Discorso di Marine Le Pen del I maggio 2011
Durante la tradizionale sfilata del 1° maggio 2011, davanti ad una numerosa platea, Marine Le Pen tenne un discorso dedicato a Giovanna d’Arco ed ai lavoratori. Mi sono imbattuto per caso su facebook in questo discorso, postato in bacheca da un cittadino italiano, che di mestiere fa il cameriere e che come immagine introduttiva del “diario facebook” ha una foto che rappresenta il volto di Che Guevara. La circostanza mi ha incuriosito e ho cominciato a leggere. Confesso che ignoravo completamente i toni, lo stile, i contenuti, le posizioni di Marine Le Pen e che non mi sono minimamente interessato alle elezioni presidenziali francesi. Leggendo il discorso, ho capito – lo capirebbe anche un bambino – per quale ragione Marine Le Pen ha ricevuto tanti voti e perché il F.N. sia stato il partito più votato nel primo turno tra le fasce sociali più deboli (33%, secondo i sondaggi). Voglio chiederei ai lettori di Appello al Popolo di commentare questo articolo, secondo uno schema semplice. Lo schema è questo: “Condivido e/o apprezzo: 1)…2)…3)…”; “Non condivido e/o non apprezzo: 1)… 2)… 3)”; ovviamente è opportuno segnalare anche ciò che manca, ossia le lacune della proposta politica di Marine Le Pen. Chiederei a tutti di muovere da ciò che condividono o apprezzano. Io mi riservo di intervenire per ultimo. Mi raccomando soltanto di farvi coraggio e di essere sinceri. Anche se siete comunisti comunisti comunisti dichiarate ciò che condividete e/o apprezzate, senza tralasciare alcun profilo di vostro gradimento. Potrete sempre sostenere che Marine Le Pen certe cose le dice ma non le pensa. E’ un esperimento, utile a sondare se e in che modo regga la tradizionale distinzione sinistra/destra (SD’A).
«Signore, Signori, miei cari compatrioti,
Mi sia permesso dirvi quanto mi tocca la vostra presenza numerosa, gioiosa e fraterna. Grazie a tutti quelli che seguono questa tradizione che ci permette di ritrovarci ogni anno per la commemorazione di quella meravigliosa ed incomparabile figura della nostra storia nazionale che è Giovanna d’Arco.
Un benvenuto a tutti coloro che – e sono molto numerosi lo so – per la prima volta si uniscono a noi in questo incontro primaverile; spero abbiano colto il calore dell’amicizia che ci unisce. Un saluto amichevole a tutti i telespettatori e soprattutto ai nostri simpatizzanti che, grazie alla messa in onda di questo discorso, ci fanno l’onore di ascoltarci.
Un pensiero ai nostri compatrioti d’oltremare, in particolare a quelli della Martinica, messi alla prova da gravi inondazioni; sappiano che pur lontani dai nostri occhi sono sempre vicini ai nostri cuori. Non voglio dimenticarmi, testimoniando pubblicamente la mia gratitudine, l’impegno dei volontari e quello delle amministrazioni locali e centrali che hanno garantito lo svolgersi ed il successo di questa splendida manifestazione.
Infine, a nome di tutti gli aderenti al Fronte Nazionale, mi permetterete di rendere un omaggio particolare al nostro Presidente onorario, che come sempre ha mantenuto la parola ed è riuscito in condizioni difficilissime a portare a buon fine la vendita del nostro paquebot (la vecchia sede sociale del FN situata a Saint-Cloud venduta per 10 milioni di euro, ndr), risanando così le finanze del nostro movimento e permettendoci di guardare al futuro con fiducia.
All’inizio di questo terzo millennio, ad un anno dalla celebrazione del sesto centenario dalla sua nascita, può sembrare anacronistico il celebrare Giovanna d’Arco. Ma questa celebrazione è – ve lo ricordo – una festa nazionale repubblicana in quanto Giovanna d’Arco è sia una santa cattolica che un’eroina nazionale.
Sarebbe stato doveroso che Jean Marie Le Pen ridesse vita e vigore a questa festa nazionale.
Riteniamo infatti di essere gli anelli di una catena che ci ricollega al passato per via della nostra storia, ed al futuro per la nostra volontà di crearci il destino. Quindi, lungi dal ripudiarla, noi rivendichiamo l’eredità dei nostri eroi, eroi nei quali la gloria non ha macchie da cancellare, la cui vita è fatta di purezza di sentimenti, di vittorie e di martirio.
Questi esempi ci arricchiscono per quanto radicano il nostro coinvolgimento nella storia, ma che dico storia, con l’anima del nostro popolo. E dato che la storia qualche volta vuole farci delle strizzate d’occhio maliziose, noi terremo presente che il padre spirituale della piccola Giovanna di Domrémy – colui che si occupò di elevarne anima e spirito preparandola così al suo glorioso destino – si chiamava Guillaume Front.
Ma cosa più importante è il messaggio che ereditiamo dalla vicenda di Giovanna, vicenda di cui voglio mostrarvi la sorprendente modernità.
A parte la gloriosa parentesi dell’eroico Bertrand du Guesclin – il più francese dei Bretoni – la Francia si impantana in questa Guerra dei Cento Anni che vede il suo suolo invaso dagli inglesi ed il suo popolo, in preda alla guerra civile, dividersi in due fazioni.
I Burgundi (mi dispiace per quelli di loro che ci ascoltano), favorevoli all’annessione all’Inghilterra, volevano far diventare il re d’Inghilterra il “Re di Inghilterra e di Francia”, all’epoca erano chiamati «francesi rinnegati», e oggi li si chiamerebbe collaborazionisti. I partigiani di questa doppia corona, appoggiati a livello intellettuale dalla Sorbona, suggellarono la propria resa nel trattato di Troyes con la pseudo-buona intenzione di metter fine alla Guerra dei Cento Anni e di costruire (e non è una novità ), «l’Europa della pace».
Facciamo presente, dato che spesso la storia si ripete, che dopo la sconfitta nella Francia del 1940, è ancora il pacifismo, è ancora l’illusione di una pace al costo della servitù – in pratica una inquietante rinuncia – a condurre alcuni francesi ad un indegno collaborazionismo con gli invasori.
Comunque, in quell’anno (1429), il partito della Francia, quello degli Armagnacs, è raccolto attorno ad un povero e pallido delfino, il piccolo re di Borges. Isolato e tradito, minato dall’indecisione ed accerchiato dalla cortigianeria più vigliacca. Malgrado la resistenza dei patrioti francesi nella zona di occupazione, malgrado il sorgere di movimenti spontanei armati di ribellione contro l’occupante, per mano di partigiani fra i quali ricordiamo Mont-Saint-Michel, Reims o Tournai in Vallonia, l’esito sembrava già scritto. La Francia era destinata a scomparire, annegata nella nuova Europa dell’epoca, come la chiamavano già a gran voce le supposte elite.
Il seguito lo conosciamo. Quella giovane ragazza del popolo capace di tanto coraggio quanto di dolcezza, tanta nobiltà quanta semplicità, tanto ardore quanta modestia, tanta disinvoltura quanta pietà, riesce a dissipare con la luce della sua presenza e con l’intensità della sua fede patriottica i dubbi che tenevano imbavagliate le nostre migliori risorse. Il suo coraggio, potenziato da una santa innocenza, fa ritrovare subito, anche ai soldati più brutali, la strada della virtù ed agli alti gradi la strada del dovere e dell’onore. Ai più vili, l’onta della codardia o del tradimento.
Lei, che piange davanti al sangue che scorre, dall’alto dei suoi diciotto anni brandisce lo stendardo della riconquista, libera Orléans e restaura, con l’unzione del santo di Reims, la legittimità reale. Diremo oggi: la legittimità dello Stato.
Così, in un’atmosfera di sconfitta morale, di scoraggiamento, di rinuncia e di tradimento perpetrato da un’elite venduta all’occupante, questa piccola contadina che si definisce «francese per nascita e per affetto» impersona il soprassalto patriotico del popolo in un Paese in preda alla spartizione, impersona la lealtà verso questo Paese, lealtà che si oppone al tradimento perpetrato da parte delle autoproclamatesi autorità morali del tempo.
In lei si incarna lo spirito che si oppone alla schiavitù, all’oppressione ed alla collaborazione con i nemici della sovranità – cosa che avrà in sé un’eco terribilmente attuale – e la sua favolosa epopea porta ugualmente in sé il marchio inequivocabile dell’aspirazione del nostro popolo a questa sovranità.
Miei cari amici, che cosa è la sovranità se non la libertà dei popoli? Che cosa è la sovranità francese se non la libertà della Francia e del popolo francese? Possiamo noi rimproverarci di render gloria e di batterci per una Francia libera, per LA Francia libera? Credo di no.
Certo, i trattati di Maastricht e di Schengen, come dicono i nomi stessi, non sono stati firmati a Troyes. Ma avrebbero potuto esserlo benissimo. Del resto, come non fare oggi il paragone con l’azione antirepubblicana con la quale i nostri governanti di sinistra e di destra hanno consentito la rapina e l’abbattimento della sovranità francese ai danni del nostro popolo? La sovranità è prima di tutto la libertà di determinare le proprie leggi. La sovranità è quanto dichiarato nella Costituzione della nostra Repubblica: «Il governo del popolo, esercitato dal popolo, a favore del popolo».
È un fatto che non deteniamo più la matrice della nostra sovranità perchè tutto quello che è il lavoro legislativo consiste ormai in una servile trascrizione delle direttive europee. Il parlamento non fa che seguire pedissequamente il cammino che gli viene indicato dal suo nuovo padrone.
Dove è la democrazia quando non abbiamo più né libertà legislativa, né libertà giuridica, né libertà monetaria, né libertà di bilancio?
Oggi, milioni di francesi – operai, impiegati, disoccupati, agricoltori, artigiani, commercianti e pensionati – si rivolgono a noi per dire: «Liberateci dalla schiavitù, rompete le nostre catene, liberateci!».
Amici miei, la Francia deve liberarsi da una Unione Europea che non ha smesso di indebolirla e di ridurne le libertà. Le istituzioni sovranazionali che hanno fatto tanto male al mondo, la prima delle quali è il Fondo Monetario Internazionale, non detteranno più legge in Francia.
L’era dei tecnocrati, dei gruppi di pressione, della potenza corruttrice, dei giudici anonimi, degli esperti venduti e dei recidivi del conflitto di interesse, quell’era avrà fine.
Non c’è cessione di sovranità più pericolosa della cessione di sovranità territoriale, perchè mette il Paese alla mercè degli occupanti, delle esazioni e delle invasioni.
Oggi non abbiamo più il controllo delle nostre frontiere perchè, dopo aver soppresso le nostre frontiere nazionali, abbiamo ceduto l’integrità territoriale francese ed europea ad un organismo europeo denominato Frontex. E siccome ho appena parlato di anonimato, faccio una domanda : I francesi sanno cosa sia il ’Frontex’? No, non lo sanno di certo.
La casa è aperta e noi abbiamo dato le chiavi del giardino ad uno sconosciuto, un incapace, un assente per giunta verosimilmente desideroso di vedere altri installarsi in casa a nostra insaputa.
Come Fantomas, Frontex è invisibile. Vengono distribuiti dei permessi di soggiorno provvisori che di fatto diventeranno definitivi perchè immediatamente prevengono qualsiasi ritorno nel Paese d’origine. Chiunque può scomparire nel territorio europeo, facendo rotta per la Francia, la nazione più attraente di tutte per le sue politiche sociali.
Questa perdita di sovranità, cioè questa perdita di libertà, non è solo a livello legislativo o territoriale. Essa infesta tutti i settori dato che la nostra classe dirigente vuole avere il potere solo per gli onori e non per gli oneri né per le responsabilità legate alle loro prerogative.
Il servilismo garantisce un certo tipo di tranquillità che la libertà non permette. Il servilismo è spesso tranquillità, la libertà è sempre esigente.
Che cosa non mi sono sentita dire per aver sostenuto che bisognava anticipare, e non subire, l’uscita dall’euro, l’uscita da una moneta, scusatemi… da un dogma, che porta dentro di sé troppe contraddizioni per essere fattibile e che è fallito ormai anche agli occhi dell’intero pianeta e di economisti sempre più numerosi.
Di volta in volta, sono stata accusata dai sapientoni, dai professoroni della morale pubblica, dagli espertoni che si sono sempre sbagliati, sono stata accusata di debolezza, avventurismo, incoscienza nel scegliere la libertà, la libertà di avere una moneta nazionale.
Forse le nostre élites sono così sovvertite, subordinate od in malafede da non poter ipotizzare quella stessa sovranità monetaria che Svizzera, Inghilterra – e con loro il 95% delle nazioni del mondo – vivono con soddisfazione?
La verità è che oggi la zona euro vive completamente isolata dal mondo, discostata dalla crescita mondiale, essendosi bloccata in una politica assurda, una politica suicida. La Francia rientrerà nel novero delle nazioni grazie alla libertà monetaria!
Questi bei signori, per così dire illuminati, si sono forse dimenticati che la Francia è stata definita nella sua storia la «grande nazione» e che il genio del suo popolo l’ha fatta risplendere nel mondo intero? Bisogna forse ricordare loro che durante i secoli, il nostro Paese ha gestito l’intera emissione della propria moneta nazionale con il più grande beneficio per la sua economia e la sua prosperità? Si sono forse dimenticati che alla fine della guerra, c’è stata l’indipendente determinazione del Generale de Gaulle di rifiutare di vedersi imporre una valuta USA che i liberatori americani avevano importato insieme ai loro mezzi militari?
Scommetterei per certo che gli odierni euromaniaci avrebbero applaudito una tale paternalistica colonizzazione monetaria del nostro Paese. Come in campo militare, dove la Francia è stata dotata, per la propria indipendenza, dell’arma nucleare ed aveva preso le distanze dalla NATO, il rifondatore della Francia moderna ha così testimoniato in ogni momento la propria sana ed esigente determinazione all’indipendenza nazionale.
La tranquillità della schiavitù la si ritrova in ogni epoca ed è giunta a noi fin dai tempi di Giovanna d’Arco. Da parte mia, traggo inspirazione da quelli che hanno osato, perchè lungi dall’aver dubbi, credo nel genio francese ed ho fiducia in una Francia legittimamente fiera di se stessa ed orientata verso il proprio futuro.
Mi metto nel novero degli storici combattenti per la libertà, dei milioni di combattenti anonimi morti per essa, da Bouvines a Chemin des Dames, le battaglie del grande destino repubblicano, da Victor Schoelcher a Charles de Gaulle, le battaglie di tutti quelli che hanno difeso la libertà a dispetto delle pressioni, a dispetto degli inviti suadenti a rinunciare!
Credo nella predisposizione del nostro popolo, nella nostra capacità collettiva di farsi carico del proprio destino e, ad un livello più ampio, nella vocazione dei popoli – di tutti i popoli del mondo – di disporre di se stessi.
Miei cari amici, oggi ve lo dico con un tono grave: la libertà dei popoli non è collocata nella testata di un missile NATO!
Si trova nel genio nazionale, nell’educazione e nella diplomazia!
Inoltre, io non vedo chi meglio di noi, che siamo il popolo francese, possa sapere cosa sia buono, utile e giusto per noi stessi. Non vedo chi ami i nostri figli più di noi, chi possa trasmettere loro con maggior premura – e senza manometterlo – lo straordinario patrimonio che abbiamo ricevuto.
In una parola, non se ne abbiano a male il signor Von Rompuy od il signor Barroso, ma tocca a noi decidere di noi stessi!
Ecco perchè, con una tale perseveranza, il Fronte Nazionale difende da decenni un sistema elettorale totalmente proporzionale, un sistema che permetta a tutti i francesi e ad ognuno di voi, di essere ascoltato e rappresentato. È la ragione per la quale noi reclamiamo da sempre, con lo scopo di una democrazia ritrovata, una repubblica referendaria che si rivolga al popolo ogni volta che sono in gioco aspetti essenziali.
Perchè a differenza della sprezzante casta al potere da oltre 30 anni, io credo nell’intuizione e nell’intelligenza del popolo ed alla sua vocazione ad innalzarsi un po’ ogni giorno.
Questa intelligenza, questa intuizione, questo buon senso, io li ritengo infinitamente superiori a quelli delle élites autoproclamatesi, le quali non abitano nella stessa nazione nella quale abitiamo noi!
Ecco perchè, quando sarò eletta, io chiederò ai francesi, per via referendaria, quale impostazione vorranno dare alla nostra politica di libertà in Europa. Un tema che non permetteremo, agli altri partiti, che sia messo a tacere.
La sovranità – cioè la nostra libertà collettiva – sarà, io credo, una delle grandi scommesse delle presidenziali.
Voglio ricordarvi subito i grandi insegnamenti della vicenda militare epica di Giovanna d’Arco. Questa epopea, che ha cambiato la faccia dell’Europa, Europa che per l’epoca equivaleva al mondo, fu breve: un anno. Un anno durò anche il martirio di questa giovinetta diciannovenne venduta agli inglesi, incarcerata, controllata da dei codardi, e giudicata in un processo nel quale, sola contro una muta di bestie, impressionerà ancora di più per la sua opposizione ad ogni arbitrio.
Dunque, un periodo così breve, tumultuoso e di sofferenze, che precedette il terribile supplizio del rogo, è un’ode magnifica e terribile alla libertà: la libertà di un popolo in lotta per la propria sovranità, per la libertà dell’uomo contro ogni oppressione.
Noi soli possiamo restituire al popolo francese la sua sovranità e quindi la sua dignità e fierezza. Noi siamo anche i difensori delle libertà pubbliche ed individuali meno visibili! Perchè le nostre libertà non sono un’acquisizione certa, non basta inorgoglirsi per l’essere la patria della libertà perchè ciò resti vero per l’eternità.
La realtà è che la difesa della libertà è un combattimento impegnativo e quotidiano! Infatti è nel vissuto quotidiano dei francesi che le nostre libertà si sono spente, affievolite e sono state barattate dalle élites autoproclamatesi con lo scopo di consolidare il proprio potere e di difendere gli interessi personali e le proprie prebende».
Marine Le Pen
…«Ed è dunque per questo che la libertà di discussione è stata totalmente annichilita. Il dibattito è ridotto, condizionato o addirittura palesemente proibito.
– L’affondamento annunciato dell’euro? Proibito parlarne…
– Il fallimento dell’Europa?… proibito
– L’immigrazione… proibito…
– L’arretramento dei nostri valori sociali… proibito…
– Il dramma del libero scambio… proibito…
Noi, difensori della libertà di pensiero e di opinione senza le quali democrazia non è che una parola morta, noi obblighiamo al dibattito… e la cosa da fastidio.
Un grande rivoluzionario l’aveva già previsto: «L’uomo geniale che rivela delle grandi verità ai propri simili è quello che ha superato il modo di pensare del proprio secolo. L’ardita novità delle sue idee spaventa sempre le altrui debolezze e l’altrui ignoranza. I pregiudizi si legheranno sempre con l’invidia e lo dipingeranno od in modo odioso o ridicolo».
Jean-Marie Le Pen, che ha subìto tutto ciò per oltre 40 anni senza mai arrendersi e che per questo ha meritato la nostra immensa ammirazione e la nostra eterna riconoscenza, ci ha mostrato il cammino. Ed il cammino è quello della verità e della libertà. Certo, la libertà di discussione fa loro paura perchè da tale libertà escono una verità ed una speranza per il popolo francese. All’opposto, devono camuffare la verità e soprattutto le loro responsabilità nella terribile crisi che sta vivendo il nostro Paese.
Somma del fallimento della destra e della sinistra confuse fra di loro da oltre 40 anni: non si discute, non si discute oppure parlano gli esperti, nel qual caso questi ultimi saltano in prima linea ed infestano tribune e platee. Esperti.
Ma, Esperti di che? Esperti di cosa?
Perchè se c’è una crisi è quella dovuta alla pseudo-esperienza ed alla pseudo-competenza!
Esperti in disoccupazione, questo è sicuro, perchè ne hanno prodotti quasi 5 milioni.
Esperti in diminuzione del potere d’acquisto, certo, perchè una categoria sociale dopo l’altra – agricoltori, pescatori, operai, piccoli funzionari – sono state colpite tutte.
Esperti in debito pubblico, non c’è dubbio: ne hanno prodotto uno da 1.700 miliardi di euro.
Esperti in deficit, altrochè.
Ed Esperti in delinquentocrazia che prospera.
Esperti nella proletarizzazione della classe media.
Esperti nell’incultura avanzante.
Esperti nell’indebolimento dello Stato.
In una parola: Esperti sì, ma Esperti del caos!
Quotidiani dopo quotidiani, programmi televisivi dopo programmi televisivi, finti dibattiti dopo finti dibattiti, una volta certi di aver soffocato la discussione, gli Esperti possono allora prendersi il lusso di cantarci l’inno della libertà… ma non è né Verdi né il Nabucco!
Il loro inno è un de profundis cantato nei cimiteri: i cimiteri delle loro promesse non mantenute, i cimiteri delle loro menzogne, delle nostre speranze ammazzate, del nostro avvenire fatto a pezzi. E moltiplicano il loro starnazzare come galli spiumati che raspando nel concime pensano di esser loro a far uscire il sole!
Avete votato ieri per l’UMP (Unione per un Movimento Popolare), o per il PS (Partito Socialista), avete accettato senza brontolare la vostra diminuzione del potere d’acquisto, la vostra disoccupazione, una crescente insicurezza, un triste futuro personale che immaginate ancora più difficile per i vostri figli? Allora siete dei bravi elettori: molto educati, per nulla imbarazzanti, intenti a cercare di sopravvivere, impegnati ad aggiungere altri lavoretti per compensare la riduzione del potere d’acquisto, con il massimo di aiuto e solidarietà famigliare.
