L’involuzione dello Stato
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
Da circa un quarto di secolo una massiccia e progressiva occupazione del potere da parte di potentati privati sovranazionali modifica e stravolge la natura giuridica dello stato moderno, che da stato di diritto sembra retrocedere a stato patrimoniale. Impostasi la globalizzazione e sviluppatasi la tecnologia digitale, lo Stato di diritto, che si basa sull’attività legislativa, la divisione dei poteri e sulla prevalenza di una Costituzione, ha perso progressivamente terreno. Da una parte, le modifiche costituzionali sono state ispirate al principio dello stato minimo dell’ideologia liberale, dall’altra le norme costituzionali, scampate allo stravolgimento e alla manomissione liberista, non vengono concretamente applicate dai quisling perché posposte, nella gerarchia delle fonti, alle norme dei trattati europei.
La nostra Corte Costituzionale, interpretando troppo estensivamente l’art. 11 Cost., ha sancito la superiorità dei trattati rispetto al diritto interno: pronunciamento che le corti di altri paesi, Germania in testa, si son ben guardate dall’adottare.
In convergenza parallela ai giudici s’è mosso un ceto politico che, educato dalla storia e dalla tradizione di casa al trasformismo, non ha sentito scrupoli di dignità e di coerenza ad attraversare tutti gli schieramenti dall’uno all’altro polo, per riconoscersi infine uniformato e appiattito tutto sull’ideologia liberale: è stata ed è ancora questa compagine la più idonea a recepire e applicare servilmente come tavole della legge, non solo gli ordini della commissione europea, ma anche semplici accordi dettati dalle organizzazioni internazionali per il commercio o per la finanza. Magistrati, politici, accademici, intellettuali, opinionisti e telesalottieri, tutto un esercito di attendenti alla consegna del potere in mani private, sono stati allevati e “pasciuti” nel clima della rivoluzione politica economica e tecnologica che, dalla fine degli anni 80 del secolo scorso, ha distrutto le vecchie categorie culturali e giuridiche del diritto pubblico.
Oggi un’oligarchia economica e finanziaria, intenzionalmente apolide o cosmopolita, che si fa legge con la forza del denaro e della tecnologia, si è sostituita allo Stato di diritto, invalidando le antiche definizioni della scienza giuridica e, con una modalità nuova nella storia, esercita un potere reale sganciato dall’idea di Stato, indifferente al territorio, estraneo o ostile al popolo. Consegnare la struttura del potere statale in mani private comporta non tanto l’eliminazione dello Stato come ultima e unica istituzione a difesa della comunità dei cittadini e dell’interesse generale, quanto la sua metamorfosi: lo Stato di diritto retrocede storicamente e politicamente a Stato patrimoniale di assolutista memoria.
In sostanza, con l’incalzante privatizzazione del potere, si sta tornando all’Etat c’est moi, allo Stato patrimoniale nel quale il sovrano è padrone di tutto, il suo patrimonio non è distinto da quello dello Stato e i poteri pubblici rientrano nella sua disponibilità. Oggi il potere privato globale dispone dello Stato e delle sue istituzioni come sua proprietà: parlamento, magistratura, burocrazia, scuola, esattoria, tutto è trasformato in “agenzia” per rastrellare tributi a copertura di un debito ideologico, per imporre lavori precari fintamente contrattati, per educare alla dottrina liberale presunta eterna, per mantenere l’ordine pubblico non a fini di convivenza civile ma a tutela della tranquillità dei mercati.
A conferma della progressiva riduzione della dimensione del settore pubblico si impone la cosiddetta governance, il modello che ha l’obiettivo di massimizzare il ricorso al settore privato e minimizzare l’attività di quello pubblico. Il primato dei mercati, la presunta trasparenza, la flessibilità dei contratti, le logiche competitive, il «quasi mercato» nel pubblico sono tutte modifiche legate alla globalizzazione che, di fatto, si traducono in incoraggiamento a ridurre l’intervento e la spesa pubblica. La governance, trasferita irrealisticamente nell’ambito pubblico come se la relazione fornitore/consumatore fosse uguale a quella amministrazione pubblica/cittadino, assicura il condizionamento del privato sul pubblico, assottiglia deliberatamente l’amministrazione intesa a perseguire fini di interesse generale e antepone a esso il soddisfacimento di avidità e accaparramenti finanziari e produttivi.
Come i sovrani assoluti del passato, le dirigenze monetarie private sono legibus soluti, possono imporre la loro moneta unica, strumento di dominio, attraverso una Banca Centrale Privata, indipendente, le cui decisioni gli Stati non possono né valutare né interdire. Inoltre, esplicite norme di diritto internazionale garantiscono l’extraterritorialità alle sedi e alle dirigenze del loro sistema interbancario internazionale, autorità monetarie irresponsabili davanti alle leggi degli Stati.
