L’attacco allo stato di diritto
di DAVIDE PARASCANDOLO (RI L’Aquila)
Da quasi due anni il Governo di questo Paese agisce sulla base del cosiddetto stato di emergenza. Massimo Cacciari, in uno dei suoi ultimi interventi, ha giustamente posto una questione: la necessità di rimarcare la differenza tra lo stato d’emergenza – per definizione temporaneo e destinato comunque a ripristinare la situazione precedente – e lo stato d’eccezione. Quest’ultimo fa sì che le normali guarentigie costituzionali vengano meno al fine di instaurare un diverso regime, ed è esattamente ciò che sta avvenendo in Italia.
Il processo di aggiramento del dettato costituzionale non è certo cosa nuova: basti pensare a tutta la parte della nostra Carta fondamentale dedicata ai diritti sociali e all’impianto economico, progressivamente disattivata da decenni a seguito della supremazia ideologico-culturale assunta dal neoliberalismo nell’ultimo scorcio del XX secolo.
Ora, però, questo processo sta conoscendo un’accelerazione preoccupante, andando a intaccare persino quei diritti fondamentali inscritti nei primi dodici articoli che, a rigor di legge, dovrebbero restare perennemente al riparo da colpi di mano. E tutto questo sta accadendo nel più assordante silenzio del mondo del diritto, oltre che di quelle istituzioni che della Costituzione dovrebbero essere i baluardi.
Sentiamo sempre più spesso parlare, infatti, di incostituzionalità di una miriade di provvedimenti, ma ci dimentichiamo altrettanto spesso che l’illiceità delle norme deve essere decretata da organi competenti, i quali sembrano attualmente essere totalmente piegati e conformi ai desiderata del Governo. La Costituzione è morta se nessuno la fa rispettare. E con essa muore lo stato di diritto.
Alle condizioni date, non ha più molto senso definire quello italiano come un regime democratico, perché le sue istituzioni e le relative modalità di funzionamento non lo sono più. Abbiamo un Parlamento esautorato dal continuo ricorso alla decretazione d’urgenza da parte del Governo; presidenti del consiglio che da oltre dieci anni sono stati imposti per la quasi totalità da voleri operanti al di fuori del perimetro della scelta elettorale nazionale; una situazione attuale in cui quasi tutte le forze dell’arco parlamentare appoggiano un governo retto da un uomo definito dall’ex Presidente della Repubblica Cossiga come “un vile affarista”, con una contestuale mancanza di opposizione che è il perfetto lasciapassare per l’affermazione di regimi autoritari; un popolo soggiogato che, per lavorare e conservare il diritto di sopravvivere, deve manifestare l’adesione al regime tramite una tessera che riporta alla memoria analoghe situazioni di un cupo passato.
Stiamo vivendo un’evidente torsione autoritaria. A questo punto, i margini di manovra per contrastarla cominciano a essere ristretti, soprattutto in ragione della scarsa consapevolezza maturata dai più sul frangente storico in corso e sulle sue dinamiche. Siamo di fronte a un bivio: da un lato la conservazione dello stato di diritto, dall’altro il suo definitivo superamento.
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