare e inducono a rielaborare..
Io non disprezzo l'Italia, al contrario. Quando parlavo di Italietta, mi riferivo ad un certo atteggiamento degli operatori economici del secolo scorso, che pensavano più a mettere in atto la furbizia piuttosto che l'intelligenza. Credo comunque che non sia potenzialmente così ricca come la si vuol fare apparire qui. Sono convinta che l'impoverimento crescente non riguardi solo i beni materiali, ma comprenda le conoscenze, i saperi della nostra tradizione antica. Molti di questi se li sono accaparrati i cinesi e l'avrebbero fatto comunque, anche con una moneta più debole.
Non voglio nemmeno difendere ad oltranza il sistema euro. Credo che sia possibile un suo crollo imminente, sotto il peso di tante contraddizioni interne all'Europa stessa e per la pressione di forze esterne. Sono convinta però che non ci sia nessuna convenienza particolare del nostro paese o in generale, dell'intera area europea, ad un'uscita volontaria dall'eurozona.
Sono d'accordo sul fatto che i problemi che si addensano non sono solamente economici. Mi rendo conto che si devono fare i conti con egemonie imperialistiche basate sulla forza militare e politica, ma proprio per questo mi sembra doveroso cercare di sottrarsi, senza indebolirsi volontariamente e spontaneamente ancor di più.
Sono d'accordo sul fatto che una redistribuzione più equa della ricchezza a favore dei ceti medio-bassi andrebbe ricercata, come del resto l'aumento dell'occupazione soprattutto delle fasce più giovani della popolazione, ma non credo che questi fatti di per sé rilancerebbero la crescita, né credo più in generale che sia bene ragionare in termini di crescita del PIL, dei consumi e così via. Se si esce da un sistema monetario ma si resta nello stesso sistema economico di prima, le cose non possono cambiare. Non credo infatti che i problemi economici si possano risolvere per via finanziaria. E' poi è il meccanismo che non va, è il paradigma che deve essere cambiato.
Non rivolgo preghiere a nessuno. Penso si debba mutare il modo di ragionare e questo vale prima di tutto per me stessa.
E io vorrei essere governato da gente come Saint-Just, o, se fossi arabo, da gente come Saddam Hussein.
Sulla questione Europa tornerò con un mio articolo.
Grazie dei complimenti, comunque