Ma ecco che la crisi colpisce più forte, la vostra sofferenza diventa insopportabile e malgrado le preghiere e le omelie di tutti questi nuovi sacerdoti della mondializzazione, voi vi rendete conto di come stiano veramente le cose, perchè vi rendete conto che vi hanno mentito, vi hanno mentito ancora una volta, vi hanno mentito sempre, ed allora comprendete il nostro progetto di speranza, iniziate a rivolgervi verso una speranza nuova, quella che gira le spalle alla mondializzazione, quella che vi protegge da essa; perchè la mondializzazione è l’appiattimento del mondo.
È Coca-cola e Nike per tutti, in un universo che diventa un’unica periferia disseminata di ipermercati intasati da prodotti provenienti dal mondo intero e frutto dello sfruttamento – condotto senza il minimo imbarazzo – di produttori che si trovano qui, od in qualunque altra parte del mondo.
Questa è la distruzione voluta e programmata delle nazioni, dei popoli, delle identità culturali e la mercificazione di tutto e di tutti.
È la schiavitù dei tempi moderni: popolazioni che si spostano da un continente all’altro a formare l’armata di riserva del capitalismo, armata che permette ai grandi proprietari di sfruttare i lavoratori francesi; che permette di abbassare i salari grazie a questa delocalizzazione interna e che frantuma il potere d’acquisto, ma che è così vantaggiosa per i super profitti degli azionisti.
E questa presa di coscienza vi spinge a votare per il Fronte Nazionale e per i suoi candidati, rendendovi conto che non vi hanno mai mentito, che siamo stati sempre fedeli alle nostre convinzioni e che le nostre analisi vengono confermate ogni giorno, basta osservare la terribile realtà quotidiana.Ogni giorno sempre più numerosi, vi accorgete che il Fronte Nazionale propone delle soluzioni e delle risposte concrete ai problemi che vi assillano.
Ogni giorno sempre più numerosi, comprendete che le vostre libertà dipendono dalla salita al potere dell’unico movimento capace di difenderle.
Perchè noi siamo i soli ad osare dire la verità. Gridiamola!
Dove è la libertà sindacale se gli operai sindacalizzati sono inseguiti ed esclusi se la pensano in modo diverso, semplicemente perchè pensano?
E quando dei dirigenti sindacali tradiscono i lavoratori conducendo col potere politico od economico dei negoziati alle loro spalle?
Quando la corruzione impera e l’UIMM [Union des Industries et Métiers de La Métallurgie, Sindacato dei metalmeccanici, ndt], tacita le rivendicazioni con valigiate di soldi?
Quando i grandi sindacati non devono nemmeno rendere conto dei propri bilanci e non esiste alcun controllo sulle loro finanze che derivano dai soldi usciti dalle tasche dei contribuenti?
Allora sì, noi ristabiliremo la libertà sindacale, quella vera! Esigeremo che i finanziamenti ai sindacati siano oggetto di controlli come i finanziamenti ai partiti politici. Esigeremo che si metta fine alla totale opacità in materia.
Noi contribuiremo a far emergere un sindacalismo finalmente rappresentativo, permetteremo ovunque la creazione di sindacati realmente liberi che raccoglieranno quei dipendenti, funzionari, impiegati, operai ed agricoltori che, a milioni, si rivolgono a noi.
Dovrà analogamente essere ristabilita la libertà di stampa. Possiamo ancora parlare di vera libertà di stampa – sia scritta che radiofonica od audiovisiva – quando questa è finita nelle mani di grandi gruppi industriali o finanziari?
La vera domanda che si pone è: la stampa può essere davvero libera senza essere indipendente? Può agire liberamente quando gli stessi gruppi che la possiedono dipendono essi stessi dagli enormi contratti concessi dai poteri pubblici? La libertà, è compatibile con i monopoli?
E voi, giornalisti, dov’è la vostra libertà quando è la paura a guidarvi? Quando la tirannia del pensiero unico fa sì che voi stravolgiate la lingua nella vostra bocca o la penna con la quale scrivete, per la paura di essere accusati di «dire come Marine Le Pen» [e cioè] che quando siamo in agosto siamo in estate o che Parigi è la capitale della Francia, due palesi mostruosità!
Dove è la vostra libertà d’informazione quando il totalitarismo del pensiero vi porta a denunciarvi l’un l’altro, a compilare delle liste di devianti come ancora di recente ha fatto il Nouvel Observateur, accusando di eresia questo o quello la cui analisi o giornale è tacciato di compiacenza quando spesso altro non è che descrittivo od oggettivo?
Qual è la vostra libertà, voi che non osate alzarvi contro questo nuovo maccartismo temendo di fare la fine di Elisabeth Lévy, Robert Ménard, Eric Zemmour, Philippe Cohen, Natacha Polony, Luc Ferry o di Ivan Rioufol, temendo di essere il prossimo sulla lista delle vittime di queste piccole Torquemada dei tempi moderni che sono però [fatte] di vostri confratelli!
Ah, la libertà di stampa è fondamentale perchè fa parte della democrazia. Avere la libertà di infilare una scheda nell’urna va bene, ma dobbiamo ancora sapere perchè ed a vantaggio di chi, ed essere informati nella maniera più obbiettiva possibile.
Ed affermo anche questo: anche la stampa dovrà essere liberata dalla dittatura dei benpensanti e dalle pressioni degli interessi politici e finanziari.
Parallelamente, e per le stesse ragioni, veglieremo gelosamente per la libertà su internet lottando in modo risoluto contro la scandalosa legge Hadopi; un tentativo totalitario di sorveglianza e di tracciamento degli internauti che nemmeno il Grande Fratello di Orwell si sarebbe mai sognato ed il cui scopo evidente è quello di tentare di fare tacere questa dissidenza, questo ribollire d’intelligenza che ha trovato rifugio nella rete.
Ristabiliremo la vera libertà economica, perchè la libertà è tutto tranne che l’ultraliberismo. Gli europeisti si vantano di difendere la libertà accampando che l’Europa è ultraliberista. Ma questa è una manipolazione perchè in realtà non difende che la libertà di quelli che hanno già tutto ed opprimono gli altri, quelli che non hanno niente.
Questa cosiddetta libertà è quella della volpe nel pollaio, è la legge della giungla, la legge del forte contro il debole. Perchè, alla fine, qual è la libertà di un piccolo commerciante schiacciato dalla forza della grande distribuzione che gli ha imposto una concorrenza insostenibile e mortale?
Qual è la libertà del piccolo produttore, dell’industriale, dell’agricoltore? Davide contro Golia, schiacciati da ogni parte, col ricatto delle garanzie da dare e l’obbligo a ridurre sempre più i propri margini di guadagno, fino alla miseria e talvolta il fallimento?
Qual è la libertà dei piccoli e medi imprenditori, dei commercianti, dell’artigiano, schiacciati da una burocrazia sempre più insopportabile, da tasse sempre più pesanti, di fronte alle multinazionali del CAC 40 [indice di Borsa che raggruppa le 40 aziende francesi più capitalizzate, ndt], che sfuggono alle tasse a colpi di vantaggi fiscali ottenuti grazie ai propri eserciti di avvocati e consiglieri fiscali?
Quale è la libertà per il contribuente se non quella di pagare le perdite dei banchieri – unica vera doppia pena – perchè hanno giocato con la nostre economie e se le sono perse, ed hanno dedotto le perdite d’imposta che non hanno versato allo Stato e si sono intascati le sovvenzioni ed oggi realizzano dei guadagni esorbitanti senza precedenti?
Non c’è nessuna libertà in questo liberismo che impedisce allo Stato programmatore, di intervenire, di regolamentare, di proteggere il debole contro il forte, di fermare la speculazione, di lottare contro gli intrallazzi, di sopprimere i paradisi fiscali, di garantire la giustizia fiscale e di limitare i bonus indecenti.
Non c’è nessuna libertà in questo ultraliberismo che soffoca i talenti, scoraggia l’iniziativa, rovina la buona volontà ed uccide gli indipendenti. Non c’è nessuna libertà in questo sistema iniquo di disoccupazione di massa e di costante spinta verso il basso dei salari.
Dov’è la libertà quando non ci si può più guadagnare onestamente di che vivere grazie ai frutti di un lavoro giustamente retribuito?
Dov’è la libertà quando non ci si può più creare un patrimonio frutto del proprio risparmio, al riparo dall’avidità delle banche?
Dov’è la libertà quando non ci si può più garantire un avvenire per i propri figli né ricevere una pensione decente?
Dunque, l’imperativo per restituire ai francesi la libertà di costruirsi il proprio futuro passa attraverso un progetto economico ambizioso che ritrovi la strada per creare dei posti di lavoro a tempo indeterminato. Noi libereremo i nostri imprenditori della piccola e media industria [PME, ndt], i nostri artigiani, ed i nostri commercianti. Li libereremo dai pesi amministrativi e fiscali che legano la loro creatività e soffocano la vita economica.
Affinchè non siate abbindolati, miei cari compatrioti, [sappiate che] il vostro essere impoveriti è un mezzo per asservirvi. Infatti, il tempo che dovete usare per sopravvivere, non lo potete passare a combattere, nè a pensare, né a costruire. Allo stesso modo bisogna rendersi conto della distruzione della nostra libertà individuale quando delinquenza e barbarie esplodono nelle nostre campagne e città.
In questa battaglia per la sicurezza – la prima delle libertà – i poteri che si sono succeduti si sono gravemente incagliati, incastrati fra lassismo e cultura delle giustificazioni, hanno permesso che si moltiplicassero le aree prive di leggi, lasciando interi quartieri alla legge della mafia ed i francesi che vi vivono in balìa dell’oppressione del disordine.
Dunque, aveva ragione Charles Péguy quando sosteneva che «è l’ordine e solo l’ordine che in definitiva determina la libertà, il disordine crea la schiavitù».
È questa esigenza di libertà che oggi, come sempre, ci spinge a combattere il comunitarismo che è la negazione della laicità, della repubblica, dell’individuo libero e la negazione del cittadino quale membro di una nazione politica e fisica.
La nostra visione dell’uomo è quella di un individuo saggio, libero nelle sue scelte, affrancatosi dalle pesantezze di una comunità che spesso non ha scelto e che troppo spesso lo limita. Ne deriva che l’unica comunità che valga è quella nazionale, in quanto è l’unica che permetta la crescita e la libertà.
Gli integralisti isolazionisti, che finora sono entrati nella repubblica come si entra nel burro, devono sapere che con noi questo principio fondamentale sarà ribadito alto e forte e ristabilito ovunque: non c’è uno Stato dentro ad uno Stato e non c’è un metro quadrato di territorio nazionale nel quale noi accetteremo che le leggi di una comunità si sostituiscano alla legge francese.
Da ultimo, miei cari amici, l’apprendimento della libertà si fa – e lo sapete bene – a partire dalla scuola.
Ci diceva Condorcet: «Non c’è libertà per l’ignorante», ed aveva ragione. L’appiattimento del livello e delle esigenze della scuola non poteva infliggere danno peggiore al nostro Paese ed alla gioventù della Francia. Il re bambino e tutte quelle teorie drammatiche smerciate dai pedagogisti stile '68 hanno rovinato la scuola che non ha più trasmesso il sapere, cosa che è il suo ruolo primario.
Ma nulla è perduto.
Rimettere a posto la scuola richiederà il rilevarne le esigenze, sia per la formazione dei professori che sui banchi della classe: esigenze di preparazione, esigenze di disciplina, esigenze nella trasmissione dei valori. Imparare non è un gioco, è difficile, impegnativo, talvolta fin doloroso. Ma apprendere è bello, miei cari amici, è bello!
È bello uscire dalla caverna, uscire dall’illusione e capire com’è veramente il mondo! Il libero arbitrio è un felice dono per l’uomo e la scuola deve dotarsi dei mezzi per svilupparlo nei nostri figli. Il gusto dell’impegno, il merito repubblicano ed il lavoro, saranno ricompensati.
Quanto al lavoro manuale, sarà liberato dal disprezzo dei saputelli e ritroverà la dignità che aveva ingiustamente perduto. Eviteremo anche di pensare che in quel quartiere o quell’altro non ci sia nulla da fare e che alcuni giovani non abbiano altro destino che giocare a football, il rap, la droga od un lavoro precario in nero.
No, dobbiamo essere esigenti con tutti e credere nelle capacità di ognuno e non cedere mai alla demagogia: il prestigio dell’autorità è il miglior servigio che si possa rendere ad uno scolaro che si è perso.
Una simile scuola esigente sarà la sola e vera scuola della libertà!
Francesi, rendetevi conto che il Fronte Nazionale è l’unico partito che rispetti, e che farà rispettare, tutte le vostre libertà individuali!
Fra un anno noi ci ritroveremo qui, nel mezzo dei due turni delle presidenziali. Il popolo di Francia avrà iniziato a disfarsi delle catene che lo imbrigliano. Ma il meglio dovrà ancora venire. Io ve lo dico, miei cari amici, fra un anno ci ritroveremo a pochi giorni dalla primavera francese! Il nostro magnifico Paese, ricco di così tanti talenti, ha immense riserve di coraggio e di patriottismo. E questo coraggio è essenziale, come ha già detto così giustamente Pericle: «Non c’è felicità senza libertà, nè libertà senza coraggio!».
Vi chiedo di aiutarmi e di aiutare il popolo francese a scegliersi un nuovo destino. Un vero destino, a respingere i sentimenti tristi ed a costruire insieme un avvenire per i francesi!
Miei cari compatrioti, usciremo presto dalle tenebre! Il popolo sta facendo ritorno! La Francia sta facendo ritorno!
Viva il Fronte Nazionale, viva la repubblica, viva la Francia!»
Marine Le Pen
Ti avevo detto caro Stefano che ci saresti arrivato… :o)
Condivido ed apprezzo.
Penso che Marine farà molta strada.
Fossi francese non avrei dubbi, qui in Italia però non ci sono i presupposti per tanto orgoglio nazionale. Non a caso spuntano come funghi movimenti regionalisti, nostalgici di locali e mitici periodi aurei. Non certo movimenti patriottici.
Rispetto alla Francia, poi, siamo in una fase troppo avanzata della crisi per riprenderci. Il Caos ci attende, con tutto quello che ne consegue.
Condivido e aprezzo al massimo grado. Il FN ha da tempo perso, fortunatamente, le iniziali caratteristiche xenofobe, e si è inoltrato verso la giusta via e cioè la lotta per la riconquista delle sovranità, la lotta al liberismo e la lotta alla tecnocrazia dei mercati.
Ci vorrebbe, in Italia, un Fronte Nazionale, ma forse manchiamo di una Marine Le Pen. Chiediamo a Marine di formare una "sezione italiana" del Front.
How long will it take for a radical left in Europe? European Capital shares a language: €, we share the gap: hundreds of parties with the same problems but without a common language.
Non ci sarà una Marine Le Pen ed un fronte nazionale. Ma mi sembra che tutto ciò si legge e si commenta su "Appelloalpopolo" dove nel giugno 2009 venne pubblicato " il manifesto del Fronte popolare".
Saluti
C’è molto della Nouvelle Droite – per verificare è sufficiente leggere l’ultimo saggio di de Benoist “ sull’orlo del baratro” – con in più molto nazionalismo e la grandeur francese.
Sostanzialmente condivido ma, a mio avviso, mancano richiami ai valori etici e si dà troppa enfasi al nazionalismo – che da solo è sempre pericoloso – senza, per es., proporre un’Europa diversa e migliore di quella fondata su (dis)valori esclusivamente materiali.
Infine non concordo col passaggio che sostiene che l’unica comunità che conta è quella nazionale, la quale è essa stessa costituita da altre comunità che vanno a costituirne l’identità finale. In modo dinamico, come precisa sempre de Benoist, e non una volta per sempre anche se quella prima volta si chiama Giovanna d’Arco o Napoleone.
Che dire , da 1 a 10 quanto sono d'accordo ? 11?
Sono d'accordo con quasi tutto , e' un discorso a una popolazione , quindi e' molto generico non ci sono programmi precisi.
Gli unici appunti , magari alla solita politica xenofoba? Bah , basterebbe che si facesse 2 pesi 2 misure , sei immigrato da 1 anno , non hai tutti i diritti degli italiani sbagli e paghi di più degli altri , lo sei da 10 e lavori regolarmente , sei come il resto della popolazione, senza fare distinzioni.(so che e' un punto controverso ma secondo me bloccherebbe un “certo” tipo di immigrazione) Il problema e' che dal punto di vista legale l'Italia e' a favore dei farabutti. Correggimi se sbaglio , ma la truffa non e' un reato penale a meno che tu non ti faccia passare per un funzionario pubblico, per me e' assurdo….. questo pero e' divagare.
Le critiche/mancanze di cui non parla e' dopo l'uscita dall Europa come si rimedia, tipo: “Nazionalizziamo i monopoli naturali” oppure cominciamo a fare “abbandoniamo un sistema consumistico , e cerchiamo di utilizzare meglio o riutilizzare” oppure “rimettiamo su le fabbriche di canapa che andrà in gran parte a sostituire la plastica, quindi il petrolio”(questo e' un esempio che va bene più all Italia che alla Francia).
Si vuole portare l'attenzione sull uscita dell euro? daccordissimo!
Si vuole uscire dal trattato di Schengen? Daccordissimo!
Come si fa a non essere d'accordo col discorso di fondo che fa?
Che dire , c'è' da fare una precisazione fondamentale , in Francia la destra non e' come la nostra destra nostalgica di un passato quindi non si può certo mettere a confronto tra Marine Le Pen con Storace o chicchessia.
Forse quello che dice e' demagogia, o vuole cavalcare lo scontento popolare un po come sta facendo Grillo che prima approva la “sobrietà” del fiscal compact poi dice di voler uscire dall Europa senza denunciare la vendita al privato dell acqua o dell elettricità.
In una società italiana in cui si dice che la colpa e' delle banche ma nessuno dice blocchiamo la possibilità delle banche popolari di comprare titoli tossici come i derivati o di avere la possibilità di operazioni come il tax exchange o comunque di eseguire facilmente capital flight , la Marine Le Pen e' l'unica in un mondo in cui la politica non dice nulla a prendere una posizione ferma e precisa.
La rivoluzione francese e' partita dalle massaie francesi , adesso la rivoluzione parte da una donna francese , penso che mi faro un altarino in casa con a destra Nigel Farage e dall altra Marine Le Pen.
Mi scuso per questo papiro.
Mi piace: l'appello a radicarsi in una storia; la rivalutazione di De Gaulle; il riconoscimento del diritto di ogni popolo del mondo a disporre di se stesso; la definizione di "repubblica referendaria"; la polemica verso gli "esperti"; "la mondializzazione è l'appiattimento del mondo"; la denuncia della mercificazione; l'immigrazione vista come voluta dal capitale per creare un esercito di manodopera di riserva; la stampa che per essere libera deve essere indipendente; l'esclusione di controlli su internet; l'attacco al liberismo; il richiamo a Péguy [da noi misconosciuto perché considerato reazionario, mentre Gramsci lo apprezzava]; la denuncia dei guasti del '68 nella scuola; l'assenza di accenti islamofobici. Non mi piace: l'anacronismo di definire i borgognoni del tempo di Giovanna D'Arco "collaborazionisti" [il sentimento nazionale e lo Stato-Nazione sono acquisizioni storiche, relativamente recenti. Tutti gli Stati nazionali sono il frutto di conquiste armate, compresa la Francia. Borgognoni, provenzali e còrsi ne sanno qualcosa]; il rifiuto di qualunque istituzione sovrannazionale (la sovranità nazionale serve per abbattere questa UE, ma escludere la possibilità di una diversa comunità europea è a mio avviso un errore); l'ottica rivolta soprattutto ad artigiani e piccoli imprenditori, poco ai salariati; l'attacco al comunitarismo in nome di una libertà anarcoide.
La mia posizione neo confronti del Fronte Nazionale della Le Pen è molto critica. Per dimostrare l’estraneità della Le Pen a qualsiasi critica radicale del capitalismo (e l’unico capitalismo reale è quello imperialistico) dirò qualcosa sul sovranismo di destra.
Madame Le Pen dice:
‘’ Oggi non abbiamo più il controllo delle nostre frontiere perchè, dopo aver soppresso le nostre frontiere nazionali, abbiamo ceduto l’integrità territoriale francese ed europea ad un organismo europeo denominato Frontex. E siccome ho appena parlato di anonimato, faccio una domanda : I francesi sanno cosa sia il ’Frontex’? No, non lo sanno di certo’’
Il nazionalismo quando si è spostato a destra (perché il nazionalismo nasce a sinistra con la Rivoluzione Francese) ha riguardato questioni di confini (Istria, Dalmazia, Trieste, ecc…) ma non di sovranità.
Ora Marine Le Pen parla di sovranità ponendo il problema del controllo delle frontiere. Cosa molto curiosa.
Le destre europee non pongono questioni di sovranità, intesa come controllo delle risorse (naturali ed umane), perché in seconda istanza (subito dopo agli Stati Uniti) hanno partecipato a privare i Paesi del Terzo Mondo della loro sovranità.
Non è un caso che la Le Pen esalta De Gaulle, il più lucido esponente dell’imperialismo francese, in questo modo:
‘’ Questi bei signori, per così dire illuminati, si sono forse dimenticati che la Francia è stata definita nella sua storia la «grande nazione» e che il genio del suo popolo l’ha fatta risplendere nel mondo intero? Bisogna forse ricordare loro che durante i secoli, il nostro Paese ha gestito l’intera emissione della propria moneta nazionale con il più grande beneficio per la sua economia e la sua prosperità? Si sono forse dimenticati che alla fine della guerra, c’è stata l’indipendente determinazione del Generale de Gaulle di rifiutare di vedersi imporre una valuta USA che i liberatori americani avevano importato insieme ai loro mezzi militari?’’
