I numeri della crisi economica italiana
di Augusto Illuminati
fonte globalprogect
Ma stiamo ancora a prenderli sul serio? Commercialisti saccenti e squali allevati dalla Goldman Sachs, che non hanno avvertito nemmeno alla lontana l’arrivo della crisi e oggi fingono di gestirla limitandosi a seguirne i sussulti senza nessuna idea di come andrà a finire! Bugiardo e viperino Tremonti, che pretende di filosofare, non solo con meno originalità di Mourinho, ma appunto avendo “zeru tituli” di economista e di ministro… Ineffabile Draghi, che chissà dov’era quando la finanza internazionale produceva le bolle debitorie e le banche italiane saccheggiavano i clienti e dunque oggi raccoglie i consensi inamidati di tutti i corresponsabili della crisi e naturalmente le benedizioni quirinalizie. Mentre la Borsa milanese corre al ribasso e schizzano in alto i Credit default swaps, cioè le assicurazioni contro il rischio Italia.
I dati statistici, per carità, ci stanno tutti nelle annuali Considerazioni finali di Bankitalia, tanto il giorno dopo sarebbero arrivati gli aggiornamenti Istat (che mettiamo a raffronto fra parentesi quadre). Allora: nel biennio 2008-09 il PIL è sceso in Italia di 6 punti e mezzo, metà di tutta la crescita che si era avuta nei dieci anni precedenti. Il reddito reale delle famiglie si è ridotto del 3,4% per cento, i consumi del 2,5. Le esportazioni sono cadute del 22%. Gli investimenti sono scesi del 16 per cento. L’incidenza della cassa integrazione sulle ore lavorate è salita al 12% alla fine del 2009. L’occupazione è diminuita dell’1,4%; il numero di ore lavorate del 3,7. I fallimenti di impresa, moltiplicati vertiginosamente, riguardano soprattutto le imprese più piccole, spesso dipendenti da rapporti di subfornitura (per non parlare degli appaltanti –aggiungiamo–, cerniera con il lavoro nero). Le misure a sostegno degli intermediari finanziari hanno pesato per 3,8 punti di Pil, nella media delle altre economie del G7 (dunque la banche, sottoposte a sorveglianza di Bankitalia, non erano così autosufficienti e in buona salute, come confermala caduta dei listini). Il rapporto tra debito pubblico e Pil era diminuito di 187 punti percentuali tra il 1994 e il 2007, ma nell’ultimo biennio di recessione è aumentato di 12 punti, al 115,8%. Il cuneo fiscale sul lavoro è di circa 5 punti superiore alla media degli altri paesi dell’area dell’euro, il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l’Irap, sono più elevati di 6 punti. Il valore aggiunto sommerso ammonta al 16 per cento del Pil: tra il 2005 e il 2008 il 30% della base imponibile dell’Iva è stato evaso, per un imponibile di oltre 30 miliardi l’anno, 2 punti di Pil.La crisi ha acuito il disagio dei giovani nel mercato del lavoro, infatti nella fascia di età tra 20 e 34 anni la disoccupazione ha raggiunto il 13% nel 2009. La riduzione rispetto al 2008 della quota di occupati tra i giovani è stata quasi sette volte di quella osservata fra i più anziani [per i dati Istat il tasso di disoccupazione giovanile fra 15 e 24 anni ad aprile è salito al 29,5% con un aumento dell’1,4% rispetto al mese precedente e del 4,5% rispetto ad aprile 2009]. Ciò dipende tanto dalla diffusione dei contratti di lavoro a termine sia dalla contrazione delle nuove assunzioni (20%). I salari di ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni e questo (insieme alla disoccupazione generazionale) tende a determinare retribuzioni successive permanentemente più basse. Il tasso complessivo di disoccupazione ad aprile 2010 ha raggiunto l'8,9%, dall'8,8% di marzo [dati Istat da aprile 2009 a oggi: +307.000, 1,5%] –il dato peggiore dal quarto trimestre del 2001. L’Europa sta al 10,1% ma la differenza è colmata dai nostri ammortizzatori sociali per i soli garantiti delle aziende medio-grandi –cassa integrazione ordinaria e in deroga.