Non minore immunità godono i mercati. Trattati internazionali, tenuti in sospeso ma pronti per essere approvati in momenti politici più opportuni, prevedono tribunali privati, emanazione diretta di cartelli sovranazionali, con poteri coercitivi e punitivi sugli Stati insofferenti al sistema di potere del commercio e del mercato globale. Banche centrali e tribunali internazionali marciano di pari passo con le agenzie di rating, private compagnie di ventura della stessa cupola finanziaria, che con la pagella agli Stati ne decretano l’affidabilità sui mercati e minacciano il loro possibile fallimento: con ovvia coerenza ideologica del resto, non essendo più gli Stati titolari né di potestas né di auctoritas, ma attori economici come gli altri. O peggio degli altri perché, non potendo inseguire logiche di profitto e finanziariamente più deboli, devono sottostare al ricatto dei tassi sui prestiti da parte delle alta e privata finanza. Se i centri del vero potere decisionale sono in mano ai gruppi privati proprietari di tecnologie, di piattaforme sociali, di monopoli di commercio telematico, cartelli a cui gli stati non riescono a imporre neanche il pagamento delle tasse, lo Stato non è più “di diritto”, ma oscilla tra stato di polizia per i cittadini e stato patrimoniale per le oligarchie.
Scavalcato lo Stato di diritto, la nuova struttura sociale assicura un’immensa rete di potere privato sovra territoriale alle oligarchie, che si dispongono a esercitare il potere oltre che di fatto anche di diritto, elaborando leggi nei loro uffici/studi privati insediati a decine presso le sedi istituzionali europee. Queste leggi, frutto di accordi tra élite private, sono “girate” da membri anonimi della commissione comunitaria ai governi e ai parlamenti nazionali sotto forma di regolamenti, direttive e raccomandazioni, a cui siamo obbligati a ubbidire come se fossero leggi del nostro Stato e non invece scritte oltre confine e in private sedi.
Dentro questa prospettiva, allo Stato, ridotto in sostanza ad un’amministrazione periferica consegnataria di circolari applicative e a un sistema di polizia, resta una forza coattiva residuale che impiega per conto del potere privato che lo sovrasta a tutela di un ordine pubblico a vantaggio dei patrimoni finanziari e della speculazione diversamente chiamata ‘mercati’. Lo Stato è “loro”, e la composizione dei governi imposti negli ultimi sette anni lo palesa con solare evidenza, fitta come è di funzionari e consulenti, in ruolo di ministri, “distaccati” e inviati da banche e società finanziarie nazionali ed estere all’occupazione diretta dei dicasteri.
Dinanzi al potere sorto dalla privatizzazione globale s’incrina il principio insegnato dal Diritto secondo cui gli elementi costitutivi dello Stato sono popolo, territorio, sovranità: entità che oggi vagano quasi parvenze di Stato che ha perso la partita. Il territorio è incontrollato, varcato da tecnologie di proprietà privata che ignorano confini, sorvolato da capitali digitali, solcato da merci e servizi esenti da dazi e ignorati da dogane. Il popolo si disgrega ridotto a massa informe di plebi consumanti per diritto e transumanti per coercizione, investito da un’immigrazione di massa programmata organizzata convogliata e consegnata; si dilegua nel multiculturalismo pompato a forza, nell’individualismo senza freni lisciato e blandito, nel nomadismo ricreativo promosso e finanziato a fini di addestramento al precariato a vita.
La sovranità nazionale e popolare mollata e graziosamente offerta nelle mani di gruppi indistinti di cui non si conoscono neppure gli attori. La dissolvenza dei fattori dello Stato ha mandato in macerie l’intero edificio democratico, che è tale se tutti i poteri derivano in modo diretto o indiretto da un popolo esistente e storicamente stanziato su un territorio definito nelle sue frontiere.
La realtà mostra governi che si succedono l’uno dopo l’altro, la cui formazione è scollegata dalla volontà popolare espressa dai risultati elettorali; dicasteri azionati dal potere privato della banca e della commissione europea con il pilota automatico. Tramite gli apparati di comunicazione di massa, l’Unione europea proclama ossessivamente irreversibili il suo diritto acquisito, le sue norme, i trattati, la moneta unica, abrogando non solo la sovranità nazionale ma il diritto naturale di ogni popolo a cambiare e migliorare le sue condizioni.
Questa visione ingannevole, che ci presenta l’attuale organizzazione del potere come un dato di natura immodificabile, non è nostra e ad essa, da patrioti irriducibili, non ci piegheremo.
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