Certo ! Se si difende l’imperialismo francese (e quello di De Gaulle fu il più coerente tentativo di creare un polo imperialistico europeo) bisogna per forza scontrarsi con l’imperialismo americano. Non dobbiamo dimenticarci che esistono più poli imperialistici e che non si può ridurre il socialismo ad anti-americanismo (ed io sono, oltre che politicamente, anche culturalmente anti-occidentale).
Ricordo anche che De Gaulle per difendersi dagli anglo-americani si è messo in mano alla famiglia Rothschild, scegliendo come Primo ministro il procuratore della Banca George Pompidou, accusato poi dai gaullisti di sinistra di essere un anglofilo. Frequentazioni poco socialiste, soprattutto per uno (De Gaulle) che in Algeria ed Indocina si è sporcato le mani di molto sangue.
Non è difficile inchiodare il Fronte Nazionale e i movimenti di destra simili su questi pochi punti:
(1) Battono sulla sovranità senza criticare l’imperialismo, infatti hanno consensi quando dicono ‘’via i romeni’’ e non quando dicono ‘’via la NATO’’.
(2) Si è configurato (il Fronte Nazionale) come l’ultima spiaggia delle rachitiche borghesie nazionali francesi. Oggi i bianchi colonizzano i bianchi e l’imperialismo Usa si è potuto appoggiare anche in Europa a borghesie compradore simili, per molti aspetti, ai commissari dei Paesi Coloniali di metà ‘900.
Che dire? In questo Napolitano, Monti e Sarcozy, sono molto simili a Pinochet, Mobutu e Suharto. Non ci sarà una repressione spietata dei dissidenti politici ma la funzione socio-economica è identica.
Altri brevi rilievi: 1) l’islamofobia; 2) il passato glorioso della Francia a cui alluce la nostra signora.
(1) Con l’islamofobia la Le Pen scimmiotta l’ideologia dei neo-conservatori Usa. Porrei una duplice questione di carattere teorico: (1) l’ideologica neo-conservatrice nasce in Europa (Spengler, Schmitt, Evola, ecc…) e poi viene portata negli Usa (Leo Strauss, Novak, Pipes, ecc…) quindi per comprendere la sottomissione dei dominanti europei a quelli atlantici bisogna inquadrare il riciclaggio delle vecchie destre, da pan-europeiste a pan-atlantiste; (2) una guerra imperialistica combattuta con bombardamenti al fosforo (come fanno gli Usa in modo criminale da diversi decenni) ha bisogno di una guerra ideologica preventiva. ‘’Scontro di civilta’’, ‘’supremazia del mondo occidentale’’, ‘’assolutizzazione del concetto di democrazia’’ si adattano benissimo non solo agli interessi dell’imperialismo yankee ma anche dell’imperialismo francese. Le vie dell’imperialismo sono infinite e l’odio verso l’Islam di Madame Le Pen ha delle ragioni socio-economiche, oltre alla mediocrità culturale del soggetto in questione.
(2) La grande Francia, dice la Le Pen ? Si tratta di una ideologia social-sciovinistica tipica della piccola borghesia inglese che poi ha avuto risvolti comici negli Stati Uniti (si pensi al gingoismo). La difesa dei particolarismi (cosa ben diversa dalla difesa della sovranità nazionale) si rovescia sempre nel suprematismo etnico (di carattere ‘’razziale’’ e nazionale), ed ecco pronta la matrice ideologica dell’imperialismo (processo analizzato benissimo da Gyorgy Lukàcs).
Sono queste le ragioni di base che mi spingono a considerare il Fronte Nazionale un’arma dei dominanti da distruggere senza pietà.
Stefano Zecchinelli
Apprezzo molto questa possibilità di fare chiarezza. Spesso si parla di superamento di destra e sinistra e, a partire dalla considerazione che di fatto la destra e la sinistra parlamentari appoggiano ormai da due decenni le identiche posizioni neoliberiste, globaliste e imperialiste, si arriva a supporre che ormai sia impossibile distinguere tra una proposta politica di destra o di sinistra. Io credo ci siano ancora delle grosse differenze e il fenomeno Le Pen è un’occasione perfetta per delimitare confini e tracciare punti condivisibili.
Quello che è evidente da questo discorso della Le Pen è la chiarezza con cui viene affrontata la questione dell’Unione Europea, e anche più in generale della globalizzazione (viene tirato in ballo anche il Fmi). La Le Pen si scaglia senza fronzoli contro la dittatura finanziaria dell’Ue, contro l’euro, capisce perfettamente la corruzione degli organi di stampa, in mano agli stessi agenti che sono al potere, comprende perfettamente il meccanismo delle delocalizzazioni e dell’esercito industriale di riserva (non disdegna neanche di usare quest’espressione marxista), e inoltre sottolinea che la concorrenza, se fatta tra piccoli imprenditori (o artigiani o agricoltori) e grandi complessi industriali e finanziari, non è altro che un monopolio.
Marine Le Pen ha capito che l’unico modo per opporsi al modo in cui i grandi poteri vogliono risolvere la crisi è ripristinare le frontiere nazionali (sulle frontiere avrò qualcosa da dire in seguito), è ridare potere allo stato di decidere per se stesso, in una parola sovranità. Da notare come non faccia sconti nemmeno alla Nato.
Fin qui i punti positivi, che nessuna forza di sinistra in Europa purtroppo è in grado di sostenere così apertamente. Vengo ai punti dolenti, e lo faccio prendendo proprio alcuni riferimenti dal testo.
1) “La verità è che oggi la zona euro vive completamente isolata dal mondo, discostata dalla crescita mondiale, essendosi bloccata in una politica assurda, una politica suicida. La Francia rientrerà nel novero delle nazioni grazie alla libertà monetaria!”
Sembra che guardando solo ai paesi emergenti in crescita la Le Pen non si accorga che la crisi è di tutto il capitalismo occidentale, in primis dei nostri amici d’oltreoceano. Negli Stati Uniti c’è una disoccupazione galoppante, sono stati utilizzati quantità enormi di capitali per salvare le banche, alcuni stati federati hanno addirittura dichiarato default e licenziato in massa dipendenti pubblici. Eppure gli Stati Uniti non hanno l’euro, eppure gli Stati Uniti sono sovrani (il paese più sovrano che c’è). Quello che la Le Pen non capisce è che la crisi non è dovuta all’euro, né alla globalizzazione, ma questi sono solo degli effetti, o meglio dei percorsi politici con cui i grandi poteri (multinazionali e complessi finanziari), tramite i loro intermediari nei governi (più o meno consci, più o meno corrotti, non importa – la sinistra italiana forse era anche convinta che l’Europa fosse questo grande sogno, ma il punto è a favore di chi hanno, di fatto, agito) hanno gestito la crisi capitalistica. Da noi la strada dell’Unione Europea è servita a scardinare le ultime difese che il controllo democratico degli stati opponeva alla mercificazione di tutta la società, dalla scuola ad acqua energia e trasporti; in particolare in Italia è stato il grimaldello per permettere le privatizzazioni e le svendite di tutto il tessuto industriale italiano e la precarizzazione sempre più radicale dei diritti dei lavoratori, e per distruggere la piccola e media impresa (agricola o artigianale) tramite la concorrenza sfrenata. Ma avvero crede la Le Pen che la crisi nel suo complesso sia causata dalla mancanza di libertà monetaria?
Comunque, resta il fatto che potrebbe trattarsi solo di una divergenza teorica, con riscontri pratici non immediati, perché alla fine i provvedimenti essenziali per opporsi a questa situazione sarebbero gli stessi, sia che si veda sia che non si veda la portata non solo europea (anzi principalmente americana) della crisi. Forse sul lungo periodo un simile difetto di analisi potrebbe risultare rilevante. Quelle che discuterò qui sotto sono invece divergenze con un immediato risvolto pratico.
2) Il discorso delle frontiere. Quello che mi lascia perplesso è che nel riferirsi al controllo delle frontiere, più e più volte citato come punto principale, la Le Pen non fa distinzione tra limitazione della circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. E’ vero, sono tutti effetti generati da questo sistema di produzione, ma mentre la soluzione nei primi due casi può essere bloccare i flussi (impedendo di investire all’estero il capitale fruttato all’interno del territorio nazionale, imponendo dazi sull’importazione di prodotti primari, etc.), nel terzo caso, non si può perseguire nessuna politica umanamente corretta per impedire agli uomini di spostarsi da un paese all’altro. Si tratta di vite umane, che non hanno nessuna colpa nel migrare alla ricerca di una condizione migliore, e che quindi non meritano assolutamente respingimenti in mare o deportazioni nei C.I.E.. Quello dell’immigrazione è un problema essenziale del nostro tempo (a mio modo di vedere irrisolvibile con la politica di un singolo stato), perché è vero che gli immigrati con il loro lavoro a poco prezzo, “tolgono lavoro agli italiani” (come dice la Lega), ma questa interpretazione superficiale è il solito modo del potere di mettere contro le varie categorie sofferenti. Gli immigrati devono godere degli stessi diritti e doveri di chi è nato sul posto. Per me non c’è discussione.
La signora Le Pen in questo discorso lascia la questione in sospeso, non parla del problema immigrazione, ma se cercate sul web trovate che nel programma del Front National ci sono espliciti provvedimenti contro l’immigrazione (http://www.atuttadestra.net/index.php/archives/136617): gli accordi di Schengen devono essere sospesi per ristabilire i controlli alle frontiere; a parità di curriculum, i datori di lavoro sono obbligati a assumere francesi; i sussidi statali, per la famiglia e la sanità, devono essere riservati alle famiglie di cui almeno un genitore e francese o europeo; va tagliato drasticamente anche il numero dei richiedenti asilo e portata a 3 anni la durata legale del permesso di soggiorno; vanno resi più stretti i criteri per chiedere la nazionalità francese.
Questi provvedimenti per quanto mi riguarda sono inaccettabili, e di “destra”.
Aggiungo che l’errore concettuale sta forse nel sottolineare la necessità di controllo dello stato sulle frontiere. Forse quest’espressione andrebbe sostituita con controllo dello stato sull’economia, il che è un modo sia di opporsi alle privatizzazioni e alle svendite delle aziende pubbliche (in realtà in Francia non hanno questo problema, visto che anzi loro stessi stanno comprando molte aziende italiane – vedi l’esplosione della Carrefour, l’acquisto della Parmalat, etc.), che alla libera circolazione dei capitali e delle merci, favorendo lo sviluppo dell’economia locale. Ed evitando il respingimento di persone alle dogane.
3) L’ultimo punto riguarda alcune frasi che mi hanno fatto un po’ ridere.
“Miei cari amici, che cosa è la sovranità se non la libertà dei popoli? Che cosa è la sovranità francese se non la libertà della Francia e del popolo francese? Possiamo noi rimproverarci di render gloria e di batterci per una Francia libera, per LA Francia libera?”
“Bisogna forse ricordare loro che durante i secoli, il nostro Paese ha gestito l’intera emissione della propria moneta nazionale con il più grande beneficio per la sua economia e la sua prosperità?”
Mi viene da ridere perché non si può parlare così ingenuamente di libertà della Francia, e non si può sostenere che la ricchezza della Francia nella sua storia è stata dovuta al fatto di usare la moneta nazionale. La Francia è stata un paese tremendamente colonialista, per cui dovrebbe rendere conto dei suoi crimini, sui quali si è retta la sua ricchezza, prima di esaltare la sua storia. La Francia E’ tuttora un paese colonialista, la Francia solo qualche mese fa ha invaso barbaramente la Libia, con una decisione puramente sovrana (sì c’è la spinta della Nato, ma la Francia l’ha fatto per i suoi interessi petroliferi, e non l’ha imposto certamente l’UE); la Francia è intervenuta militarmente anche in Costa d’Avorio, interferendo scandalosamente nella disputa tra Gbagbo e Ouattara, venendo meno proprio ai principi di non ingerenza all’interno di uno stato sovrano. Che dice la signora Le Pen su questo? Non si può parlare di riconquista della sovranità non denunciando parallelamente i casi in cui la sovranità l’abbiamo violata noi stessi.
Questo dobbiamo ricordarcelo anche in Italia, dove l’atteggiamento colonialista è stato, ed è, molto meno rilevante, soprattutto perché spesso realmente dettato da servilismo verso il dominio atlantico (la guerra in Libia l’abbiamo condotta contro i nostri interessi, e probabilmente la sottomissione al patto atlantico ha fatto più danni che altro alla nostra economia – vedi caso Mattei; ci ); allo stesso modo devono ricordarselo anche in Spagna, che da una parte è soggetta ai diktat della Germania, dall’altra saccheggia le risorse di altri popoli, ad esempio le sue multinazionali in Sud America. Insomma le idee sovraniste sono “di sinistra” solo se supportate da una seria teoria antimperialista e anticolonialista, altrimenti diventano revanchismo e nazionalismo puro. I sovranisti spagnoli (se ce ne sono, o se ce ne saranno) devono stare con la Kirchner che manda a casa la filiale della Repsol dall’Argentina, altrimenti sono solo dei semplici nazionalisti. La Le Pen apprezzerebbe la cacciata di una multinazionale francese dalla Costa d’Avorio? Non credo proprio. O comunque non ne parla.
Riassumendo, sono in definitiva tre i punti di divergenza di una proposta sovranista di destra rispetto ad una di sinistra (tenendo conto che non esiste ancora nessuna proposta di questo tipo di sinistra, ed è questo il principale motivo per cui dobbiamo sbrigarci): il primo è il difetto di analisi scientifica e coerente del capitalismo, che fa gridare contro l’unione europea senza accorgersi che la crisi viene dall’America; il secondo, ben più importante, la scarsa attenzione per i popoli che stanno peggio di noi, il lamentarsi delle violazioni della propria sovranità (la pagliuzza) senza rendersi conto dei propri crimini (la trave), errori che si manifestano palesemente sia nell’approccio alla questione immigrati che nel rapporto con i paesi ex-coloniali o neo-coloniali.
A parte la retorica, credo propria dei Francesi, quanto ha affermato Marianne Le Pen, è enconiabile sotto tutti i punti di vista.
Si potrebbe chiedere che di facciano una copia di Le Pen da importare in Italia, in quanto la destra nel bel paese è completamente assente.
Questo articolo si presta a numerose diatribe. Tralascio quelle filosofiche ( «è l’ordine e solo l’ordine che in definitiva determina la libertà, il disordine crea la schiavitù», quando proprio il filosofo francese H. Bergson mise ben in chiaro che l'ordine è la foto sul lato destro del comò- ogni altra soluzione è "disordine quindi schiavitù" secondo la Le Pen) per arrivare alla questione storica.
Quanto afferma la Le Pen è chiaramente condivisibile per chiunque non abbia ben presente l'insegnamento della Storia moderna. Quindi occorre affidarsi alla Storia per avere un'interpretazione corretta di tali altisonanti proclami.
Nelle parole dello storico A. Roveri (Le cause del fascismo, pg 164): "per diventare partito di massa la NSDAP (partito nazional socialista tedesco ndr) doveva fare sistematicamente uso di molta demagogia. Ciò che il fascismo…aveva avuto in sè fin
dall'inizio (si pensi a tanti quadri provenienti dal sindacalismo rivoluzionario o dal socialismo) il nazionalsocialismo doveva acquisirlo dopo la crisi del 1923, se voleva combinare insieme il consenso della piccola borghesia e quello del proletariato, attirabile soltanto mercè l'impiego di appariscenti stendardi anticapitalistici…Cominciavano a crearsi le condizioni perchè Hitler tentasse di spingere verso posizioni nazionalrivoluzionarie i ceti medi e, con essi, la parte politicamente più ingenua della classe operaia tedesca. Si trattava di…nazionalbolscevismo i cui capisaldi erano "l'anticapitalismo integrale; l'utilizzazione della rivoluzione sociale per la rivoluzione nazionale; l'alleanza del proletariato industriale e delle classi medie…infine lo studio dei metodi bolscevichi per trarne 'lezioni' e trasportarli in Germania in un'ottica di destra."
Sugli slogan non ci sono molti dubbi. Il POPOLO dev'essere al centro dei discorsi populisti. Il Popolo di Hitler vuole, il Popolo mi ama, il Popolo desidera, il Popolo è pronto, il Popolo lotterà fino alla morte e così via. Volk, sempre e comunque, proprio come Volkswagen doveva essere l'Auto del Popolo ed invece diventò l'auto delle elites militari naziste. Non va diversamente con la Le Pen quando nell'articolo, parlando di Giovanna D'arco, descrive la "ragazza del popolo capace di tanto coraggio quanto di dolcezza" oppure quando si chiede: "che cosa è la sovranità se non la libertà dei popoli?"
Occorre sfogliare Mein Kampf per scoprire il metodo comunemente adottato (e che la Le Pen mostra di conoscere molto bene):
"la propaganda efficace deve limitarsi a poche parole d'ordine martellate ininterrottamente finchè entrino in quelle teste e vi si fissano saldamente. Si è parlato bene quando anche il meno recettivo ha capito e ha imparato".
"Certo, i trattati di Maastricht e di Schengen, come dicono i nomi stessi, non sono stati firmati a Troyes. Ma avrebbero potuto esserlo benissimo. Del resto, come non fare oggi il paragone con l’azione antirepubblicana con la quale i nostri governanti di sinistra e di destra hanno consentito la rapina e l’abbattimento della sovranità francese ai danni del nostro popolo?"
"La firma su quel Trattato ci è stata estorta puntandoci una pistola alla testa. E ora questo documento con la nostra firma estorta con la forza, viene solennemente proclamato legge!"
La prima frase è della Le Pen, la seconda è tratta dal discorso di Hitler al Reichstag il 1 Settembre 1939.
La Le Pen enfatizzando gli "eroi nei quali la gloria non ha macchie da cancellare, la cui vita è fatta di purezza di sentimenti, di vittorie e di martirio" si chiede: "Miei cari amici, che cosa è la sovranità se non la libertà dei popoli? Che cosa è la sovranità francese se non la libertà della Francia e del popolo francese? Possiamo noi rimproverarci di render gloria e di batterci per una Francia libera, per LA Francia libera? Credo di no.
Oggi, milioni di francesi – operai, impiegati, disoccupati, agricoltori, artigiani, commercianti e pensionati – si rivolgono a noi per dire: «Liberateci dalla schiavitù, rompete le nostre catene, liberateci!»".
Ma non è un discorso nuovo. Sempre Hitler al Reichstag:
"La mia vita non è stata altro che una continua lotta per il mio popolo e per la Germania. C’è una sola parola d’ordine per questa lotta: "fede in questo popolo" e una sola parola non ho mai voluto imparare: "la resa"!
Non è importante che noi viviamo, ma è essenziale che il nostro popolo viva, che la Germania viva!"
Nè andava molto diversamente la dialettica mussoliniana:
« I lavoratori devono amare la Patria. Come amate vostra madre, dovete, con la stessa purezza di sentimento, amare la madre comune: la Patria nostra. »
(Dalle parole rivolte ai portuali di Bari a Palazzo Chigi, il 10 Aprile 1923).
Ora è sufficientemente chiaro che amare la patria, difendere i diritti dei lavoratori e dei cittadini, battersi per il popolo è cosa nobile. Risulta difficile accoppiare tali nobili intenti con quanto la Storia ci ha consegnato. Il fascismo ed il nazismo hanno dimostrato ben presto di avere usato quegli slogan per puri scopi elettorali prima e imperialisti dopo.
Quindi la mia conclusione: MAI avverrà che io dia per buone le idee che vengono da quella parte politica che ha già abbondantemente dimostrato di non avere NESSUNA pietà per i popoli, ma di sapere usare in modo ineccepibile la retorica e la propaganda per scopi imperialistici, così come ho scritto nella serie "Cartello petrolchimico". Come scrive correttamente Roveri, bisogna appartenere alla "parte politicamente più ingenua della classe operaia" per cascarci. Io non appartengo a quella classe.
«Se potessimo dimostrare il passato avremmo ancora dei diritti sul futuro».
Jean Baudrillard
Il discorso di Marine Le Pen ha catturato anche la mia attenzione. Però sono d'accordo anch'io sul fatto che non ci possiamo permettere di eccedere troppo in complimenti ad una destra, rappresentata peraltro da un simile personaggio. Credo che questa crisi del liberismo, che ha perso la guerra contro se stesso, in totale assenza di una sinistra critica ed efficiente, debba essere uno sprone per una rivincita del socialcomunismo radicale. Non possiamo permettere che le destre cavalchino l'onda del malcontento e ci scippino il nostro ruolo di difensore dei popoli. Sono contro l'europa iperliberista e delle banche, ma visto che il mio cuore batte a sinistra, diffido dalle false imitazioni..
Del discorso di Le Pen apprezzo il NO alla Nato, il Sì al sistema elettorale proporzionale e all'estensione del mezzo referendario, il NO alla mondializzazione, al sindacato venduto, il Sì all'idea che la stampa per essere libera debba essere indipendente, alla necessità della libertà su internet, il NO al liberismo economico.
Sono convinta che la scuola vada rifondata, sono anch'io dell'idea che il lavoro debba essere regolato in modo principale da contratti a tempo indeterminato.
Sono contenta che nel discorso non ci siano riferimenti xenofobi (se ci sono in altri documenti di Le Pen penso che li si debba rigettare in toto), ma sono dell'idea che il problema dell'immigrazione debba essere affrontato, anche con severità.