Quanto emerge da siffatti dati è una situazione di sfascio e di impoverimento: perfino una parte dell’evasione fiscale presunta (e chissà quando recuperabile, seppure iscritta in Finanziaria), quella attribuibile alla manipolazione dei crediti e compensazioni Iva, equivale per il lavoro autonomo postfordista alle false invalidità per la tradizione fordista –a un surrogato di ammortizzatore sociale. Risulta comico che, fra i pochi sprazzi di luce della relazione Draghi, figurino iniziative per incrementare la produttività in base al “merito”, quali «il gruppo sperimentale di indicatori di qualità, efficienza e appropriatezza del servizio definiti a livello regionale e di singolo ospedale o azienda sanitaria» a cura del ministero della Sanità e il futuribile inserimento «nelle valutazioni degli studenti di prove standardizzate che accrescono la comparabilità degli scrutini e il loro valore per la verifica dell’efficacia dell’insegnamento». Stiamo proprio freschi!
Passiamo ai commenti, lasciando perdere il solito coro bipartisan di consensi miranti a tirare il Governatore dalla propria parte o ad arzigogolare sulle differenze con Tremonti o Berlusconi, in vista di qualche marchingegno di governo tecnico. Secondo la Marcegaglia, la contraddizione fra “ripresina” (secondo i dati confindustriali +0,8% aprile su marzo e +2,4% maggio su aprile) e crollo dell’occupazione starebbe a indicare che –tenuto conto dello sfasamento fra contrazione economica ed effetti occupazionali– abbiamo toccato il fondo del secondo fenomeno, dunque sta iniziando il rimbalzo. L’acuto ministro Sacconi osserva che il numero dei disoccupati cresce perché più gente si mette in cerca di lavoro, avvertendo la ripresa. Interpreta così la microscopica fluttuazione del tasso di inattività (femminile) che l’Istat attribuisce correttamente alla regolarizzazione 2009 delle badanti. Per l’ineffabile Brunetta l’incidenza della disoccupazione giovanile è «una malattia endemica che dipende dal cattivo funzionamento della scuola».
Torniamo allora alle riflessioni, iniziali: abbiamo a che fare con un branco di farabutti e di incapaci. E lo diciamo colorando un po’ ma conservando nella sostanza il giudizio spietato che Luciano Gallino stende sulla Repubblica del 2 giugno. Scrive giustamente il nostro bravo riformista, da lunga pezza deluso e radicalizzato, che finalità dell’economia sarebbe creare ricchezza e occupazione, benessere per i salariati, lavori decenti e fiducia nei giovani, mentre la manovra in oggetto distrugge occupazione (soprattutto femminile), disincentiva il lavoro a favore della criminalità o dell’emigrazione, abbassa sistematicamente i salari rispetto al passato e rispetto ai livelli dell’Europa a 15, deprime i consumi, produce ignoranza mediante descolarizzazione e dequalificazione professionale. Tutti quanti sostengono che l’economia va meglio, che la ripresa è in corso seppure senza occupazione (la malfamata jobless recovery) ci stanno prendendo in giro, vogliono scaricare sulle vittime la responsabilità del disastro. E Gallino conclude giustamente che la mitologia del rientro dal deficit (mitologia della Bce e Commissione europea, del commercialista di Sondrio e di Bankitalia, non certo di Obama!) sta producendo una catastrofe sociale e una recessione stabile che peggiorerà ulteriormente il deficit. Niente da aggiungere, se non che la rottura della pace sociale e del consenso politico bipartisan è l’unica via d’uscita dalla catastrofe –strada, per un certo tratto, condivisibile perfino dal capitalismo “produttivo”, come sua ultima chance. Se, in qualche modo, la finanziarizzazione globale e la geopolitica lo consentissero.
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