Esercizi di vita e di memoria
di GIAMPIERO MARANO (RI Varese)
Lo storico delle civiltà mediterranee Alessandro Vanoli ha appena pubblicato I racconti del ritorno (Feltrinelli, 16 euro, 204 pp.), libro gradevole, prodigo com’è di dettagli e aneddoti, dedicato a un motivo archetipico fra i più importanti (il ritorno, appunto).
I protagonisti di questi dodici “esercizi di vita e di memoria”, come li definisce il sottotitolo, appartengono alle categorie più disparate: eroi del mito (Ulisse), scrittori (Rutilio, Dante, Christine de Pizan), esploratori dell’ignoto (Colombo, Armstrong), pirati e avventurieri (Exquemelin, Casanova), condottieri e statisti (Napoleone, Evita Perón), ma anche gente comune dalle storie personali straordinarie come quella vissuta da Umberto, nonno dell’autore.
Imbarcatosi volontario sulla corazzata Roma, Umberto salpa nell’estate del 1918 alla volta della base italiana di Tientsin, in Cina, dove approda dopo quarantuno giorni di navigazione. Ben presto nel piccolo esercito sbarcato dalla Roma confluiscono le centinaia di connazionali originari dei territori irredenti che, arruolati nell’esercito austriaco e fatti prigionieri dai Russi in Europa, sono stati in seguito liberati e trasferiti in Estremo Oriente.
Ma qual è esattamente lo scopo della missione? Non molti sanno che, allo scoppio della rivoluzione bolscevica, le potenze occidentali, fra cui l’Italia, si affrettano a inviare truppe in Russia a sostegno dei Bianchi. Ed è così che a novembre il corpo di spedizione cui è aggregato Umberto parte (in treno) per il presidio di Krasnojarsk, in Siberia, dove si stabilisce, senza partecipare a operazioni militari di particolare rilievo, per circa un anno. Poi anche questa nuova, breve guerra finisce e il contingente italiano può rimpatriare.
Ma qui, in coda alla narrazione della grande storia, quasi a volerne stemperare la tensione epica, Vanoli introduce a sorpresa un ricordo personale: spesso il nonno gli raccontava di quella volta, che, durante il viaggio di ritorno verso l’Italia, si affacciò al parapetto della nave e vide nelle acque del mar della Cina alcune sirene (e gli sembrò di sentirle anche ridere).
Il filo conduttore che unisce i vari personaggi del libro, così differenti fra loro, è il tema del ritorno, concepito come “qualcosa di fatale e assoluto”. La fatalità e la necessità consistono innanzitutto nella scoperta della circolarità del tempo; in secondo luogo, nell’esperienza della memoria in quanto proiezione sul futuro: “L’oblio è un disastro inimmaginabile: la storia dei popoli e quella di ognuno di noi rischia davvero di assomigliare ai granelli di sabbia bianca che scorrono tra legni e pietre ormai sepolti”.
Ma c’è ancora un aspetto del ritornare a casa che merita di essere evidenziato, ed è quello escatologico-religioso, perché in chiave cristiana il ritorno può essere interpretato “figuralmente” nei termini della restituzione dell’anima immortale alla sua patria celeste dopo l’esilio nella vallis lacrimarum terrena.
“C’è un senso delle cose”, osserva in sostanza Vanoli, “che si coglie solo quando ci voltiamo indietro”: è bene ricordarlo a un’epoca nichilista come la nostra, così poco interessata al passato e ben lontana dal riconoscere un senso delle cose.
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