Per avere più capacità decisionale abbiamo bisogno di rivendicare sovranità, quella che l'Europa tecnocratica si è presa. Sono d'accordo con Gian Marco quando dice però che la crisi riguarda tutti i paesi occidentali, Stati Uniti in primis. Aggiungo che la Gran Bretagna e l'Ungheria, pur facendo parte dell'Ue e pur avendo una valuta nazionale propria, diversa dall'euro, sono in recessione. Sono d'accordo con chi dice che il recupero della sovranità serva strumentalmente e non sia un fine in sé. In ogni caso non è per me così certo l'ambito territoriale al quale dobbiamo fare riferimento. Perché non può esserci un patriottismo, nel lungo periodo, che prescinda dagli attuali confini?
Lo dice bene Cardini in un suo articolo recente: “Avremmo avuto bisogno di edificare giorno per giorno una coscienza civica europea, diciamo pure un “patriottismo europeo”, cominciando con il conferire uno spirito nuovo a tutte le scuole. Si sarebbe dovuto studiare una storia comune europea in grado di accompagnare le nostre storie nazionali e di conferir a ciascuno di esse il senso di una convergenza e di una complementarità nuova. Oggi la bandiera azzurro-stellata sventola su tutti gli edifici scolastici, ma non si riflette in nessun programma concreto d’apprendimento. Tornano le piccole patrie e i micronazionalismi isterici, da stadio; oppure trionfa l’individualismo sterile ed egoistico, incapace di creare valori civili.
E allora? Abbandonare tutto e dire che ci siamo sbagliati, rinunziare per tornar a un pulviscolo di stati senza forza e senza autorevolezza, vasi di coccio minacciati dai colossi internazionali e dalla potenza occulta ma formidabile delle lobbies? Adattarci a far parte di un generico “Occidente” atlantico nel quale doversi rassegnare a una funzione definitivamente subalterna? O ricominciare da capo, da ora, da subito, reinsegnando ai ragazzi del secondo decennio del XXI secolo quel che avremmo dovuto insegnar a quelli di mezzo secolo fa e imponendo nuove forme di rappresentanza politica diretta scelte dagli europei nel loro complesso, che non proiettino più sull’Unione i condizionamenti delle singole politiche nazionali? Quanto tempo perduto, quante occasioni sprecate, quante speranze gettate al vento…Eppure, non è mai troppo tardi.”
Dal punto di vista economico mi sembra sbagliato puntare alle svalutazioni competitive per accentuare le esportazioni, mentre invece punterei all'antiglobalismo per rifondare il nostro modello economico, perché si occupi di rendere maggiormente autosufficienti ed autonome le popolazioni locali, nazionali, europee, centrando sui bisogni essenziali, in un'economia in cui la moneta sia principalmente mezzo di scambio.
Per far questo occorre contrastare la finanza internazionale, l'imperialismo e il neocolonialismo e mettere al centro i bisogni essenziali delle comunità locali, nazionali ed europee.
De Benoist afferma che oggi non possiamo imitare, tout court, l'Argentina perché ora i problemi che abbiamo noi sono planetari.
L'Europa si è omologata e appiattita sull'americanismo, non si può pensare che oggi un francese o uno spagnolo, un greco, siano così tanto diversi da noi italiani. Se un francese o uno spagnolo, di destra o di sinistra, combattono per le stesse mie stesse finalità, perché non combattere insieme a loro?
Mi associo a quanto dice Tonguessy.
http://menici60d15.wordpress.com/2011/04/19/questa-volta-li-facciamo-fessi/
L'articolo del buon Menici mi ha fatto tornare in mente il video di Borghezio che instruisce i lepenisti a dissimulare le loro vere intenzioni dietro ad un muro di condivisibili retoriche.
Questo discorso per quanto condivisibile (almeno per me) in diversi punti mi lascia con una strana sensazione di "sbagliato". Come altri hanno notato, con una profondità di analisi storica decisamente superiore alla mia, non vi è una condanna esplicita dell'imperialismo forse proprio perchè storicamente la Francia è stata imperialista (e lo è tutt'ora). Solo recentemente ho scoperto che in Africa esistono un gruppo di paesi che hanno la loro moneta legata con un cambio fisso all'euro…perchè in passato erano legati con un cambio fisso al franco francese, inutile dire quali siano i paesi africani che crescono meno, qui i dettagli: http://goofynomics.blogspot.it/2012/04/moneta-e-guerra-notizie-dalleurozona.html
Quell'accenno all'atomica mi ha messo i brividi… la richiesta legittima di sovranità passa attraverso la costruzione di queste armi? passa attraverso i 147 esperimenti nucleari effettuati nella Polinesia Francese? Tra l'altro esperimenti inutili in quanto oggi con i super calcolatori si possono fare simulazioni adeguate di esplosioni nucleari… quell'accenno della Le Pen mi lascia molte perplessità.
I discorsi "generici" che puntano molto alla pancia delle persone spesso sono condivisibili, ma bisogna poi vedere come si declinano. Insomma io ci vedo luci e ombre, anche inquietanti.
Forse le categorie di destra e sinistra sono superate (o meglio ciò che oggi chiamiamo destra e sinistra sono in realtà diventate solo due diverse correnti di uno stesso unico partito), ma come hanno detto altri ritengo che la proposta sovranista di Le Pen non sia condivisibile appieno.
"la libertà è tutto tranne che l’ultraliberismo. Gli europeisti si vantano di difendere la libertà accampando che l’Europa è ultraliberista. Ma questa è una manipolazione perchè in realtà non difende che la libertà di quelli che hanno già tutto ed opprimono gli altri, quelli che non hanno niente.
Questa cosiddetta libertà è quella della volpe nel pollaio, è la legge della giungla, la legge del forte contro il debole. Perchè, alla fine, qual è la libertà di un piccolo commerciante schiacciato dalla forza della grande distribuzione che gli ha imposto una concorrenza insostenibile e mortale?
Qual è la libertà del piccolo produttore, dell’industriale, dell’agricoltore? Davide contro Golia, schiacciati da ogni parte, col ricatto delle garanzie da dare e l’obbligo a ridurre sempre più i propri margini di guadagno, fino alla miseria e talvolta il fallimento?
Qual è la libertà dei piccoli e medi imprenditori, dei commercianti, dell’artigiano, schiacciati da una burocrazia sempre più insopportabile, da tasse sempre più pesanti, di fronte alle multinazionali del CAC 40 [indice di Borsa che raggruppa le 40 aziende francesi più capitalizzate, ndt], che sfuggono alle tasse a colpi di vantaggi fiscali ottenuti grazie ai propri eserciti di avvocati e consiglieri fiscali?
Quale è la libertà per il contribuente se non quella di pagare le perdite dei banchieri – unica vera doppia pena – perchè hanno giocato con la nostre economie e se le sono perse, ed hanno dedotto le perdite d’imposta che non hanno versato allo Stato e si sono intascati le sovvenzioni ed oggi realizzano dei guadagni esorbitanti senza precedenti?
Non c’è nessuna libertà in questo liberismo che impedisce allo Stato programmatore, di intervenire, di regolamentare, di proteggere il debole contro il forte, di fermare la speculazione, di lottare contro gli intrallazzi, di sopprimere i paradisi fiscali, di garantire la giustizia fiscale e di limitare i bonus indecenti.
Non c’è nessuna libertà in questo ultraliberismo che soffoca i talenti, scoraggia l’iniziativa, rovina la buona volontà ed uccide gli indipendenti. Non c’è nessuna libertà in questo sistema iniquo di disoccupazione di massa e di costante spinta verso il basso dei salari.
Dov’è la libertà quando non ci si può più guadagnare onestamente di che vivere grazie ai frutti di un lavoro giustamente retribuito?
Dov’è la libertà quando non ci si può più creare un patrimonio frutto del proprio risparmio, al riparo dall’avidità delle banche?
Dov’è la libertà quando non ci si può più garantire un avvenire per i propri figli né ricevere una pensione decente? " Questo passaggio per me dice tutto è questa la linea da seguire nell'orizzonte della riappropriazione della sovranità monetaria e nazionale …. la demagogia c'è ma io credo che in questo momento di smarrimento politico e culturale è quasi impossibile non farne, ci si inciampa proprio perchè è questo che va fatto, è la gente, i popoli, che vanno rialzati e riportati al centro della dialettica politica è un fatto secondo me inevitabile, perchè è questa la lotta che va fatta la riappropriazione di diritti e di status da parte del popolo che deve tornare veramente sovrano e per far questo sono assolutamente validi tutti i propositi della Le Pen poi è chiaro tutto questo va letto e contestualizzato nella politica e nella storia della Francia che come sappiamo e come ci rammenta Stefano Zecchinelli nel suo intervento sono un paese imperialista che ha dimostrato di cosa sia capace, per questo tutto ciò andrebbe si riproposto in Italia ma in chiave più democratica. Sicuramente va condivisa la radicalità delle posizioni perchè sono giuste e vanno portate avanti senza compromessi. Se si vuole essere un alternativa concreta alla casta bisogna essere concreti, coerenti e non contrattare nulla con nessuno altrimenti si fa quello che ha fatto la sinistra negli ultimi 30 anni ossia un bel nulla se non addirittura il gioco delle elitè ultraliberiste europeiste.
Il discorso di Marine le Pen costituisce un esempio perfetto di come temi condivisibilissimi quali la sovranità possano essere distorti e rovesciati se lasciati in mano alla destra neo-fascista. Sottoscrivo infatti quanto dice Gian Marco: occorre sbrigarsi al fine di dar vita a una posizione sovranista di sinistra, e -aggiungo io- per farlo è fondamentale mettere dei paletti ben chiari nei confronti di chi da destra si appresta a cavalcare certe battaglie e a utilizzare certe parole d’ordine. Paletti che a mio parere devono caratterizzare anche e soprattutto l’ARS.
Venendo ai punti salienti del discorso, da dove cominciare? Cercherò di essere il più possibile sintetico, dato che molto è stato già detto da Stefano Zecchinelli, Gian Marco e Tonguessy.
– L’antimperialismo di destra non esiste. Esiste al massimo uno sciovinismo imperialista che può in maniera del tutto contingente e provvisoria condividere lo stesso nemico con chi invece si pone in una prospettiva autenticamente patriottica, socialista, anticapitalista, antimperialista e inter-nazionalista (il vero internazionalismo non c’entra nulla col cosmopolitismo). Nel discorso di Le Pen solo revanchismo e grandeur, non una parola sul passato colonialista francese. Un passato che viene anzi esaltato, come dimostra il riferimento a De Gaulle, campione dell’imperialismo francese.
– L’anticapitalismo di destra è fuffa: l’assenza di solidi riferimenti teorici fa sì che ci si concentri solo sugli effetti e mai sulle cause, prestando così il fianco alla solita distinzione (tipica delle varie destre neo-fasciste) tra capitalismo produttivo (“buono”) e capitalismo finanziario (“cattivo”).
– Sull’immigrazione non si può sentire. Il fenomeno dell’immigrazione è certamente un problema per le sue attuali dimensioni numeriche, ma lo è in primo luogo per coloro che sono costretti a lasciare il proprio paese e ad affrontare viaggi in condizioni inumane. Lo è per i paesi che producono emigrazione. Occorrerebbe quindi concentrarsi sulle cause, ovvero sui rapporti storicamente di natura imperialista e colonialista tra i paesi dell’area euro-atlantica e il resto del mondo. Ovviamente su questo punto silenzio assoluto da parte dei sovranisti di destra.
– «non c’è un metro quadrato di territorio nazionale nel quale noi accetteremo che le leggi di una comunità si sostituiscano alla legge francese». Riferimento nemmeno troppo velato all’esistenza all’interno dello stato francese di questioni nazionali (e sottolineo nazionali, non regionali) come quella basca e quella corsa. Chi le metta sullo stesso piano dei regionalismi di tipo leghista lo può fare solo o per ignoranza o per volontà mistificatoria.
– Tutto quanto opportunamente evidenziato da Tonguessy in merito al linguaggio e al modo in cui sono utilizzati determinati slogans e parole d’ordine.
Da ultimo una riflessione. L’analisi delle posizioni politiche del FN dimostrano una volta di più quanto sia profondamente sbagliata la tesi sull’esaurimento/superamento delle categorie di destra e sinistra. Storicamente, a seconda dei contesti storici e culturali, sono esisite diverse destre e diverse sinistre, spesso incompatibili tra loro (spesso hanno coesistito nello stesso paese nello stesso frangente storico). Ora, nella fase attuale si registra, limitatamente all’area euro-atlantica (e sottolineo il limitatamente), il monopolio di una destra e di una sinistra accomunate dai medesimi contenuti (liberali, liberiste, capitaliste, imperialiste, atlantiste, ecc.) Una destra e una sinistra non nuove, di nuovo semmai c’è solo il monopolio che esercitano nell’agone politico. Un monopolio peraltro destinato a venire meno in tempi di crisi, come dimostrano le elezioni greche. A tale proposito, nessuno nel paese ellenico nutre dei dubbi sull’incompatibilità tra Syriza (sinistra radicale) e KKE (comunisti)da un lato e Alba d’Oro (destra fascista) dall’altro. Superfluo ricordare poi che in altri contesti (vedi America Latina) destra e sinistra conservano in maniera indubbia la loro diversa valenza sul piano dei contenuti. Alla luce di queste considerazioni, si rende certamente necessario mettere in discussione la logica del bipolarismo (ovvero l’attrazione gravitazionale che la sinistra sistemica esercita sulle sinistre antisistemiche), e capire che la sinistra liberal è “il nemico” esattamente quanto la destra. Capire quindi che dirsi “di sinistra” non ha un valore intrinseco, bisogna capire quali sono i contenuti, bisogna capire di che sinistra stiamo parlando. Tutto questo però non ha nulla a che vedere col teorizzare in termini assoluti l’esaurimento di tali categorie. Di fatto ciò schiuderebbe infatti le porte a connubi e alleanze con le destre neo-fasciste, e non è un caso che proprio uno dei più illustri sostenitori del superamento delle categorie di destra e sinistra (Costanzo Preve) si sia espresso in certi termini nei confronti di Marine Le Pen. Tutto si può dire di Preve, meno che non sia un pensatore lucido: la sua presa di posizione è perfettamente coerente con le premesse teoriche su cui poggia.
Nella fase storica attuale il fascismo non è più il nemico principale, ma sempre un nemico rimane.
Mi permetto infine di riportare una considerazione di Indipendenza, in merito alle elezioni francesi e greche, apparsa già su fb, e che ben focalizza a mio parere i termini della questione.
– Dalle urne di Francia e Grecia emerge un forte "no". Un "no" alla filiera di dominio UE-BCE-FMI, un "no" a questo sistema euroatlantico, a regìa USA, che sta ricacciando a livelli ottocenteschi, se non medievali, le condizioni delle classi subalterne, che sta annichilendo le pur limitate conquiste sociali ottenute, che cancella le sovranità per incatenare i destini delle collettività al ricatto permanente della flessibilità globale e della speculazione affaristica, imponendo politiche da lacrimogeni e sangue.
E' un "no" in parte anche confuso, quando trova sponde impresentabili in riformismi sistemici, compatibili, e in forze di estrema destra. Come se la Storia non avesse insegnato niente. Ma tant'è. Lo smarrimento a sinistra, in questa parte di mondo, sulla questione nazionale e sul nodo dell'indipendenza e della sovranità, produce pure queste mostruosità.
Il "no" all'euro e all'Unione Europea, al modello politico/economico capitalistico, fondomonetaristico, anglosassone dominante, sarà effettivo solo con la costruzione, pure in Italia, di un polo sovranista di sinistra, anticapitalistico ed antimperialista. Altrimenti il campo sociale sarà occupato e sostanzialmente gestito da differenti destre in conflitto tra loro. Non c'è tempo da perdere.–
Tesi frai cattivi Burgundi e l'eroica Giovanna d'Arco, che dire?
Una cosa, che non muove da presupposti ideologici (io disprezzo da sempre la sinistra, sempre revisionista e lustrascarpe, che truffa le classi subalterne, se è per questo, pur non stimando di certo il FN francese): Marine Le Pen è un politico di sistema, che si presenta alle elezioni, guida un partito edulcorato, e perciò ammesso nel sistema, è figlia di un politico interno al sistema che si presentava alle elezioni e se perdeva abbassava la testa (senza tentare guerriglie o incendi di piazza), eccetera, eccetera.
Ancor peggio di lei sarà, probabilmente, il timido socialistoide revisionista Hollande, che guiderà la Francia con la pistola dei Mercati & Investitori puntata alla tempia, costretto ad accordarsi con la crucca Merkel, la quale, potendo, ci farebbe morire tutti di fame, sulle coste europee del mediterraneo (e forse anche i francesi).
Non ci si deve aspettare nulla dai sub-dominanti politici nati, cresciuti e allevati all'interno del sistema liberldemocratico, anche se scrivono libri apparentemente (ma sempre moderatamente) "antagonisti" rispetto all'ultraliberismo.
Non è da queste piccole tacche che ci si deve aspettare la liberazione dei popoli dal lager globalista-unionista europeo … semplicemente perchè loro, tutti loro che beneficiano della posizione di sub-dominanza politica, ne sono i kapò.
Saluti
Eugenio Orso
Sono pienamente d’accordo con l’analisi che ne fa Gian Marco: quella di Marine Le Pen non può considerarsi una proposta sovranista di sinistra, sostanzialmente per gli stessi motivi che ha ben espresso e che replico:
1) al di là dell’accusa condivisibile alla dittatura finanziaria europea, al liberismo e alla globalizzazione, l’analisi manca totalmente di una lettura della crisi come crisi del sistema capitalistico occidentale;
2) a proposito del controllo delle frontiere, la Le Pen non fa distinzione tra limitazione della circolazione delle merci, dei capitali e delle persone e anzi, citando il Frontex testualmente afferma “La casa è aperta e noi abbiamo dato le chiavi del giardino ad uno sconosciuto, un incapace, un assente per giunta verosimilmente desideroso di vedere altri installarsi in casa a nostra insaputa”: pericoloso questo discorso, nasconde (e neanche troppo) nell’intolleranza generalizzata verso lo straniero e nel frettoloso liquidare il fenomeno dell’immigrazione come un limite all’esercizio della libertà e della sovranità nazionale, una posizione nazionalista di destra, che non tenta nemmeno di individuare una traccia per una politica economica tesa a sviluppare l’economia locale, limitando le privatizzazioni.
Dirò cosa mi ha favorevolmente colpito (anche se ho dubbi sulla sincerità del pensiero):
1)Il discorso sul recupero della cultura attraverso una riforma della scuola (ma la responsabilità della devastazione della scuola non è solo dei “pedagogisti stile '68”) , anzi sarei stata più radicale, nel proporre una “riscrittura” dei testi di storia, di diritto e di economia, per il recupero della verità così abilmente mistificata dalle accademie;
2)la polemica verso gli "esperti" che si sono rivelati “esperti del caos”, svelando una manovra voluta dall’elite per l’appiattimento e l’obnubilamento del mondo;
3) il recupero della libertà di stampa e l'esclusione di controlli su internet.
In generale, penso che la LePen abbia utilizzato argomenti condivisibili dai più, mischiando tra loro slogan confezionati per tracciare un orizzonte che, diciamolo, nessuna sinistra è stata in grado anche solo di abbozzare a matita
Avendolo pubblicato su Facebook,ovviamente lo condivido nell'essenziale,e quindi non in un senso solo provocatorio,pur ritenedomi un anticapitalista radicale.Ma cosa significa oggi essere anticapitalista?In primo luogo significa per me rifiutare i tre "fascismi" dell' Europa,dell'euro e della NATO imposte ai popoli europei dalle elites "mondialiste".Ora chiaramente il FN non e' un partito anticapitalista ma si proclama contro l'Europa contro l'euro ed fortemente critico con la NATO.Tra i candidati all'Eliseo,Marine Le Pen e' stata l'unica ad opporsi chiaramente ai bombardamenti sulla Libia,a differenza dei leaders di sinistra francesi ed italiani che,di fatto li hanno avallati se non chiaramente appoggiati. Sono tali questioni da considerare "cose" di poco conto? Io non credo.Inoltre Marine Le Pen ha nel programma il ripristino delle frontiere nazionali e la riduzione dell'immigrazione (legale o illegale che sia) dagli attuali 200 000 ad un massimo di 10 000 l'anno per questo è stata attaccata duramente .dalla LICRA (Lega contro razzismo e antisemitismo) dominata proprio dai sionisti, ma anche dalla sinistra che scambia la regolazione dei flussi degli immigrati per xenofobia.Resto convinto che quella di Marine Le Pen sia stata l'unica proposta politica da parte di un leader europeo potenzialmente capace di rompere la spirale di decadenza e miseria che sta trasformando questo continente nel nuovo Terzo Mondo,questo almeno sulla carta.In un epoca di capitalismo assoluto e speculativo,la dicotomia destra-sinistra,(contrapposizione ideologica voluta dai borghesi massoni nell'800 per dividere il popolo e dominarlo) appare sempre piu' inadeguata soprattutto considerando che il vero Potere – che rigenera se stesso cambiando le categorie a cui da l'illusione di consegnarsi – ha una conoscenza profondissima di questi aspetti, tramandata ed affinata da millenni di dominio.Tornando alla frase di Pericle: «Non c’è felicità senza libertà, nè libertà senza coraggio!» citata nel discorso, la fase di liberazione dell'uomo sembra una continua operazione di individuazione ed eliminazione di elementi disturbanti esterni ed interni (come l'io e il non io di Fichte). Una per impedire l'ingresso, tutelando così la seconda. L'altra per eliminare gli ostacoli verso una piena consapevolezza della propria essenza e quindi modificando quella proiezione che chiamiamo mondo sensibile…su cui agisce illusoriamente la prima.
