L’Italia e la nuova trappola di un esercito senza Stato
da TERMOMETRO GEOPOLITICO
(int. di Federico Ferraù ad Alessandro Mangia)
L’Italia di Mattarella e Draghi continua a spendersi per il progetto di difesa comune europea. Un progetto perdente e pericoloso per l’Europa stessa.
La difesa comune europea è un proposito che non regge. È la veste europeista del primato militare di cui la Francia – di Macron e di chi verrà dopo di lui – vuole farsi capofila nel continente. Il varo dell’Aukus, la “Nato” anti-cinese ufficializzata alla vigilia della “guerra dei sottomarini” tra Parigi e Canberra, ha reso ancor più manifesta la debolezza europea. Come se non bastasse, uno schiaffo esplicito alle ambizioni dell’Eliseo è venuto ieri dalle dichiarazioni di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato.
“L’Anglosfera esiste, ed esisteva ben prima di Aukus. L’Europa no” dice Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano. Anche l’Italia, nel suo piccolo, rientra in questo gioco. Che potrebbe essere rischioso, “se la nostra curiosa pretesa di autonomizzarci militarmente dall’Anglosfera” spiega Mangia “continuerà a questi ritmi”.
Come commenta le ultime dichiarazioni di Stoltenberg? “Qualsiasi tentativo di indebolire il legame transatlantico creando strutture alternative, trasmettendo l’idea che possiamo farcela da soli, non solo indebolirà la Nato, ma dividerà l’Europa”. A chi sono rivolte?
A chi ha ricominciato a vaneggiare di indipendenza strategica europea, facendo finta di dimenticare che la Germania è un paese che ha perso la seconda guerra mondiale e che l’esercito che difende la Germania non sta nelle caserme della Bundeswehr, ma nelle basi americane. Basi che la Germania è tenuta ad ospitare dal 1945 per molte ragioni, tra cui il bisogno di evitare altri spiacevoli incidenti del tipo di quelli occorsi il secolo scorso.
E questo non vale solo per la Germania.
Appunto. Serve dire altro? O bisogna dire che il progetto europeo è stato elaborato oltreoceano da George Kennan, William J. Fullbright e qualcun altro? Defender Europe 20 dell’anno scorso da sola dice tutto.
Intanto Parigi ha appena firmato un accordo con Atene per la fornitura di tre fregate. Interessi nazionali francesi o rafforzamento dell’autonomia di difesa dell’Ue?
L’autonomia di difesa Ue è la stessa ridicola pretesa che sta dietro il Trattato di Aquisgrana del 2019 e il cosiddetto Trattato del Quirinale. Che sono due trattati distruttivi dei precari equilibri che tengono in piedi l’Ue.
Per quale ragione?
Ma perché sono alleanze militari asimmetriche, figlie della pretesa francese di sentirsi un gigante politico solo perché accanto ha un nano militare com’è la Germania e un paese subalterno com’è ormai l’Italia. Da qui ad avere una capacità strategica accettabile sta di mezzo il mare. Anzi l’oceano. Se la vede lei la flotta francese rafforzata da Italia, Spagna e Olanda che parte per andare a difendere la Nuova Caledonia? È come voler mandare l’Ispettore Clouseau a litigare con John Wayne, Ivan Drago e Fu Manchu. Con la pretesa di restare seri.
Qual è il disegno di Parigi?
Compensare la sua decennale fragilità economica all’interno dell’Ue con un progetto strategico vecchio stile. In fondo la Francia è l’unico paese europeo ad avere capacità nucleare, e un’industria degli armamenti che va bene per il Nord Africa e il Mediterraneo. Al di fuori di quest’area non esiste. E già nel Mediterraneo orientale, di fronte alla Turchia, si allunga troppo. È l’idea, non sbagliata, per cui nel presente caos europeo la politica – la Francia – dovrebbe avere il sopravvento sull’economia – la Germania. Ma non funzionerà al di fuori d’Europa.
Ritardo tecnologico, pura e semplice inferiorità bellica?
Per avere un warfare paragonabile alle altre aree del mondo ci vogliono investimenti e anni di lavoro. L’Europa può avere un ruolo nel conflitto cyber, che costa poco e si può fare in fretta. Ma purtroppo anche lì è molto indietro. Il mercato delle armi europeo è quello del Terzo Mondo e, un po’, del Vicino oriente. Per il resto non ha capacità di penetrazione.
