Le bugie hanno le gambe lunghe
di MAURIZIO COCCO (RI Cagliari)
Il 10 marzo 2020 l’Italia entrava in lockdown, primo Paese occidentale a prendere questa scelta e aprifila per tutti gli altri. Come dichiarato anche dalle autorità britanniche, la scelta italiana creava un precedente e portava nel campo del possibile l’impensabile. Le restrizioni annunciate sarebbero dovute restare in vigore per quindici giorni, poi saremmo tornati ad “abbracciarci più forte di prima”, giusto il tempo di abbassare la curva dei contagi e ridurre il carico sugli ospedali. Ugualmente nel Regno Unito, al motto di “flatten the curve – save the NHS” e via via in tutti i Paesi europei, dentro e fuori l’Unione. I giorni di restrizioni però non sono stati soltanto quindici e neppure diciotto: diciotto sono infatti i mesi che sono passati da quella prima menzogna di Stato.
Non abbiamo più assistito a norme così restrittive come quelle del primo lockdown, ma a continue limitazioni della libertà e dell’esercizio dei propri diritti, dal lavoro per alcune categorie, alla scuola in presenza, alla possibilità di uscire di casa a qualsiasi orario ci aggrada, perfino il diritto di voto è stato congelato a causa del pericolo del contagio (di passaggio, sarà interessante scoprire se con i nuovi contagi si potrà votare alla fine dell’estate, come da tempo stabilito).
Ogni decisione presa non ha mai portato al risultato sperato. Il lockdown non ha abbassato la curva in due settimane, ma ci sono voluti mesi. Le mascherine obbligatorie ovunque non hanno bloccato la seconda ondata. Le misure di sicurezza a scuola non ne hanno impedito la chiusura. I green pass non hanno fermato la variante Delta. Viene in mente un episodio dell’estate 1862, una delle prime battaglie dell’armata della Virginia del Nord (poi nota come battaglia dei sette giorni), comandata da Robert E. Lee dopo che un proiettile aveva messo fuori gioco Joseph E. Johnston. Con Richmond, capitale della confederazione, sotto la pressione degli unionisti, Lee comanda un’offensiva sul fianco destro dell’esercito avversario per costringerlo a lasciare la propria posizione e venire a battaglia in un terreno non protetto. Dopo varie difficoltà l’assalto ha successo a Gaines Mill, ma invece che ottenere il risultato sperato – cioè la battaglia in terreno congeniale – Lee ha di fronte a sé la ritirata ordinata dell’esercito avversario, deve perciò costruire un nuovo piano seduta stante perché quello iniziale è completamente inutilizzabile. Che sarebbe accaduto se Lee avesse perseverato con il suo piano iniziale? Che l’esercito unionista si sarebbe ritirato senza perdite mentre le armate confederate avrebbero combattuto l’aria invece che un nemico. Questo è esattamente quello che stanno facendo il ministro Speranza e le forze di governo da un anno e mezzo: si pongono obiettivi che non riescono a realizzare, ma insistono su quelle scelte a prescindere dai loro risultati.
Restando sul terreno della guerra civile, fortunatamente solo metaforicamente, il generale a capo dei blu, George B. McClellan, “il piccolo Napoleone”, scaricò le colpe della sua sconfitta non sui suoi uomini, ma sui politici che non lo avevano messo in condizione di vincere. Una scusante, se vogliamo, ma molto più onorevole del cadornismo con cui i suoi pari affrontarono la Grande Guerra cinquant’anni dopo. Il cadornismo è invece stata la scelta del governo italiano in tempi di pandemia. Se infatti le strategie non hanno funzionato, se quindici giorni di lockdown non sono bastati, se le mascherine non hanno fatto da scudo, se le restrizioni non hanno bloccato le varianti, non poteva essere imputato alla fallibilità delle scelte stesse, ma a chi, con i suoi comportamenti irresponsabili, sacrificava gli sforzi degli altri. Una sola mascherina abbassata rendeva questi vani, così come un podista a Catanzaro mandava in terapia intensiva un anziano a Verona.
Il capro espiatorio è stato fondamentale nell’alimentare ogni menzogna di Stato: ciò che facciamo noi andrebbe benissimo, se non ci foste voi. Oggi, sull’esempio francese, siamo arrivati al punto in cui sono i non vaccinati i responsabili della nuova ondata di contagi. Ecco quindi arrivare l’idea dell’apartheid sanitario: escludere dalla “socialità” chi non è stato immunizzato, perché altrimenti bisogna nuovamente escludere tutti. Materialmente si crea un grande problema. Se chi non è vaccinato non può andare in ristorante perché pericoloso, allora non può andare neanche a lavoro. Che si fa? Uno sportellista di banca o delle Poste non vaccinato deve essere licenziato? E come la mettiamo per gli studenti? Mentre il discorso dello sportellista si può applicare anche a un professore, gli studenti non vaccinati che quindi sono pericolosi per gli altri, devono restare a casa? Privati di un diritto costituzionale? E attenzione che fra questi ci saranno anche quelli che, pur volendosi vaccinare, non avranno fatto in tempo a ricevere la loro doppia dose.
Ulteriore ordine del problema è quello della convivenza con i non vaccinati. La logica alla base di un green pass che decide chi può entrare in un bar e chi no è che anche chi è vaccinato è messo in pericolo da chi non è vaccinato. In uno stesso nucleo familiare però convivono persone vaccinate e persone non vaccinate: se queste due categorie vanno separate in ristorante per paura del contagio, a maggior ragione vanno separate a casa, dove stanno molto più vicine e per molto più tempo. Altrimenti bisognerà dare il green pass alle sole famiglie completamente vaccinate. E come si fa con chi ha figli minori di dodici anni che, rebus sic stantibus, non possono essere vaccinati? La conclusione logica di questo discorso è la creazione di appositi campi di concentramento per non vaccinati, così che siano davvero separati dalla popolazione vaccinata e non vanifichino lo sforzo collettivo. Dite che è un po’ troppo? Ma anche l’apartheid sanitario è un provvedimento che nega tutta l’impalcatura dei nostri valori e del nostro diritto, ma pare giustificabile di fronte all’emergenza. Se per uscire dall’emergenza vale tutto, allora devono valere anche provvedimenti come quelli dei campi di concentramento.
Poniamo invece che tutta la popolazione collabori e il 100% della popolazione venga vaccinata. I dati di Israele ci dicono che il vaccino ha un’efficacia del 70%: significa che anche se si vaccinassero tutti, comunque il virus continuerebbe a circolare. Quindi comunque il 30% sarebbe a rischio e quindi comunque fra quel 30% (20 milioni di persone circa) il virus potrebbe girare liberamente e creare nuove varianti. Come d’altra parte fa nel resto del mondo, salvo non si pensi di vaccinare davvero 7 miliardi di persone, pure in Paesi in cui non si sa quante persone davvero ci vivano e dov’è impossibile mantenere intatta la catena del freddo. In qualche zona del mondo si svilupperà una nuova variante e, come tutte le altre, si diffonderà nel resto del pianeta. Raggiunto anche questo obiettivo, della totalità della popolazione italiana vaccinata, chi verrà accusato di vanificare lo sforzo collettivo? Resta un dato di fatto: l’idea che il green pass e l’apartheid sanitario siano risolutivi è, oltre che un provvedimento incostituzionale e liberticida, l’ennesima menzogna di Stato. Quante ancora dobbiamo sentirne prima di smettere di crederci?
fonte: ionoblog.com
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