Fino a quando sarà così semplice operare in questo modo sul subconscio della popolazione(Plagi emozionali, ingegneria psico-sociale, condizionamenti profondi – oggi oggetto anche di pubblicazioni scientifiche – non son altro che l'ulteriore modernizzazione di "affascini ed incanti", antiche tecniche ereditate e funzionali al tentativo del dominio dei pochi sui molti) mai nulla potrà essere organizzato per cambiare le cose. Perchè si andrebbe a caccia dell'avversario all'esterno quando in realtà è già comodamente addivanato dentro di noi.
L'avversione fa crescere l'avversario. Persino riesce a crearlo, basta reagire ad una piccola idea ancora in nuce buttata lì da chi conosce queste cose.
Il vero problema è la riappropriazione, da parte del singolo individuo, del controllo dell'unità interna preposta all'analisi della percezione.
E' solo questo ciò su cui si vuole continuare a tenere le mani. Il santo graal del controllo su cui ha le mani il Potere. Ovvero continuare ad esistere nella mente della gente.
Spread, Pil etc. sappiamo tutti che non esistono, sono una astrazione. Ma anche molto altro lo è.Comunque i compagni "scandalizzati" dalla Le Pen possono tirare un sospiro di sollievo:ha vinto il massone,amico del FMI,europeista pseudo-socialista Hollande.Spero non si aspettino da lui alcunche' in favore dell'anticapitalismo che essi difendono da nemici "virtuali" invece di apprezzare e condividere alcune sacrosante battaglie per il popolo abbandonato a se stesso coi suicidi,la disoccupazione,la precarieta' a vita,la distruzione dello stato sociale.Scrive Blondet sul suo sito,sui commentatori italiani di sinistra (cosiddetta) per la vittoria di François Hollande : " Sono come bambini. Esultarono allo stesso modo anche alla vittoria di Obama il progressista, il pacifista laureato, il negro (peccato non anche gay…). Non disperano mai, nell’attesa della «vittoria della sinistra mondiale». E non riconoscono mai che a governare sono altre forze, che loro non vogliono vedere.
Adesso s’illudono che Hollande guiderà il «fronte della crescita» europeo. Ma saranno i «mercati» a decidere quello che Hollande ha il permesso di fare; già da subito lo spread del debito francese su quello tedesco si allargherà, i mercati puniranno ogni minima deviazione dal dogma.
Sia chiaro, non è una legge di natura. Ma l’intera classe politica europea ha messo il debito pubblico nelle mani dei «mercati», abbandonando la sovranità sulla propria moneta senza necessità. S’è legata mani e piedi alla finanza, a cui ha consentito tutte le libertà, mentre rinunciava alle sue. Ha abbandonato all’eurocrazia, o peggio ancora a meccanismi robotici, tutti gli strumenti con cui gli stati gestivano le crisi economiche: Banca Centrale di Stato, svalutazione, stampa di moneta, controllo dei capitali, nazionalizzazione di banche, eccetera. Rinunciato a tutto ciò, bisogna comunque andare col cappello in mano a farsi prestare i soldi dai «mercati», esibendo la propria austerity.
E poi, queste elezioni mica sono salite al livello europeo. I Barroso, i Van Rompuy, i Draghi, sono sempre lì, e nessun suffragio popolare li tangerà. E sono stati cooptati per completare, sotto qualunque circostanza e qualunque rivolta dal basso, il programma di Jean Monnet, che ha tanti aedi proprio nella sinistra (cosiddetta): occorre «più Europa», occorrono «altre cessioni di sovranità», perchè il ripudio del debito è impensabile, l’uscita dall’euro un disastro. Gli USE, United States of Europe, ecco quel che occorre. E come no? Noi in Italia abbiamo già accettato un governo ‘europeo’ frutto di un colpo di Stato presidenziale, che stronca tutti con le tasse. E adesso, i Bersani si aspettano che sia Hollande a dire quei «no» che la sinistra (cosiddetta) non ha mai detto? " Gli aspetti negativi ovviamente esistono come l'insistere sul superiore interesse dello Stato, rispetto alle comunità,(ed il suo giustificarlo, richiamandosi ai valori della laicità che pure condivido) e i suoi rapporti tutt'altro che limpidi col sionismo.
è buffo!! tempo fa mi trovavo a conversare con un conoscente di estrema destra ed essendo io al suo opposto rimasi perplessa e dubbiosa nello scoprire che avevamo una visione molto simile delle cose.ecco, lo stesso mi accade leggendo questo discorso!!!
tralasciando l'analisi storica fatta da le pen come nn essere d'accordo sul programma della signora? io ho sempre creduto nel valore dell'internazionalismo ma ad oggi ci troviamo a dover lottare con le forze più nefaste della globalizzazione e per questo è fondamentale dare nuovo vigore alle varie sovranità nazionali e oserei dire (!) ridisegnare le economie in senso più autarchico.
poi probabilmente la signora nn avrebbe le mie stesse idee circa la solidarietà e la fratellanza fra i popoli e questo è un vero peccato considerando che la sua patria è la francia ( :) )
Sento parlare di "sovranismo di sinistra", ma l'ARS non era una associazione nè di destra e nè di sinistra? Cosa mi sono perso? A questo punto ha avuto ragione Pasquinelli e il MPL. Scusate la franchezza, ma che senso ha predicare il superamento delle divisioni e poi dire che la Le Pen non va bene perchè è di destra anzi, ancora più grave, perchè NON E' DI SINISTRA? Non ci siamo, non ci siamo proprio e mi rendo conto di non avere sbagliato l'analisi sull'ARS.
Intervengo per tentare subito di paralizzare un dibattito che mi dispiacerebbe svolgessimo. Premesso che questo articolo è commentato non soltanto da associati dell'ARS ma anche da lettori di Appello al Popolo non iscritti all'ARS, credo che i dubbi di Giancarlo siano del tutto infondati. Infatti, l'ARS ha un Documento di analisi e proposte politiche e ha un Progetto. Quel Documento e quel Progetto sono condivisi: i) da persone che provengono dalla sinistra e si considerano ancora di sinistra; ii) da persone che provengono dalla destra e si considerano ancora di destra; iii) da persone che sono sempre state di centro e che continuano ad essere di centro (il centro lo dimenticate sempre ma la metà degli italiani sono di centro; non vi sarete mica fatti bipolarizzare anche voi? il bipolarismo, e quindi la dicotomia destra/sinistra che tutto vuol racchiudere è un inganno); da persone che, qualunque sia la provenienza, sostengono che destra e sinistra non hanno più ragion d'essere; da persone che sono comuniste ma sostengono che i comunisti non sono mai stati di sinistra (e che la sinistra è stata la peggior nemica dei comunisti); da persone che si dicono socialiste ma non di sinistra; da persone che reputano che voler disciplinare l'entrata di extra comunitari sia razzismo e da persone che reputano che voler disciplinare l'entrata degli extracomunitari non sia razzismo; da persone che reputano che sia più schifosamente razzista e imperialista chi ha appoggiato la guerra contro la Libia (per esempio Bersani) che chi vuol contingentare gli extracomunitari (per esempio Le Pen); e da persone che reputano che sia più razzista limitare l'entrata degli extracomunitari (Le Pen) anziché partecipare a una guerra di occupazione e sembramento di uno stato sovrano (Bersani); e potrei continuare. Cosa ci interessa? Ciò che rileva sono il Documento e il Progetto. Io li ho scritti con uno spirito unitario. Non ho voluto scrivere il mio programma. E nemmeno quello di un ipotetico partito socialista patriottico del quale farei parte se esistesse e fosse ben organizzato e guidato. Li ho scritti come fossero testi di un Comitato di Liberazione Nazionale. E se persone diverse, con storie politiche diverse, con diverse concezioni di cosa sia la destra e di cosa sia la sinistra hanno creduto di approvare il Documento e il Progetto vuol dire che forse, almeno in parte, ho raggiunto il mio obiettivo. Tra gli aderenti all'ARS vi saranno anche sovranisti che si considerano di sinistra e sovranisti che si considerano di destra e vi sono sovranisti (come Giancarlo o marino Badiale) che considerano oggi priva di rilievo la distinzione tra sinistra e destra e sovranisti socialisti che non si vogliono più dire di sinistra (se non sono razzista, e non lo sono minimamente, non lo sono perché sono socialista, non perché sono di sinistra). Tutto questo non ha alcuna rilevanza.
Mi auguro che ci siano altri commenti. Per quanto mi riguarda gli interventi sono stati molto stimolanti, tanto che, piuttosto che un commento, vorrei provare a scrivere un post.
>>> Resto convinto che quella di Marine Le Pen sia stata l'unica proposta politica da parte di un leader europeo potenzialmente capace di rompere la spirale di decadenza e miseria che sta trasformando questo continente nel nuovo Terzo Mondo
Ottime osservazioni. Ho detto tante volte che il turbocapitalismo lo si combatte in entrambi i vettori del suo sviluppo: la mobilità dei capitali e quella della forza-lavoro. L’idea che la seconda sia integrale al pregiudizio umanista è vera, ma è stata sviluppata dal regime plutocratico per dare alle sinistre una foglia di fico ideologica per accettare la globalizzazione.
Una volta inculcata nei cervelli del gregge, essi l’hanno interiorizzata senza ovviamente afferrarne implicazioni e risultanze. Se ad es. la religione umanista implica lo svuotamento dello stato-nazione, a tanto maggior ragione implicherebbe l’annientamento della famiglia (colle formidabili sperequazioni ereditarie e formative cui dà luogo).
Aggiungo di sfuggita che i partiti di sinistra fino agli anni settanta-ottanta hanno potuto rappresentare la classe lavoratrice solamente per il fatto che ignoravano bellamente l’effetto sperequativo della sovranità statale: a nessuno veniva in mente che il verbo egualitario implicasse la dissoluzione dei confini. Se il PCI avesse mai pensato di intimare alla classe operaia che essa doveva dissolvere il proprio relativo benessere nella miseria di miliardi di disperati in modo da perequare ben bene i redditi, si sarebbe presto ritrovato ad avere i voti che ha oggi Bertinotti.
La domanda si ripresenta oggi. Chiedo ai sostenitori dell’immigrazione: in che modo pensate di salvaguardare il livello di benessere dei lavoratori italiani, se esso va sistematicamente diluito nella miseria del prolifico terzo? Attendo da anni che qualcuno abbozzi una risposta a questa semplice domanda.
L’altro elemento di critica alla Le Pen è l’insistenza sul tema dell’imperialismo come spartiacque fra sovranismo di destra e di sinistra. A ciò si risponde facendo parlare la più evidente realtà dei fatti: l’imperialismo non è connaturato al capitalismo ma all’essere umano (questa “scimmia assassina”). Forse che gli stati feudali non tentavano di allargarsi colla forza? Le polis e le monarchie e le repubbliche d’epoca classica non facevano lo stesso, al punto che era la guerra e non la pace ad essere vissuta come normalità? Gli imperi Maya e aztechi? Le tribù germaniche o quelle pellerossa ignoravano la guerra e la conquista? Forse che gli stati socialisti – Unione sovietica, Cina, Vietnam, Cambogia – non hanno praticato l’imperialismo, spesso a scapito l’uno dell’altro? Le repubbliche baltiche o il Tibet non sono stati asserviti e colonizzati etnicamente?
Pensare di eliminare i rapporti di forza fra comunità significa pensare di dare un senso nuovo alla storia; è utopia allo stato puro. Di fatto, se c’è qualcosa da criticare è l’eccessiva generosità dell’imperialismo occidentale, il quale – spintovi dal verbo cristiano-umanista – ha educato bambini, costruito ponti e ospedali, distribuito medicine. Ma questo è un altro discorso.
>>> Sento parlare di "sovranismo di sinistra", ma l'ARS non era una associazione nè di destra e nè di sinistra? Cosa mi sono perso?
Credo che l’ARS come associazione né di destra né di sinistra sia l’idea di Stefano. Gran parte dei suoi sottoscrittori provengono dal suo passato di sinistra e non condividono veramente il principio dell’associazione.
Ho dimenticato un punto: la critica del capitalismo.
E’ verissimo che Le Pen vuole distruggere il turbocapitalismo per ripristinare un capitalismo sano; ha di mira la finanziarizzazione (in linea di lontana continuità colla distinzione nazionalsocialista fra spirito prometeico della società industriale e spirito giudaico della finanza apolide) e non il capitalismo in sé. Ma mi pare che in questo i suoi intenti coincidano largamente con quelli di una sinistra che anche nelle sue punte estreme ha abbandonato ogni proposito di collettivizzazione integrale. Ed è certamente in linea ad es. coi propositi di Stefano, che mira a un’economia mista diretta e coordinata dallo stato.
Lorenzo, rinvio al commento che ho scritto sopra. L'ARS non ha mai imposto a nessuno di dichiararsi né di destra né di sinistra. Nell'ARS può stare chiunque approvi nelle linee fondamentali il Documento ed il Progetto e decida di sottometersi interamente ad essi. Io volevo che vi fossero persone che si reputano di sinistra, persone che si reputano di destra, persone che si reputano di centro e persone che reputano che la distinzione sia superata, purché approvassero un Documento, che evidentemente, al di là delle declamazioni, li unisce. Quindi il principio dell'associazione al quale accenni non è mai esistito.
Per quanto riguarda il problema degli stranieri, ti ho già scritto in una occasione che è dato ipotizzare mille provvedimenti che creerebbero occupazione, migliorerebbero la condizione economica dei ceti a redditi bassi e medi e realizzerebbero una certa giustizia redistributiva, pur in un regime che continuasse a disciplinare l'immigrazione nel modo in cui è disciplinata ora. Il problema dell'esercito industriale di riserva è reale; ma volerlo collocare al primo o al secondo posto, come se la disoccupazione italiana e i modesti salari e redditi da lavoro, subordinato ed autonomo, dipendessere principalmente dall'eccesso di monodopera in alcuni settori è falso. Si tratta di uno degli ultimi problemi.
Detto questo, io non credo che chiunque voglia limitare l'entrata di stranieri sia razzista. Alcuni vogliono farlo per una ragione economica: per evitare che si formi l'esercito industriale di riserva. Essi non soltanto non sono razzisti ma non hanno nemmeno torto, perché è evidente che in alcuni settori lavorativi, se diminuissero gli stranieri crescerebbero i redditi dei lavoratori italiani. Ma siccome bisognerebbe prima impedire le delocalizzazioni e protetteggere l'agricoltura, altrimenti, senza più stranieri e costrette a pagare di più, molte imprese andrebbero all'estero e molti imprenditori agricoli sarebbero costretti ad abbandonare l'agricoltura – si conferma dunque che prima vengono le altre forme di protezionismo e dopo, eventualmente, la limitazione della circolazione delle persone -, essi antepongono un problema che può essere, eventualmente, affrontato in un secondo momento.
Un discorso diverso si pone per coloro che muovono dal presupposto che "le nazioni non si mescolano" e che raggruppare diverse nazionalità all'interno di uno stato dà luogo, prima o poi, a conflitti etnici e a situazioni di precario equilibrio (Libano, Iraq, ecc.). Questo presupposto trova una certa verifica nei fatti storici e costituisce la smentita del multiculturalismo (almeno inteso in senso buonistico, come se il problema non esistesse). Nemmeno chi muove da questo dato e perciò vuole in qualche modo controllare i flussi può di per sé essere considerato razzista. Egli, infatti, sostiene soltanto che il multiculturalista è un imbecille che sta agendo (sebbe e non al fine ma comunque) in modo che la conseguenza sarà che in Italia (o in altri luoghi del mondo) tra cinquanta anni ci saranno probabilmente scontri e guerre etniche. Io, per esempio, mi interrogo su questo profilo.
Il razzista è soltanto colui che non vuole gli stranieri per ragioni identitarie, per non mescolare le razze, per non vedere passare a fianco a sé persone di diversa razza. Continuo a credere che alla base di questo attegiamento ci siano o grettezza o una condizione di depressione.
Stefano una precisazione: ho riparlato di immigrazione in risposta agli interventi precedenti, non per battere sempre sullo stesso chiodo.
Mentre io non voglio sovrastimare la portata del discorso immigrazione, permettimi di pensare che tu sia portato, per ovvie ragioni, a sottostimarla ampiamente.
Ciò detto, ho esposto le mie ragioni e mi propongo di non toccare più l'argomento.
Apprezzo praticamente tutto, ma non condivido, perchè non sono i singoli punti che determinano la visione del mondo, ma il sistema di pensiero sottostante, che ha lacune non banali.
Nel merito, il discorso della Le Pen a prima vista offre molti ottimi spunti, ad esempio
La sovranità è prima di tutto la libertà di determinare le proprie leggi. La sovranità è quanto dichiarato nella Costituzione della nostra Repubblica: «Il governo del popolo, esercitato dal popolo, a favore del popolo».
Resta un discorso nettamente di destra, dove destra è una tradizione culturale con sue caratteristiche abbastanza distintive: la patria, il territorio, il popolo, gli eroi, la razza. I toni sono ben scelti ed adeguati ai tempi di oggi, ma è ben percettibile l'origine del pensiero.
Due temi vorrei evidenziare nel lungo discorso.
1) La scuola: si parla di educazione con le parole di Condorcet: «Non c’è libertà per l’ignorante», ma non si chiarisce cosa sia la libertà. La sensazione è quella di una scuola dove l'individuo istruito si sente libero perchè ha aderito ai valori del sistema, perchè condivide quei valori. E' stato messo in gabbia e si sente libero. Una delle lezioni che si apprendono oggi dalla politica è proprio che non ci si può conformare supinamente a quanto ci raccontano. La competenze vanno bene, ma bisogna avere spirito critico, per rifiutare le infinite balle del potere.
2) La libertà: non trovo traccia della libertà degli individui. Non so che senso ha uno stato sovrano dove non siano ben definiti i diritti degli individui. "Né Pepsi né Coca" scriveva Slavoj Zizek spiegando che la libertà non è una scelta di consumo tra due merci sostanzialmente equivalenti. "La libertà è poter decidere la propria vita", direi io. E questa è proprio una visione che alla Le Pen non piacerebbe, uomini liberi che fanno le proprie scelte in base alla propria esperienza personale.
In sintesi: lo Stato sovrano va bene, ma al suo interno io vorrei degli uomini liberi e non dei sudditi.
Ho letto con attenzione il discorso di Marine LePen. Mi riprometto di intervenire sul tema direttamente segnalando un articolo che sta per essere pubblicato di commento alle elezioni francesi e greche (entro cui vi è un'ampia e argomentata risposta critica alla recente posizioni, da me e dai redattori e collaboratori di Comunismo e Comunità non condivisa, espress da Preve su Marine LePen).
A tale suggerimento di lettura, sperando di avere tempo, aggiungerò qui alcune note relative proprio al discorso.
Prima di fare ciò, però, coglo l'occasione per riportare qui una parte di un articolo pubblicato recentemente sul sito comunismo e comunità, in cui tentiamo di spiegare in maniera esaustiva il perché della non esaustività descrittiva (o sevogliamo esaurimento della centralità e non esaurimento tout court) della dicotomia destra-sinistra. In particolare in risposta a quanto scritto da Dario Romeo, il cui discorso ho in buona parte condiviso e apprezzato (e proprio per tale ragione vorrei sottolineare la particolare accezione che è a mio avviso corretto dare alla questione destra-sinistra). Non ho condiviso affatto l'idea che la posizione di Preve su Marine LePen sia il frutto naturale della sua impostazione. Trattasi, invece, a mio avviso di un vero e proprio errore dettato dall'indole di Preve (spesso provocatoria) che non coincide con il senso ultimo del suo superamento della dicotomia.
Ecco qui l'estratto di cui dicevo:
Considerazioni sull’obsolescenza della categoria descrittiva e orientativa destra-sinistra
La nostra dichiarazione di obsolescenza delle categorie destra-sinistra per un proficuo orientamento politico anticapitalistico, come affermato molte volte, non è in alcun modo il tentativo di sintesi tra i due estremi, ma è al contrario la professione di una loro totale e grottesca insufficienza descrittiva. Non si tratta di un fatto puramente teorico ed astratto, ma è il frutto del trionfo assoluto del liberalismo come pratica e come ideologia dominante a 360° nelle società europee e del suo indiscutibile ruolo incontrastato nella difesa culturale (e copertura ideologica) della sostanza materiale dei rapporti di produzione capitalistici.
Ma cerchiamo di essere più precisi. Individuiamo, entro la questione, un piano materiale ed un piano ideale, che si ricongiungono poi dando unità al ragionamento.
Dal punto di vista materiale, è semplicemente accaduto che il 90% della sedicente sinistra non è più in alcun modo una forza sociale occupata nella difesa dei lavoratori, dei ceti più deboli e più in generale di tutti coloro che, sul piano materiale, non hanno nulla da guadagnare dal sistema capitalistico. Il 90% della sedicente sinistra è apertamente schierata (in maniera più o meno intensa e provocatoria) contro i lavoratori, per la libera impresa, per il capitalismo liberista più antisociale, per la spoliazione delle risorse pubbliche etc etc Si potrebbe sostenere che non si tratti di vera sinistra, ma di destra mascherata di sinistra. Ma questo significherebbe dare alla parola sinistra (che è storicamente determinata, contenutisticamente debole per definizione e come tale variabile in funzione dei tempi) un senso eterno che per definizione non può avere. Il concetto di sinistra è, in quanto termine relativo interno ad una dicotomia bipolare, (assai più dei termini facenti capo a sistematizzazioni ideologiche coerenti, come comunismo, socialismo, liberalismo, fascismo etc etc) il lasciapassare più comodo e ampio per inserire concezioni del mondo assai variegate ed estremamente generiche. Ciò non toglie ovviamente che sia possibile ricostruire un significato storico di massima della sinistra concretamente esistita nell’ultimo secolo.
E qui veniamo al lato ideale della questione, forse, per certi versi, ancora più importante. Se si accetta la tesi (questa sì previana e non solo previana) per cui la radice ideale della sinistra occidentale è l’unificazione di una critica culturale (di tipo libertario) alla cultura e all’ipocrisia borghese e di una critica sociale delle disuguaglianze e dell’alienazione capitalistica, si può allora intendere il ragionamento che segue: se l’identità tra classe dominante e conservatorismo culturale (ancorché a carattere liberale) viene meno e la classe dominante attuale non è in alcun modo portatrice di valori “tradizionali” (autoritarismo, conservatorismo, valori religiosi di tipo moralistico etc etc), ma è portatrice del puro nichilismo capitalistico privato di appigli morali “forti” di tipo tradizionale, è evidente che uno dei due moventi costituzionali della sinistra novecentesca viene meno. Rimarrebbe l’altro, quello più solido e strutturale (la critica alle disuguaglianze sociali e all’alienazione capitalistica) che da solo però non definisce, a nostro avviso, il concetto di “sinistra” tout court per come storicamente si è sempre intesa, ma definisce piuttosto una posizione anticapitalistica radicale che può poi essere corredata da visioni del mondo non per forza coincidenti in diversi ambiti della vita sociale (dalla visione dei rapporti personali, dei diritti, fino alla stessa impostazione filosofica di fondo). Negli ultimi venti o trenta anni è accaduto che la stragrande maggioranza della “fu sinistra” si è riciclata in soggetto di gestione del dominio capitalistico in versione progressista, perché il potere capitalistico non è più culturalmente conservatore, ed anzi, cavalca volentieri la dissoluzione sociale e l’individualismo di costume come leve per rompere gli ultimi argini alla propria penetrazione economica e simbolica; la sedicente sinistra radicale, contestualmente, nella sua stragrande maggioranza, ha accelerato, proprio quando i caratteri del mondo capitalistico si sono ormai post-modernizzati e le classi dominanti non sono più portatrici di una cultura conservatrice (bensì puramente nichilista), il suo lato “libertario”, antiautoritario e antiborghese (in senso culturale), mentre ha mantenuto un nocciolo duro di critica sociale sempre più depotenziato ed esso stesso soggetto a debolezze specifiche (che fanno però parte di un diverso tema).
E’ chiaro che diventa molto difficile, alla luce di questa evoluzione, orientarsi nel mondo secondo la dicotomia calcificata destra-sinistra. Lo si può continuare a fare soltanto a certe condizioni: 1- se si attribuisce ai due termini un valore metafisico ultra-temporale 2- se si privano i termini di qualsiasi connotazione culturale e si identificano soltanto alla luce di forze materiali, rimuovendo quindi, dalla forma storica concretamente assunta dal concetto di sinistra, uno dei due elementi costitutivi: la critica libertaria antiborghese e antiautoritaria; 3- se allo stesso tempo si giudica del tutto priva di realtà effettiva l’autodichiarazione delle attuali forze dominanti nel loro schieramento di campo, considerando quindi “di destra” tutte le forze politiche dalla rifondazione più bertinottiana, passando per Vendola, il Pd fino alla destra di Storace. In questo caso destra equivarrebbe a “difesa del potere costituito”; mentre sinistra equivarrebbe a “opposizione al potere costituito”.
Tuttavia queste tre ipotesi ci sembrano insostenibili. Assai più calzante con la realtà è semmai il ravvisare un forte avvicinamento sia ideologico sia materiale di tutte le forze sistemiche. L’avvicinamento ideologico è avvenuto, non certo tramite una convergenza verso il concetto eterno di destra, ma tramite una convergenza (“da destra” e “da sinistra”) verso l’ideologia liberale (versione neo-liberale) che, per sua stessa natura, ha un volto di “destra” e un volto di “sinistra” del tutto compatibili con il proprio nucleo fondamentale. L’avvicinamento materiale di tutte le forze politiche, contestualmente, è avvenuto tramite l’aver abbracciato posizione politiche del tutto favorevoli alle classi dominanti, allo sfruttamento e l’annichilimento del lavoro in tutte le sue forme e alla distruzione della democrazia tramite l’adesione totale alla tecnocrazia sovranazionale.
Se questo è il quadro, è evidente che, mentre la contraddizione materiale tra classi-ceti dominanti e classi-ceti subalterne non muta (e la sua declinazione può essere semmai discussa entro ragionamenti senz’altro importanti circa l’importanza relativa del concetto di classe in sé, di ceto, di censo, di sfruttamento etc etc); la contraddizione principale ideologica, invece, non potrà che assumere forme peculiari. Essa non può essere sintetizzata dalla principale ed eterna opposizione tra destra e sinistra, ma dovrà per forza di cose individuare l’ideologia liberale (e il neoliberalismo come approccio politico culturale e simbolico, in una parola come visione del mondo), in tutte le sue varianti (di destra e di sinistra) come l’ideologia indiscutibilmente dominante a difesa dei rapporti sociali capitalistici.
Cosa implica questo semplice riorientamento? Implica forse che sinistra e destra anti-liberali ed anti-liberiste debbano coalizzarsi in un unico fronte anti-neoliberale, senza ulteriori paletti contenutistici contro il nemico comune? No!!! Chi lo pensa, forse, è un rossobruno. Noi non lo pensiamo e infatti non siamo rossobruni.
Il riorientamento, però, doloroso e difficile come tutti i riorientamenti, impone, questo sì, una seria considerazione delle forze in campo, di quale sia il “nemico principale” e di quali siano i “nemici secondari”, quale sia la “contraddizione principale” e quali siano le “contraddizioni secondarie”
E soprattutto, tale riorientamento, (tralasciando per un momento le annose questioni definitorie circa le ideologie sistematizzatesi negli ultimi due-trecento anni in occidente), impone la necessità di reintrodurre con forza e convinzione dei punti di distinzione di tipo sostanziale alla luce delle priorità individuate. Il superamento della centralità metafisica della categoria destra-sinistra (che, ripetita iuvant, non significa affatto e in alcun modo, il tentativo di sintesi tra i due estremi, ma che al contrario è la consapevolezza della loro totale, grottesca e palese insufficienza descrittiva) significa anche e soprattutto questo: il ripristino di paletti sostanziali e di punti distintivi sostanziali dopo un ventennio almeno di prevalenza delle autodichiarazioni di principio avvenute su un terreno formalistico.
E quali sono questi paletti? Quali sono questi punti sostanziali? Qual è il vero punto su cui si concentra la vera contraddizione ideologica e materiale che ci guida? Una risposta esauriente richiederebbe molte pagine, ma riassumiamola in pochissime righe. Il punto di distinzione che dovrebbe, senza appello, portare qualcuno da una parte e qualcuno dalla parte opposta è il seguente:
L’accettazione o il rifiuto del capitalismo inteso come sistema di relazioni economiche, politiche, sociali, culturali e simboliche basate su:
1- lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; 2- Il conflitto permanente tra uomo e uomo indotto dalle dinamiche economiche sistemiche concorrenziali; 3- il conflitto permanente internazionale basato sul vero e proprio orrore della guerra e del saccheggio coloniale e imperialistico delle risorse delle nazioni che costituiscono gli anelli deboli del sistema; 4- il culto nichilistico del mercato e della concorrenza come “luoghi” di realizzazione della dimensione sociale umana; 5- la riduzione a merce di ogni bene, ivi compresa la vita umana ridotta interamente a merce di consumo e soggetta, dalla vita alla morte, ad una completa manipolazione e disumanizzazione per adempiere alle esigenze di valorizzazione del capitale; 6- L’ideologia del progresso e della scienza come nuove religioni sovrane intoccabili; 7- la prevalenza di un profilo filosofico relativista e antiuniversalista coperto da un universalismo astratto di tipo procedurale (diritti umani, democrazia etc etc); 8- la prevalenza di un orizzonte culturale individualistico basato sull’apologia della dissoluzione e sul culto della libertà e del diritto intesi come arbìtri assoluti e massima espressione di un “io” isolato, de-socializzato e atomizzato;
Chi rifiuta tutto questo in maniera radicale sta da una parte; chi lo accetta sta dalla parte opposta. Per noi questa è la dicotomia di orientamento. Il resto è formalismo manipolato!
Se questa distinzione fosse in effetti riconducibile alla dicotomia destra-sinistra e se la sinistra fosse il rifiuto di tutti i punti sovraelencati, allora ci basterebbe definirci semplicemente di sinistra e i discorsi starebbero a zero (non ci divertiamo a proporre speculazioni filosofiche e teoriche fini a sé stesse). Tuttavia non è così. Crediamo che la sinistra, complessivamente, nelle sue variegate espressioni, non si identifichi affatto nel rifiuto dei punti sovraelencati e che, al contrario, per alcuni di essi manifesti una vera e propria piena adesione entusiasta. La ex-sinistra ormai ascesa alla gestione del potere capitalistico è interna all’accettazione di tutti i punti elencati. Con essa non è possibile alcun dialogo perché è dichiaratamente schierata da una parte; la sinistra di opposizione sociale, invece, (pur ridotta al lumicino) è per lo più (seppur entro molte ambiguità) portata al rifiuto dei primi 5 caratteri delle società capitalistiche, ma è decisamente integrata negli ultimi tre punti.
Per questo riteniamo importante mettere dei distinguo sostanziali e rifiutare di incasellarci nell’eterna dicotomia formalistica.
Solo ed esclusivamente per queste ragioni, che, ripetiamo, sono sostanziali, riteniamo che la dicotomia destra-sinistra non sia esaustiva in termini filosofici, sia in certa misura obsolescente in termini storico-politici e non contribuisca affatto alla chiarezza definitoria circa l’ orientamento anticapitalistico che riteniamo adeguato.
Condivido
Il giudizio negativo sugli “esperti” (in Italia sono i “tecnici”);
L’idea che libertà di informazione (con tutto ciò che ne consegue in termini di possibilità di scegliere) e di espressione sia minacciata dal liberismo;
L’idea che l’attuale Unione Europea determini la perdita della sovranità nazionale;
Di seguito le cose che NON condivido:
Il “mondialismo” come lo definisce Le Penn non si combatte con la chiusura delle frontiere per merci e persone. Lo si deve gestire stipulando accordi che tutelano gli interessi comuni; la salute, lo sviluppo sostenibile, la custodia delle risorse, la tutela del lavoro, la sovranità alimentare devono essere garantiti sia qui che in Costa d’Avorio o in India. Questo implicherà sicuramente una dose di protezionismo ma non per rafforzare una parte a danno di un’altra.
Le Penn presenta l’immigrazione come una minaccia, una delle cause dell’ espansione della povertà in Francia (bassi salari e perdita di potere d’acquisto). Gli attuali flussi migratori sono piuttosto un effetto che ha radici lontane, soprattutto nella negazione della sovranità dei popoli di mezza Africa.
Il totale disprezzo che la Francia, De Gaulle in primis, ha dimostrato per i diritti di popoli non francesi ; penso al colonialismo, al neocolonialismo , agli esperimenti nucleari a Mururoa, ai recenti interventi armati, allo sfruttamento di risorse fuori dal territorio francese per mantenere il modello di sviluppo francese.
Per Lorenzo e Giancarlo:
La differenza tra sovranismo di destra o di sinistra non è identitaria, ma di sostanza. Possiamo anche non chiamarla destra-sinistra, se pensate che crei equivoci, chiamiamola differenza tra sovranismo e nazionalismo, anzi così si capisce meglio dov’è il punto.
Io voglio puntare all’unità massima possibile, per cui vorrei che l’ARS rimanesse aperta a tutte le provenienze, anzi che continui a dichiararsi priva di ideologie. Di certo però certe distinzioni macroscopiche vanno fatte (e prima o poi le dovrà fare anche l’ARS, volente o non volente, perché se non si è chiari fino in fondo, c’è sempre qualcuno più chiaro che ti sorpassa sterzando da una parte o dall’altra – vedi Alba Dorata in Grecia – e a quel punto devi decidere da che parte stare). Io ho elencato tre punti critici fondamentali, che se risolti non trasformerebbero assolutamente l’ARS in un movimento comunista, aggiungerebbero solo qualche principio di umanità e di coerenza. Per cui riprendo i tre punti aggiungendo qualcosa, e ponendo delle domande precise:
1) Non è tanto importante che tutti si rendano conto che la crisi è colpa del capitalismo, né che tutti si dicano anticapitalisti, perché come ho riconosciuto anche nel commento precedente, le soluzioni immediate rimarrebbero le stesse (nazionalizzazioni, spesa a deficit, protezionismo nei settori primari e manifatturieri, etc.), e quindi servirebbe solo a dividerci, è vero; tuttavia almeno (in vista del futuro) è importante tenere bene a mente il fatto che la crisi non c’è solo in paesi che non hanno sovranità, ma anche e soprattutto in paesi pienamente sovrani come gli Stati Uniti. Su questo cosa dite? Gli Stati Uniti dovrebbero riconquistare la sovranità per combattere la disoccupazione dilagante? E’ evidente che la crisi dei paesi occidentali non si risolve solo con la sovranità. E’ importante essere almeno coscienti di questo problema.
2) Gli immigrati e le frontiere: non si tratta di accusare di razzismo o xenofobia chi vuole bloccare le frontiere, anzi il razzismo di per sé sono convinto che non esista, esiste solo come capro espiatorio di un problema economico. Il problema economico c’è: gli immigrati effettivamente “tolgono il lavoro” agli italiani. Ma chiunque abbia un minimo di senno capisce che non è colpa degli immigrati se sono costretti a spostarsi in massa per cercare condizioni migliori (siete d’accordo, spero). Per cui va bene non nascondere i problemi alla gente, evitando di cianciare di multiculturalismo come fa Vendola, ma poi bisogna fornire la spiegazione giusta, non quella che fa più comodo e che fa più presa immediata (questo sarebbe quello che chiamano populismo, che come vedete esiste eccome).
La soluzione del problema immigrati non è semplice e non può prescindere da un cambiamento radicale dell’organizzazione economica, perché è correlata con troppi fattori. Io credo che con l’altissimo di sviluppo della tecnologia a cui siamo arrivati (grazie al capitalismo, lo riconoscevano anche Marx e Lenin, mica se lo sono inventato Fubini o Giannino), se il controllo dell’economia fosse razionalizzato in funzione di chi abita e lavora sul territorio nazionale e non gestito caoticamente dai grandi poteri, si potrebbero fornire lavoro e condizioni decenti a tutti, anche dovessero arrivare a milioni dall’Africa. E’ ovvio che per arrivare ad una situazione simile, più stati dovrebbero invertire la rotta, ma questo è quello che si auspica anche il documento dell’ARS (come pensate di poter uscire dall’Euro, nazionalizzare tutto, se non si creano tendenze simili anche in altri paesi, se non si crea un solido blocco geopolitico? Un minimo di accordo con altri paesi si dovrà fare no?).
Se invece uno volesse fare il “pratico” e sostenere che vanno bloccate le frontiere perché è l’unica soluzione immediata, tenga presente che dovrebbe anche parlare dei metodi con cui bloccare i flussi di persone, altrimenti parlerebbe di un’utopia. Ti arriva una barca a Lampedusa e tu che fai? La rovesci? La riaccompagni indietro (sprecando carburante su carburante? – oltretutto dopo che hanno effettuato un viaggio devastante)? Li fai entrare e li rinchiudi in gabbia? Ditemi voi se avete altre soluzioni. Non è preferibile perseguire l’unità dei lavoratori nati in Italia e di quelli proveniente da fuori (se non vi piace il termine lavoratori non so che dirvi, per me chi fa un lavoro è un lavoratore, tautologia – permettetemi però di escludere dalla categoria i tizi in giacca e cravatta che giocano in borsa e che comprano e vendono aria)?
3) L’imperialismo è sempre esistito, è vero, e allora? Quello che conta è che oggi esiste nella forma di sfruttamento europeo sul resto del mondo. Mica esclude che l’abbiano fatto anche i Romani o gli Aztechi. E’ ridicolo lamentarsi delle violazioni di sovranità quando si è violata la sovranità di altri paesi fino a ieri (anzi a oggi). La Le Pen, se andasse al governo, dovrebbe ritirare tutte le multinazionali dalla Costa d’Avorio (o altrove), altrimenti non sarebbe coerente, anzi una cialtrona della peggior specie. Vogliamo dirlo a chiare lettere che senza questa coerenza il sovranismo è nazionalismo e basta? Se foste spagnoli vi incazzereste o esultereste per la nazionalizzazione del petrolio argentino da parte della Kirchner?
La discussione continua ad essere molto interessante.
Una domanda a Gian Marco, che mi ha fornito importanti spunti, dei quali terrò conto nel post o nei piccoli post che ho intenzione di scrivere sorge immediata.
E' necessario esultare per le nazionalizzazioni estere di imprese a prevalente capitale "italiano" (che tuttavia è tale soltanto fino a quando il mercato decide così)? Far venire milioni di africani è addirittura un obiettivo, talmente rilevante da parlarne più di una volta ogni cinque anni? Sei certo che se le classi dirigenti statunitensi non sapranno tenere la barra dritta e sbaglieranno scelte politiche, una grave e prolungata crisi non farà emergere gravi conflitti politico-etnici? Sei favorevole al fatto che gli stati stranieri limitino l'espatrio dei propri cittadini che hanno studiato e hanno usufruito delle cure e delle istituzioni, per quanto scadenti, del paese d'origine? Ti sembra giusto che un medico di un paese africano possa recarsi all'estero perché in madrepatria non guadagna come vorrebbe e non può fare esperienze mediche di alto livello? E ora che i nostri giovani laureati cominceranno ad andar via (in Africa e in America Latina) dove verranno pagati meglio, noi dovremmo "per un minimo di umanità" disinteressarci al fenomeno anche se assumesse aspetti e dimensioni pericolosi? Se fosse un impoverimento netto del popolo e della nazione? Tutti problemi che richiedono una lunga riflessione.
1) Non è necessario esultare, certo. Però se tu proponi di fare protezionismo, e quindi ostacolare la concorrenza delle aziende straniere, non puoi aspettarti che altri paesi facciano altrettanto con te, cioè caccino le tue multinazionali. Lasciando da parte il fatto che dovresti essere coerente e portarle via tu le multinazionali, quantomeno devi "abbozzare" e ritenere pienamente legittimo il gesto. Altrimenti ridiamo legittimità alle guerre di aggressione.
2) Non ho mai detto che far venire un milione di africani sia un obiettivo da porsi. Semplicemente, se vengono non possiamo farci niente, e dobbiamo accoglierli. A meno di non buttarli in mare.
3) L'obiettivo di tenere a bada i conflitti etnici è complicatissimo, l'unico modo è cercare di fornire lavoro a tutti; certamente non mi aspetto che lo facciano le classi dirigenti al potere (che non hanno alcuna intenzione, oltre che capacità, di farlo).
4) Alle ultime domande rispondo insieme: sono tutti problemi di emigrazione, non di immigrazione, cioè di teste e braccia che se ne vanno. E' ovvio che sono fenomeni da contrastare. Ma essendo fenomeni in uscita, possiamo risolverli cambiando la nostra economia, fornendo posti di lavoro ben pagati qui.
Vorrei inizialmente rispondere ad un punto di domanda posto da Stefano in precedenza e cioe':"Sei favorevole al fatto che gli stati stranieri limitino l'espatrio dei propri cittadini che hanno studiato e hanno usufruito delle cure e delle istituzioni, per quanto scadenti, del paese d'origine?".Si sono favorevole almeno per alcuni anni finche' non sia stato "restituito" l'investimento fatto dallo stato nell'istruzione gratuita dei propri cittadini.Il riferimento a nazioni come Cuba mi pare chiaro e a questo proposito,vorrei ricordare ai compagni internazionalisti "puri e duri" che la Cuba socialista di Fidel Castro,esempio di paese internazionalista al di sopra di ogni sospetto,divenne anni fa meta di "immigrazione illegale" da parte di alcuni haitiani,che vivendo nella disastrata e vicina Haiti(la "democratica" Haiti) pensarono bene di raggiungere l'isola socialista di Cuba per sfuggire alla miseria ben piu' atroce che sopportavano nel loro paese d'origine.Veri e propri "balzeros" quindi,ben diversi dai "balzeros" cubani che anni fa soprattutto,cercavano di raggiungere la Florida su mezzi galleggianti spesso inadeguati dove pero' grazie all'infame legge "de adjuste cubano" li aspettavano l'asilo politico e un sussidio di disoccupazione del quale gli immigrati cubani erano gli unici privilegiati fruitori a differenza di haitiani,dominicani,honduregni e messicani che venivano presi a calci in bocca non appena si presentavano alla frontiera americana.I "balzeros" haitiani furono "riaccompagnati" nel loro paese d'origine perche' Cuba,paese povero,non avrebbe potuto accoglierli sfamarli ed istruirli (anche se ad una piccola percentuale fu consentito di restare).La trovai l'unica soluzione percorribile e veramente sensata.Ma esiste ancora il buon senso,tra gli internazionalisti "puri e duri" di sinistra?
Sarebbe così tante le cose da dire dopo aver letto attentamente tutti gli interventi proposti che preferisco proporvi direttamente la lettura di un articolo a cura della nostra redazione di comunismo e comunità che tratta la gran parte dei temi qui sollevati come commento al discorso di Marine LePen.
Questo l'indirizzo dell'articolo, appena pubblicato sul sito:
http://www.comunismoecomunita.org/?p=3221
Lorenzo Dorato
@ Lorenzo Dorato: ho letto l'articolo e ho provato a impostare un commento, ma il server non sembra accettarlo. Lo allego qui per chi fosse interessato.
Saggio equilibrato e interessante.
Il problema del mancato riconoscimento agl'immigrati è un falso problema, perché la posizione autentica del Front national, quella sempre ripetuta da Le Pen padre e ora diluita per motivi tattici da Marine, è la cacciata integrale degl'immigrati non bianchi e l'assimilazione integrale di quelli bianchi (ex-spagnoli, italiani ecc.).
In questo senso si realizzerebbe la vostra posizione: lo stato o rifiuta un lavoratore o lo accoglie con pieni diritti al proprio interno. E' ovvio che nella decisione di quali lavoratori accettare, come su ogni altro punto politico, economico e strategico, il Front si riservi il diritto di rivedere le scelte effettuate dal regime globalista.
Perfettamente d'accordo colla vs. critica al carattere stentato del programma economico lepenista, che non fa menzione dell'ondata di espropri e nazionalizzazioni di settori strategici necessari a cancellare un terentennio di sfaceli liberisti. Si deve però anche considerare l'esigenza, da parte del Front, di non spaventare i ceti medi che lo votano, fra i quali l'anticomunismo è ancora un retaggio molto vivo. Nel momento in cui il partito tentasse di realizzare il proprio programma e si scontrasse colle scomuniche della finanza globale, si troverebbe presto costretto a reimpadronirsi delle leve strategiche dell'economia o ad abbandonare la partita.
Avete l'unico partito di massa in tutta Europa che conduce una critica coerente ed approfondita del mostro che tutto va distruggendo: vi sembra il caso di negargli il vs. appoggio sulla base dell'assenza di chiarezza sugli "obbiettivi programmatici" di lungo e lunghissimo periodo?
Per quanto riguarda la politica estera, la vostra analisi è corretta: il Front non aspira ad eliminare la realtà dei rapporti di forza dalla politica internazionale, ma semplicemente a riorientarla in senso nazionale. In ciò dimostra tanto più realismo e buon senso rispetto al vostro sogno utopico, sistematicamente e senza eccezione smentito dall'intero corso della storia umana e sopra ogni altra cosa dal XX secolo, di estirpare la forza e l'astuzia nei rapporti fra comunità diverse. Ciò a cui punta il Front è il ripristino del quadro di rapporti internazionali precedente allo Washington consensus. Anche in questo caso non mi sembra un obbiettivo da poco.
Il commento che Stefano ci chiede ritengo di averlo già espresso anticipatamente nell’ l’ultimo dei commenti in risposta all’articolo sull’ “insanabile contrasto tra Costituzione della Repubblica Italiana e Trattati dell’Unione Europea” (si trattava di una replica circostanziata a un precedente commento che più o meno era in linea con Marine Le Pen e con la “Destra europea”) . Purtroppo quel commento non ha trovato riscontri, ma ora lo ripropongo con piccole integrazioni, perché strettamente attinente:
Con grande pervicacia la destra “estrema” ovunque in Europa tenta di dirottare almeno in parte sul fenomeno “globalizzazione” l’ individuazione delle cause che hanno portato alla crisi e all’impoverimento dei popoli europei. E’ una destra povera e sempre incline alla demagogia, che vorrebbe magari l’uscita dall’Euro (ma fino a che punto?) e poi vorrebbe la chiusura delle frontiere e quindi l’isolamento totale dell’Italia: non ci siamo proprio! I Trattati europei non c’entrano niente con la globalizzazione, con l’entrata della Cina nel WTO ecc. I primi sono stati un atto politico con fondamenti ideologici rigidamente liberali al servizio di una elite economica e finanziaria transnazionale e soltanto adesso stiamo aprendo gli occhi su ciò ( io stesso fino a quindici anni fa ero un tiepido europeista).
La seconda cosa (globalizzazione ecc.) è una sorta di bradisismo geoeconomico, sostanzialmente apolitico che nessuno ha mai progettato a tavolino, generato da concause di diversa natura e in parte addirittura ignote ( per esempio la Cina -il gigante Cina!- esporta contemporaneamente nel mondo capitale e forza lavoro: un paradosso!) . Molti cercano anche cinicamente di specularci sopra, ovvio, ma poi spesso si ritirano perché la paura prevale sulla prospettiva di profitto immediato. Cioè il singolo imprenditore o finanziere, malgrado le perplessità del suo referente politico, è tentato a delocalizzare o minaccia di farlo perché vede a breve una occasione di profitto, ma a media o lunga scadenza non è chiaro chi sarà l’attore vincente. Già, perché gli attori sono tanti e non sono -checché se ne pensi- coordinati fra loro, non esiste una “governance” planetaria che pianifica contemporaneamente i flussi finanziari e quelli migratori, gli andamenti delle quotazioni in borsa o le quote di import export fra i vari Paesi.
E’ singolare che contro questa “governance” immaginaria si scaglino contemporaneamente in perfetta sintonia tanto i “destri” quanto i “sinistri” pur partendo da presupposti formalmente antitetici. Si tratta di una vera e propria sindrome dell’intelletto, a sfondo monistico e paranoico, che però offre il vantaggio di tenere insieme a breve termine falsi ideali con falsi interessi. I falsi ideali sono, dal lato sinistro, la riproposizione dell’internazionalismo classico (“proletari di tutto il mondo unitevi!”) sempre più universale, sempre più astratto e infine ascaro nelle guerre imperialiste contro i “dittatori”. Dal lato destro i falsi ideali sono la riproposizione delle “piccole patrie” alla ricerca disperata di una perduta identità (per es. Padania e dintorni). I falsi interessi sono la difesa protezionistica, ma illusoria, dei residuali livelli di wellfare per i lavoratori dipendenti (a sinistra) o dei residuali margini di profitto per il popolino delle partite IVA (a destra).
Ne consegue che il “nemico principale” rimane un’entità indistinta che può assumere inizialmente il volto bianco di Godmann Sachs, FMI, banchieri europei ecc. e che poi vira verso il giallo o il bruno.
Infatti Lorenzo scrive:
“questo processo, inevitabilmente proiettato a trasformare il primo e il terzo mondo in vasi comunicanti (e quindi a falcidiare il tenore di vita del primo mentre rialza progressivamente quello del secondo), sta all’origine delle nostre sventure…”
Certo, il tenore di vita dei cinesi è aumentato e pure quello dei brasiliani: è questo il punto! Se a noi questo dispiace, certamente non possiamo pretendere che dispiaccia anche a loro e comunque, guardiamoci bene dal dire o anche soltanto dal pensare che loro stanno meglio a spese nostre, cioè perché noi stiamo peggio.
Qui si arriva veramente al cuore del problema. Per capire, dovremmo uscire dalla mentalità economicista imperante e adottare un’ottica storicista.
I profitti di cui l’Occidente ha goduto per così lungo tempo mentre il “secondo mondo” languiva nella povertà o nella fame, di che cosa sono frutto? Dell’ingegno e della superiorità delle sue classi dirigenti? Questa sarebbe solo una risposta autoreferenziale, per non dire di peggio.
Sono il frutto di una lunga accumulazione avvenuta in modo predatorio a livello planetario nei confronti del “secondo mondo”: si tratta di colonialismo e di imperialismo, più che di “capitalismo”.
Il wellfare di cui i lavoratori hanno goduto in Occidente dopo la seconda guerra mondiale è stato in parte una conseguenza “benefica” (ma a spese altrui!) del processo di accumulazione di cui sopra, e in parte conseguenza della terribile Rivoluzione comunista originata dalle contraddizioni dell’imperialismo (I e II guerra mondiale) e che grazie a queste contraddizioni ha dilagato su quasi metà del pianeta. Questa minaccia costrinse la borghesia occidentale da un lato a unificarsi sotto l’egida della borghesia più potente, cioè quella anglosassone, e dall’altro lato a farsi più prudente, virtuosa e generosa verso le classi subalterne: così nacquero lo “stato sociale” e la “democrazia” come li intendiamo oggi. Ma oggi tutto è rimesso in discussione: l’onda lunga del Comunismo si è esaurita da almeno tre decenni, perciò la cupola anglofona della borghesia occidentale e imperialista (creatura animale, a differenza del capitalismo che è creatura vegetale) riscopre i suoi vecchi vizi e tenta di riappropriarsi di ciò che aveva perduto. Però il quadro attuale pur essendo per lei vantaggioso, presenta gravi incognite e sgradite sorprese, perché una parte consistente del “secondo mondo” svanita l’illusione del socialismo, ha comunque trovato, anche grazie alla riscoperta del mercato, la forza di proseguire sulle sue proprie gambe e di svilupparsi, minacciando la supremazia economica dell’Occidente.
Tornando dunque alla globalizzazione: è una immensa scacchiera dove si fronteggiano molti attori che giocano diverse partite e su questa scacchiera è posta, sia pure marginalmente, anche l’Italia con i suoi particolari problemi. Attualmente, anzi da sempre, siamo una pedina costretta a fare il gioco altrui. Se vogliamo diventare autonomi come nazione e fare il nostro gioco dobbiamo sganciarci dal giogo euroatlantico e su questo i frequentatori del nostro blog sono più o meno tutti concordi, ma dovremo essere ben consapevoli che dopo si navigherà in mare aperto, quindi non meno, ma più globalizzazione: dovremo stabilire rapporti di partership con il secondo mondo, per esempio raccogliendo l’eredità di Enrico Mattei. Hic Rhodus, hic saltus, chi cova sentimenti di superiorità o disprezzo nei confronti di Cina , Brasile, India, Vietnam ecc. (retaggio razzista borghese? Dite voi!) è bene che si faccia un severo esame di coscienza e decida chi è il nemico principale, perché è ovvio che non si può combattere su più fronti, solo un mentecatto lo può pensare!
Purtroppo l’analisi dei “rapporti di forza” è ed è sempre stata, fin dai tempi di Hitler e di Mussolini, il punto debole della Destra: al massimo sono furbi, non intelligenti e tanto meno affidabili. Marine Le Pen mi ricorda Tremonti: “i banchieri in galera!” tuonava un paio d’anni fa davanti ai microfoni, ma ora appoggia Monti: la sua bravura sta tutta nella capacità di scherzare mantenendosi serio…e questo vale anche per Marine, della quale peraltro si mormora che a breve potrebbe seguire la parabola di Gianfranco Fini in Italia. Nel discorso da lei tenuto esattamente un anno fa, mentre la Libia di Gheddafi ancora resisteva eroicamente all’aggressione imperialista, c’è solo un lieve cenno al fatto che -bontà sua!- “la libertà dei popoli non è collocata nella testata di un missile NATO!” ma senza menzionare né la Libia, né Gheddafi, un po’ come Pio XII che implorava i nazisti a rispettare tutte le “stirpi” senza però menzionare quella ebraica. Come mai tanta timidezza ? Sarà perché dopo quella “liberazione” il petrolio libico sarebbe stato venduto non più alla Cina, soltanto un po’ all’Italia e quasi tutto alla Francia?
Per finire, due osservazioni terra terra sui cavalli di battaglia della destra europea: emigrazione e protezionismo
Flussi migratori: a Milano, ai banchi dei mercati rionali, c’erano fino a vent’anni fa i “terroni” (erano arrivati nel dopoguerra!), oggi sono quasi tutti marocchini, egiziani ecc., prima in qualità di aiutanti, ora quasi tutti titolari! E gli italiani, anzi i terroni? Semplice, hanno messo da parte un bel gruzzolo (quanto mai meritato!) e hanno ceduto ai “marocchini” le loro licenze. E i loro figli che strada hanno intrapreso? Beh, quelli studiano, non intendono spezzarsi la schiena sui banchi del mercato come i loro genitori, meglio stare sui banchi di scuola o di università per aspirare a qualcosa di meglio, avendo alle spalle le adeguate risorse. Sempre a Milano, una famiglia di reddito medio-basso che voglia concedersi il lusso di cenare talvolta al ristorante liberandosi dal peso domestico, lo può fare andando al ristorante cinese dietro l’angolo. Al rinomato “Toscano” dove la cucina è infinitamente più raffinata, non possono permettersi di mettere piede, d’altronde i Cinesi con la loro flessibilità ormai hanno imparato anche a cucinare italiano…Nelle fonderie (quelle che sono rimaste!) ci lavorano (magari in nero…) senegalesi, romeni, albanesi ecc.: gli italiani non si presentano. Un tizio della Lega tuonava contro gli imprenditori -spesso leghisti!- che non assumono operai italiani perché introvabili: quindi pretendeva che si legiferasse in modo da costringere questi imprenditori ad offrire alti salari agli italiani per indurli a prendere il posto degli extracomunitari da rimandare al loro paese! Direi che nel circo della “destra” le contraddizioni non sono meno grottesche di quelle rilevabili nel circo della “sinistra”!
Flussi commerciali: i prodotti tessili cinesi che invadono il mercato mettono in ginocchio la nostra industria tessile nazionale che sarà costretta a chiudere e a licenziare i suoi operai. Si invoca dunque a gran voce, da destra e da sinistra, di bloccare questi flussi per proteggere il prodotto italiano. Il protezionismo può essere adottato, ma con molta cautela, perché è una medicina che spesso crea più danni che vantaggi. E’ un’arma a doppio taglio, che può provocare ritorsioni pericolose. La Cina è attualmente il volano dell’economia mondiale: non è solo una grande esportatrice, ma anche una grande importatrice: per esempio, proprio le macchine tessili con le quali hanno impiantato un’industria capace ormai di coprire il fabbisogno planetario le hanno acquistate da noi, mentre il treno navetta a levitazione magnetica che collega il centro di Shanghai con l’aeroporto alla velocità di 220 km/h glielo hanno fornito ditte tedesche. Pensiamoci bene, prima di ergere barriere doganali su qualunque oggetto di provenienza cinese e teniamo comunque conto che se alcuni lavoratori italiani del comparto tessile sono danneggiati dalla concorrenza cinese, molti altri apprezzano di poter pagare 15 euro una camicia cinese non potendo permettersi di spenderne quaranta per acquistarne una italiana…e domani dalla Cina arriveranno -se arriveranno- non solo le camicie, ma anche le automobili! Negli anni 50 mio padre avrebbe desiderato la mitica Citroen traction avant ma doveva accontentarsi della 1100 fiat perché quella passava il convento e negli anni settanta le auto giapponesi erano “contingentate” sempre per desiderio di sua maestà fiat, liberista all’interno e protezionista verso l’esterno, sarà così anche per le auto cinesi (suv e utilitarie) che costano circa la metà? Il protezionismo è di destra o di sinistra? Non lo so e non mi interessa, so solo che, ad eccezione forse del comparto agro alimentare, andrebbe applicato col contagocce
Cosa apprezzo: " La sovranità è quanto dichiarato nella Costituzione della nostra Repubblica" che per noi italiani vorrebbe dire
«L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.»
o
" L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; "
Io lascerei stare i termini di "destra" e "sinistra" perché ognuno li interpreta in modo proprio. Così come ognuno interpreta in modo proprio le categorie " comunitarismo" e " individualismo". Quindi se proprio la parola sovranismo si vuole usare la distinzione da fare sarebbe tra quello " patriottico ( antimperialista ) " e quello " nazionalistico ( imperialista ) ". Nel momento in cui è evidente che ARS si rifà alla Costituzione non occorre parlare di destra e sinistra per capire in quale ottica ci poniamo.
Cosa non mi piace: va bene dire che il mondo non può pendere da un missile NATO ma non deve nemmeno dipendere da un missile francese. Certo, qualcuno scriveva che eliminare l' imperialismo è utopia… forse, chi lo sa, ma questa associazione non si pone certo l' obbiettivo di definire la politica estera di tutti i paesi del mondo, bensì quella italiana e per quanto riguarda in merito la nostra Costituzione parla chiaro, anche se non è fregato quasi mai alla nostra classe dirigente.
Sono in linea di massima d' accordo con quanto dice Gian Marco nel primo commento aggiungendo due cose:
– va bene la crisi dell' economia è reale ma l' euro per paesi come l' Italia è stato sicuramente un elemento che ha aggravato la crisi
– va bene che non si può certo sparare coi cannoni alle barche che si avvicinano al nostro paese ma un minimo di governo del processo ci vuole. E' chiaro che finché puoi li accogli… è anche chiaro che se si presentano all' improvviso un milione di stranieri ( scusa, lo so che l' esempio è cretino ma è per capirci ) qualche dubbio sulle possibilità di accoglienza te lo poni no?
Trovo interessante il commento qui sopra postato da Luciano Pietropaolo.
Una parola di cui molti policanti si riempono la bocca è "crescita" e io mi chiedo di che razza di crescita vadano blaterando. Non sono in grado di stabilire quante risorse energetiche vengano utilizzate per piacere di pochi, quante vadano perse per mantenere ai ceppi il terzo modo a scopo di rapina, e quante effettivamente impieghiano noi complici del nord del mondo. Se venissero meno gli sprechi per le guerre coloniali e i previlegi delle elitte dominanti, certamente quelle energie potrebbero essere impiegate per il benessere di molti… ma siamo così sicuri che una volta fatto questo potremmo vivere come abbiamo vissuto negli anni 70-80-90? Il malcontento dei cittadini dell'eurozona è principalmente un malcontento generato da impoverimento, questo è il bacino di voti da cui attingono i movimenti antieuropeisti (Le Pen compresa), altro che orgoglio nazionalista.
L'immigrazione da che è generata se non da povertà, guerra e mancanza di libertà? Non ci sarà qualcuno qui dentro che pensa che dalla Nigeria arrivino perchè sono cattivi o per "inquinare la razza" (giuro che ho sentito pure questo!).
Fino a che sentirò politicanti che parlano di crescita non potrò prenderli sul serio. Si può parlare di crescita culturale e di utilizzo responsabile delle risorse, si può parlare del risparmio che deriverebbe dall' eliminazione delle spese belliche e da un limite sensato all'arricchimento privato. La tecnologia verrebbe in aiuto quindi si potrebbe addiritura parlare di quante ore/anni di lavoro sono necessarie… ma a meno che non si voglia percorrere la strada della politica estera di Francia, Inghilterra, Usa, Israele ecc., non si può pensare a una nazione sovrana che ripudia la guerra, etica e allo stesso tempo schifosamente ricca secondo i canoni e criteri importatici dagli americani. Le omissioni dei politicanti mestieranti cantastorie su questo punto sono oltremodo sospette.
"…I Trattati europei non c’entrano niente con la globalizzazione, con l’entrata della Cina nel WTO ecc. I primi sono stati un atto politico con fondamenti ideologici rigidamente liberali al servizio di una elite economica e finanziaria transnazionale e soltanto adesso stiamo aprendo gli occhi su ciò ( io stesso fino a quindici anni fa ero un tiepido europeista).
La seconda cosa (globalizzazione ecc.) è una sorta di bradisismo geoeconomico, sostanzialmente apolitico che nessuno ha mai progettato a tavolino…"
Come si puo' affermare cio'?Questa e' un affermazione arbitraria quando tutti sanno che e' in corso da decenni una rivolta delle elites che ha come scopo la distruzione del benessere in europa e non solo,sotto il giogo del debito economico per imporre proprio quel "mondialismo" del quale parla la Le Pen e che a questo punto mi pare tragicamente sottovalutato da molti commentatori di sinistra…
Ma ragioniamo sulla Storia recente come si è concretamente sviluppata, invece di farci morsicare dalla tarantola ! Le fantomatiche "elites" contro le quali la "destra" alza i suoi lai sono al vertice di una piramide, ma poggiano solidamente sugli strati sociali immediatamente sottostanti, che ne condividono interessi e ideologie, sia pure da subordinati. Lo strangolamento della Grecia da parte delle “elites internazionali” (teneramente coccolate da BCE e FMI) non sarebbe possibile senza la complicità della borghesia subdominante ellenica, che ha imboscato circa 600 miliardi di euro nelle banche svizzere, cioè quasi il doppio del debito pubblico della Grecia e questa borghesia non è una “elite”: sono i possidenti, piccoli medi e grandi che costituiscono, in Grecia come ovunque, il tessuto sociale connettivo del sistema. Ma la Destra è cieca e feticista e preferisce, se in buona fede, inventarsi i complotti vampireschi delle “elites” contro i “popoli europei” senza prendere atto della realtà e della Storia. La storia per es. ci dice che la Cina fino al 1840 aveva il più grande prodotto lordo al mondo, ma non aveva la cultura della guerra, per questo dovette soggiacere ai predatori anglosassoni per circa un secolo. Non c’è da stupirsi che oggi si ripresenti come un gigante sulla scena internazionale, spostando a est il baricentro del mondo. Contemporaneamente, all’offensiva economica e commerciale da Oriente si contrappone, da quando è scomparso il campo socialista, l’offensiva militare dell’Occidente imperialista (USA + subdominanti europei): si profila uno scontro titanico e noi che facciamo? Ci guardiamo l’ombelico?
In risposta a Lorenzo:
Il fatto che il Front national abbia tra i suoi progetti l'espulsione degli immigrati non bianchi e l'assimilazione di quelli bianchi è semplicemente abietto e non fa che conferamre il carattere reazionario ed antiuniversalista di tale forza politica, come dal nostro articolo emergeva già.
La distinzione razziale e di provenienza è una vera e propria aberrazione.
Premetto che la soluzione del problema, di fondo, passa necessariamente per uno stravolgimento degli equilibri imperialistici dovuto a vere e proprie rivoluzioni sociali di "sganciamento" che dovrebbero avvenire nei paesi sfruttati ed economicamente colonizzati. E' chiaro però che, nel mentre, essendo il tempo delle rivoluzioni sociali su scala globale imprevedibile non si può ignorare, in primis in termini di visualizzazione etico-politica della questione, il problema posto dai flussi migratori di massa.
Al riguardo il punto che si sottolineava, nel contesto di un cambiamento politico radicale in senso antimperialistico e anticapitalistico, era semplicemente la possibilità di ogni Stato di stabilire un controllo sulle proprie frontiere regolando, per forza di cose, l'immigrazione nel proprio territorio, non più per i fini del capitale, ma per fini politici a base solidaristica. Questa affermazione peraltro implica tre cose fondamentali
1- esclude l'espulsione di chi già regolarmente vive e lavoro nel territorio e vi risiede
2- esclude l'espulsione di chi, anche irregolarmente, di fatto è ormai stanziato nel proprio territorio (e la cosa sia in qualche misura dimostrabile). Il controllo non può essere retroattivo. Se si vuole dare inizio ad una politica migratoria di rallentamento degli ingressi lo si fa dal momento in cui lo si annuncia. Farlo retroattivamente creerebbe allo stato attuale una vera e propria odissea umanitaria e caccia al clandestino che avrebbe effetti pratici e morali totalmente negativi. Dal momento "x" in cui si annuncia una politica migratoria di ingressi seriamente controllati, contemporaneamente bisogna accelerare le pratiche per regolarizzare con pieni diritti tutti coloro che vivono e-o risiedono nel proprio territorio
3- Una politica di maggior controllo degli ingressi (posto che venga realizzata a seguito di una trasformazione politica in senso antimperialistico) non può e non deve avere tra le sue motivazioni ragioni di tipo "discriminatorio e razziale", ma esclusivamente la considerazione di tre aspetti:
a) la priorità assoluta di aiutare le persone che migrano per ragioni economiche nel paese in cui sono nate, poiché, salvo il caso di immigrazie per asilo politico, non è giusto e logico aiutare soltanto chi bussa alla propria porta e non chi, magari perché meno capace e meno intraprendente, nemmeno arriva a bussare alla nostra porta e resta dove sta nella propria miseria. Politiche internazionaliste di solidarietà e cooperazione sono molto più universali delle politiche di accoglienza libera (che è per sua nautra selettiva. Migra chi ce la fa, chi non ce la fa resta a casa, un terribile principio darwinista che le politiche migratorie liberali naturalmente appoggiano e assecondano).
b) gli equilibri demografici del proprio paese
c) gli equilibri culturali del proprio paese
Ma il punto fondamentale è il punto a)!
Per quanto riguarda infine le migrazioni naturali e non socio-economiche, esse sono sempre esistite e non dipendono dalle disuguaglianze mondiali capitalistiche. Pertanto esse, per dimensione del fenomeno e per le sue cause, non causano alcun problema politico particolare. Mi riferisco alle immigrazioni da ricongiungimento, per motivi di studio, per scambi culturali o infine alle migrazioni individuali saltuarie derivanti da libere scelte (non è però certo questa la questione migratoria odierna).
Lorenzo Dorato
@ Lorenzo Dorato
La tua risposta era prevedibile; la mia voleva essere una provocazione senza malizia per farti esprimere in modo un po’ più chiaro il tuo pensiero.
Credo che ci siamo arrivati: in sostanza tu vedi il sovranismo come una via alternativa per realizzare la tua utopia della solidarietà universale fra gli esseri umani. Siccome la UE è irrimediabilmente liberista ed “imperialista” (chi non lo è?), toccherà al risorto stato nazionale annichilirsi nel servigio reso agli ultimi della terra: “la priorità assoluta è di aiutare le persone che migrano”.
Non te la prendere se dico che sono fantasie politicamente regressive. Siamo qui a constatare il tracollo del nostro benessere, il profilarsi di nuovi conflitti mondiali, la trasformazione delle nostre impareggiabili città, ricche quanto mai di arte e storia, in ghetti da terzo mondo, la gente (ridotta a un ammasso di consumatori senza testa e senza palle) comincia ad avere paura… e la priorità non è trovare un modo per difenderci dalla marea montante, ma reiterare la giaculatoria predicata dal giudeo di Nazareth prima e da quello di Treviri poi.
Sono posizioni che non hanno alcunché da dire alla gente, al nostro tempo, alla situazione in cui ci troviamo. Leggendo il tuo intervento si capisce benissimo perché sono le destre ha trovare un seguito. Non te lo dico con malanimo: siete fuori del mondo.
Pur senza aderire alle posizioni di Lorenzo in materia di stranieri – che ho già più volte contestato, anche in precedenti commenti – trovo anche io che la formula "la priorità assoluta è di aiutare le persone che migrano" sia completamente inaccettabile, almeno sul piano politico.
La priorità assoluta, se vogliamo guardare alle cose importanti e non materiali, è cacciare le automobili dalle nostre città; restituire gli spazi pubblici e gli incolti campi privati ai nostri figli; tornare ad una scuola e a una università giustamente severe, che formino e non informino, se non nello stretto necessario; ripulire i nostri fiumi, i nostri laghi e i nostri canali e tutte le acque pubbliche nelle quali tornare a bagnarci; redistribuire ricchezza a favore del lavoro a discapito delle rendite e dei profitti del grande capitale; controllare, programmare e dirigere l'attività economica; liberare i cittadini italiani dalla pubblicità; ridurre drasticamente il credito al consumo; ricostituire un esercito popolare, con leva obbligatoria (alternativa al servizio civile obbligatorio), composto da pochissimi e selezionati professionisti, capace di combattere per trenta anni una guerra di resistenza in caso di aggressione di un esercito imperialista straniero; e così via.
Tutto questo è duemilamiliardi di volte più importante che aiutare le persone che emigrano. Un conto è non essere razzisti, che è un dovere irrinunciabile, un conto è sposare l'universalismo dirittoumanista buonista. Certe asserzioni dovremmo lasciarle alla chiesa cattolica
Ma credete veramente che serva a qualcosa?
Voglio dire, nonostante programmi di sub-oligarchi politici perfettamente inseriti nel sistema che evocano sovranità monetaria, nazionalizzazioni e barriere doganali (protezione delle industrie nazionali) – destinati ad essere regolarmente disattesi – l'unica cosa che conta veramente sono le politiche veicolate da UEM/ BCE/ FMI e i soliti noti, dietro i quali sta l'Aristocrazia globale.
Dentro questo sistema non si potrà concludere nulla, e questo lo sanno bene le varie Marine Le Pen che si vendono per ragioni elettorali come "alternative" al neoliberismo.
Ciò che conta, per i piccoli sub-oligarchi politici nazionali sono il marketing elettorale e i quozienti spuntati, mentre le linee politico-strategiche arrivano dall'altrove …
L'unica soluzione sarebbe la Rivoluzione violenta (ripeto, con abbondate uso di violenza), ma purtroppo non solo non ci sono le condizioni, ma neppure c'è traccia di forze rivoluzionarie, mentre abbondano sempre di più le masse-pauper impoverite, precarizzate e idiotizzate.
Tutto il resto è inefficace, o truffaldino.
Ho detto, da semplice lettore di blog e blogger quale sono
Eugenio Orso
Senti, Lorenzo, non puoi continuare a darti arie da pragmatico se ancora non hai risposto alle mie domande su COME fermare il flusso migratorio. Ti arriva una barca a Lampedusa, che fai? Rovesci il barcone? Li riaccompagni in patria (con sprechi continui di carburante, e senza parlare del fatto che nella maggior parte dei casi non si sa realmente da dove vengono)? Li rinchiudi in qualche gabbia, o qualche camera a gas? Chi è a favore del respingimento deve anche avere un'idea del modo in cui farlo, altrimenti fa discorsi utopici anche lui.
Altra domanda, visto che non ragioni in un'ottica di rovesciamento (o almeno riequilibramento) dei rapporti di forza internazionali, perché vuoi uscire dalla Nato? Io preferirei starmene con quello che è ancora (e di gran lunga) il pesce più forte, e, coerente con la tua ottica della guerra tutti contro tutti, sarei anche a favore di eventuali nuove guerre di conquista (l'unico modo per mantenere il nostro dominio del mondo è distruggere stati come l'Iraq di Saddam o l'Iran di Ahmadinejad e del fatto che sia morale sinceramente ce ne possiamo infischiare no?). La Libia forse c'è andata male (come interessi specificatamenti italiani), ma in prospettiva futura preferisco stare sotto l'ombrello della più potente corazzata militare, piuttosto che arrischiarmi da solo o allearmi con la Grecia e la Spagna.
Ribadisco: questa storia che non si può essere " antimperialisti" perché " chi è che non è imperialista" non mi trova d' accordo. Più che difendere il benessere, dobbiamo difendere i diritti ( e tra questi c'è sicuramente una parte di benessere dovuto ) … sennò facciamo come gli USA che per difendere il loro benessere fanno, appunto, gli imperialisti ( con la scusa dei diritti umani )
Ventura,
sono d'accordo con te, anche se le cose, a mio avviso, sono un po' complesse.
Da alcuni si sostiene che uno stato si proietta, quasi naturalmente, all'esterno. La tesi fascista di Gentile e Mussolini era che il nazionalismo è (non deve essere ma è) imperialista.
Ora, noi distinguiamo tra patriottismo e imperialismo. Invece, altri ci vuole convincere che questa distinzione non reggerebbe; con la conseguenza che l'imperialismo, come proiezione di potenza dello Stato al di fuori dei propri confini, sarebbe un carattere generale, che emerge man mano che uno Stato è non soltanto sovrano ma indipendente o orientato all'indipendenza.
Questa tesi, che pretende di essere realista, prova troppo, perché unifica realtà ed esperienze differenti.
Io credo che una tendenza quasi spontanea e naturale vi sia. Nelle trattative private, noi persone fisiche facciamo valere il potere che abbiamo, se lo abbiamo. Approfittiamo della debolezza di chi ha urgenza di acquistare un bene che abbiamo solo noi; sfruttiamo la nostra affidabilità per ottenere la riduzione del canone di locazione; pretendiamo sconti e ribasso di prezzi e salari, quando possiamo agevolmente dire: vado da un altro.
E' difficile negare che nei rapporti tra stati, lo stato più potente non faccia valere la sua forza. Non ho letto il trattato che avevamo stipulato con la Libia. So però che esso prevedeva, per esempio, che centinaia di studenti libici venissero in Italia a studiare l'Italiano. Noi promettevamo la pace, cosa che avrebbe teoricamente reso più difficile l'aggressione e quindi in cambio di "niente" (ma evidentemente per la Libia non si trattava di niente) ottenevamo beni e possibilità di investimenti. Qualcuno ha scritto che si trattava di un trattato imperialista. In linea di principio, pur non avendolo letto, tenderei ad escludere che la qualifica sia esatta. Il fatto che nel diritto internazionale uno stato che tratta con un altro faccia valere la propria maggior forza e magari approfitti (non era il caso della Libia) della corruzione e della stupidità della classe dirigente del paese povero (pur senza arrivare a scambiare oro per alcool o specchi) – la Germania, in fondo, lo ha fatto con la nostra classe dirigente imponendoci Maastricht e Euro- va a mio avviso considerato un fatto normale, ad una considerazione realistica, che è l'unica accettabile, e non moralistica.
Tuttavia, da qua a sostenere che debba svilupparsi necessariamente una volontà di dominio ce ne passa.
Devo però dire che dinanzi alla volontà di potenza (di membri di un consiglio di amministrazione; di un organo direttivo di un ente sportivo; di membri di un dipartimento "scientifico") o ci si disinteressa, o si attua una strategia di resistenza, o si sceglie di agire per la distruzione del nemico. Insomma, la volontà di potenza nei confronti dello stato imperialista e il desiderio di distruzione di quest'ultimo sono una delle possibili strategie di chi vorrebbe vivere pacificamente.
Scusate, ma cosa fate, prendete le mie parole e le rigirate per altri fini??
"la priorità assoluta di aiutare le persone che migrano per ragioni economiche nel paese in cui sono nate".
Questa frase che sia Lorenzo che Stefano hanno citato del mio discorso è stata presa, estrapolata e commentata fuori contesto, togliendo tra l'altro l'ultimo pezzo "nel paese in cui sono nate".
Mi sembra evidente che non volevo intendere che questa sia la priorità assoluta di un governo di uno Stato, poiché il discorso era relativo all'immigrazione e non alle politiche in generale d'ogni tipo.
Ci che volevo dire è semplicemente questo: internamente al problema migratorio la solidarietà internazionalistica e la deimperializzazione è preferibile all'accoglienza tout court proposta da molta sinistra. Ovvero bisogna rovesciare il discorso mostrando che non esiste alcun diritto assoluto o naturale alla migrazione, ma che invece esiste un diritto naturale a vivere bene dove si nasce e che esiste, parallelamente un diritto degli Stati al controllo delle proprie frontiere. Era questo e solo questo l'asse di ragionamento. Poi su come tale esercizio sovrano di controllo delle frontiere possa essere esercitato e su quali criteri ho detto la mia. Ma il succo del ragionamento sta nei punti di principio che ho ampiamente argomentato.
Non capisco, quindi, né la risposta di Lorenzo, né tanto meno quella di Stefano che mi sembrano il frutto più che di un ragionamento di un riflesso involontario di tipo reattivo ad un discorso che non si è ben compreso. Detto senza polemica, sia chiaro!
Lorenzo Dorato
Rispondo alle tre domande di Gian Marco.
1) Le Pen non opera una critica del capitalismo, ma una critica del capitalismo malato, cioè globalizzato e finanziarizzato. Si tratta di riportarlo in salute distruggendo la globalizzazione: tornando al modello che ha dominato fino agli anni settanta-ottanta. La lotta alla UE è lotta alla forma locale di concrezione del mostro. Tale ricetta coincide ampiamente colla posizione di ARS, coll’eccezione che Le Pen, più coerente, comprende in questo programma la distruzione della società multirazziale, su cui Stefano preferisce glissare per evidenti motivi di unità ed opportunità.
In questo senso gli Stati Uniti debbono quanto noi riconquistare la sovranità. Della quale sono stati privati quanto noi dalla dittatura della finanza internazionale. Come qui vi sono state applicate le disastrose ricette liberiste fuori da ogni mandato da parte della popolazione. Come qui l’apparato industriale è stato delocalizzato, come qui si è verificata l’invasione di orde di disperati destinate ad ingrossare l’esercito industriale di riserva e trasformare le città in ghetti da terzo mondo, come qui la democrazia si è trasformata in pura farsa mediatica tra fazioni politiche ugualmente asservite ai poteri forti. Il popolo statunitense è asservito quanto lo siamo noi, e il nemico è lo stesso.
2) Bloccare l’immigrazione non è un problema: basta affondare le barche a cannonate e giustiziare i clandestini. Che c’entra il fatto che non abbiano colpa della loro miseria col fatto che noi li sopprimiamo per garantire il nostro benessere?
Di fatto il problema è ancora più semplice. Basta chiedersi come mai, fino agli anni Novanta, il problema non si è mai posto. La risposta è che a nessun senegalese o marocchino passava per la mente di emigrare in un Paese straniero di cui ignorava la lingua, la legge, i costumi, fin tanto che le società occidentali hanno mantenuto una loro coesione politica, etica e sociale, ed avrebbero quindi escluso a priori il corpo estraneo. Nella città in cui vivevo io da ragazzo, se un negro o un arabo fossero andati in giro a cercare lavoro, nessuno avrebbe pensato lontanamente di impiegarli. E se qualcuno lo avesse fatto il datore di lavoro si sarebbe ben presto visto arrivare la polizia in negozio o in azienda per controllare i documenti di soggiorno del soggetto ed applicare le sanzioni previste in caso di irregolarità.
L’idea dell’inevitabilità dell’invasione extracomunitaria è un mito liberista diffuso dai media di regime. La sottocultura liberale è sempre stata portata a sdoganare i propri pregiudizi ordinativi come alcunché di ‘naturale’, fin dai tempi di Locke e Adam Smith: ‘naturale’ è la proprietà privata, naturale la sua trasmissione per via ereditaria, naturali i rapporti di mercato, naturali i rapporti di lavoro e subordinazione che ne scaturiscono. Da 30 anni naturale è diventatata anche la mobilità illimitata della forza-lavoro.
In realtà nulla di tutto ciò è naturale, ma frutto di rapporti di dominio: la mobilità selvaggia dei capitali è stata accuratamente preparata nell’arco di 20 anni di deregulation sotto l’egida delle organizzazioni internazionali controllate dall’alta finanza. Allo stesso modo l’invasione migratoria è stata sistematicamente favorita impedendo agli organi di polizia di applicare le leggi (si pensi agli ambulanti) e il diritto sindacale vigente, organizzando il martellamento mediatico del pregiudizio antirazzista, diffondendo in ogni modo l’idea della positività e dell’inevitabilità di ciò che andava accadendo, promuovendo la cognizione di questo stato di cose nei Paesi del terzo mondo.
Una volta ripristinata una società coesa, che si guarda dai corpi estranei, ed in cui siano previste e rigorosamente applicate sanzioni per il lavoro in nero, il problema cesserà rapidamente di esistere.
Permettimi infine di definire fuori dal mondo la tua fantasia secondo cui sarebbe possibile “fornire lavoro e condizioni decenti a tutti, anche dovessero arrivare a milioni dall’Africa”. E’ un gioco di parole buono a quadrare il cerchio dei tuoi pregiudizi umanitari; fai prima a sperare nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. Da una parte parlate di esurimento delle risorse naturali, di decrescita ecc., dall’altra basta sovranizzare per creare benessere per tutti indistintamente, per gli italiani sempre più disperati e per i milioni di negri in arrivo. Io pensavo che il sovranismo fosse una dottrina politica, adesso scopro che è la panacea universale.
3) La realtà dei rapporti di forza in ambito internazionale è connaturata all’essere umano e non è superabile. Il vostro collegamento dell’imperialismo al capitalismo è fuori luogo. Il fine di Le Pen, qui come negli altri campi, è quello di riportare la situazione a come era prima dello Washington consensus. Per un movimento sovranista non mi sembra poco. L’alleanza cogli USA va denunciata non perché questi siano una potenza imperiale, ma perché il loro predominio ci va stritolando sotto il profilo economico, culturale ed antropologico.
Il sovranismo deve servire a risollevare le sorti del Paese, non a redimere i libici o i burundesi. Questo è quel che vuole il popolo, questo è che ciò che la vostra metafisica umanista non vi permette di capire, e questo è il motivo per cui i movimenti antisistema trovano consenso a destra.
Lorenzo, continuo a credere che la tua esasperazione del problema degli extracomunitari non corrisponda alla valutazione della enorme maggioranza della popolazione. Non mi capita mai, salvo al bar – e sono sempre le stesse persone, che avevano le tue idee, con riguardo agli zingari, già trenta anni fa – di imbattermi in cittadini che vedono negli extracomunitari il problema maggiore. C'è chi vorrebbe la pista ciclabile, chi vorrebbe colpire mutinazionali e grandi centri commerciali, chi se la prende con la corruzione dei politici, chi vorrebbe una scuola e una educazione familiare di stampo tradizionale o comunque l'abbandono delle mode recenti, chi vorrebbe meno tasse, chi vorrebbe la democrazia diretta, chi vorrebbe accorpare i comuni e ridurre gli sprechi. Insomma tutti si lamentano di tutto ma coloro che si lamentano dei troppi extracomunitari sono pochissimi.
Perciò non è esatto che io "preferisco glissare". Oltre a credere, per le ragioni che ti ho indicato in un precedente post, che il problema economico posto dall'esercito industriale di riserva sia molto secondario e addirittura soltanto eventuale rispetto ad altri, non avverto alcuna angoscia collettiva generata da questo problema. Aggiungo che i rapporti umani che mi è capitato di intrecciare con gli stranieri sono stati sempre eccellenti e ho stimato molti degli stranieri che ho conosciuto: alcuni studenti stranieri della mia università di provincia sono tra i migliori che io abbia avuto e sono il mio orgoglio.
Tanto più che sono convinto che il problema perderà di rilievo man mano che, con la crescita delle economie asiatiche, sud-americane e in parte africane, il fenomeno regredirànaturalmente". Mi preoccupano mille volte di più gli italiani che emigrano.
Stefano,
1) io sono tornato sull'argomento per rispondere alla domanda di Gian Marco.
2) i bar non sono il luogo migliore per definire le dottrine politiche. Può anche darsi che l'assenza di lamentele nei confronti degli immigrati sia una conseguenza del martellamento scolastico, accademico e mediatico in questo senso, che va avanti ininterrottamente da 25 anni. Ci hai pensato?
3) se invece di frequentare i figli delle élites che studiano presso la tua facoltà, e che sarebbero lì anche senza globalizzazione, fossi vissuto in un quartiere-ghetto col vicino di casa che fa dormire 10 persone nell'appartamento, orina per le scale, spaccia dietro l'angolo e ti svaligia la casa se ti assenti due giorni, colle ragazze che hanno paura di andare a scuola e i cumuli di rifiuti per le strade, e la casa in cui hai investito i risparmi di una vita che perde tre quarti del suo valore, avresti forse un altra percezione del fenomeno. La stessa cosa accadrebbe se avessi un figlio disoccupato cronico, che un tempo avrebbe agevolmente trovato lavoro come bracciante e adesso non può fare nemmeno quello perché il bracciantato è monopolizzato dagli extracomunitari a metà del salario che avrebbe dovuto essere corrisposto agli italiani.
E' facile fare l'antirazzista finché si è tra quelli che stanno ancora bene.
Volevo far notare http://www.repubblica.it/esteri/2012/05/09/news/appello_attali_e_altri_per_mercol_mattina-34735625/?ref=HREC1-2 , ormai sono loro che ci faranno uscire , GIULIANO AMATO, JACQUES ATTALI, EMMA BONINO, ROMANO PRODI.
Coloro che ci hanno fatto entrare fisseranno anche il debito di uscita e anche i tassi , W Hollande e W bersani che faranno un uscita concertata , democratica e soprattutto
ci chiederanno ancora più rigore per ripagare gli sforzi della “GRANTE GERMANIA”. A tutti i nostri didietro che saranno marchiati auguro una buona fortuna, mentre mi chiedo se avesse vinto la Le Pen sarebbe cambiato qualcosa.
Simone il disfattista.