Il 30 agosto, a poche ore dalla scadenza dell’ultimatum dei talebani, Josep Borrell disse al Corriere due cose. La prima: come europei, dobbiamo “rafforzare l’idea dell’autonomia strategica”. “Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato”.
Bella dichiarazione. Coerente. È come dire che se spacchiamo la Nato, rafforziamo la Nato. La solita dissonanza cognitiva dell’europeismo ideologico. Non escludo che qualche commentatore volonteroso la rivenda sui giornali e qualche partito dalle molte Legioni d’Onore ci creda. Ma resta un controsenso. Del resto è da Maastricht che l’Unione va avanti con amenità di questo genere. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. E fuori d’Europa lo sanno benissimo. Strategicamente l’Europa è un budino che ogni tanto fa la voce grossa.
La seconda: “Proponiamo la creazione di una Initial Entry Force europea che possa agire rapidamente nelle emergenze”.
L’emergenza serve a dire tutto e a credere di poter fare tutto. C’è già Eurogendfor, come struttura di polizia militare, le cui funzioni sono assai poco chiare. Dico, abbiamo già visto gli effetti di una moneta senza Stato. Ci si rende conto che adesso, con la storia della collaborazione europea, si vuol far passare l’idea di un esercito senza Stato? Ci si rende conto delle implicazioni politiche in uno scenario in violenta trasformazione come è il presente? E dei pericoli che queste implicazioni comportano?
Forse no, lei dice. Qual è la matrice ideologica?
Il ben noto cocktail francese di velleitarismo e frustrazione. Condito da qualche interesse economico di bottega. La vicenda Stx Fincantieri dice tutto. Discorsi del genere sono solo manifestazioni di frustrazione e confusione. La Francia perde l’Australia, e il suo emisfero, e conquista la Grecia con i suoi sottomarini diesel. Un bel risultato, niente da dire.
Sul Sussidiario F. Forte ha detto che “siamo di fronte ad una guerra di stampo provinciale tra Bruxelles e il Regno Unito che si è svolta anche sul piano sanitario”. E ancora: “Lungi dall’avere una linea comune di difesa e di politica estera, gli altri Paesi europei hanno subito e subiscono le scelte di Parigi e Berlino”. Come commenta?
A Bruxelles non si può passare anni a dare filo da torcere al Regno Unito e litigare su senza aspettarsi qualcosa in cambio. Adesso il Foreign Office è tornato alla sua tradizionale politica di ingerenza dall’esterno. Meglio sarebbe stato avere un atteggiamento lungimirante, rileggersi Churchill e la sua Storia dei popoli di lingua inglese, ed evitare la voce grossa con un vicino dalla storia antica che sa benissimo cosa c’è appena dietro la Manica. L’Anglosfera esiste, ed esisteva ben prima di Aukus. L’Europa no.
Cosa rappresenta, da questo punto di vista, il varo dell’Aukus?
Un ricompattamento dei popoli di lingua inglese nonostante la devastante crisi interna Usa. Sono cose che non si capiscono se si leggono solo i giornali italiani, e si prende sul serio quel che ci si trova. Sa, in Italia c’è troppa gente convinta di essere nata dalla parte sbagliata delle Alpi. Da qui il livello delle analisi. Dopodiché non si capisce perché, uscita la Gran Bretagna la notte di san Giovanni del 2016, la lingua comune dell’Unione Europea sia diventata l’irlandese, solo perché in Irlanda si continua a parlare inglese. Tutto questo è molto europeo: anzi, è lo specchio dell’Unione Europea.
Nel 2019 commentando la firma del trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, lei faceva riferimento ad “equilibri saltati” e ad una “contrazione dello spazio politico europeo” post Brexit. Come rivedrebbe oggi questa valutazione?
Non la rivedrei affatto. Era tutto già chiaro nel 2019. E il 2021 ce ne sta dando conferma. Aspettiamo il 2022.
Ci aiuti a capire meglio. Non è chiaro se l’Italia punta a entrare nell’asse politico franco-tedesco – o quel che ne resta – o a fare altro. È questo il Trattato del Quirinale?
L’Italia è un paese spaccato fra una storia atlantica che risale al 1945 – e forse anche a prima – e penetrazioni francesi a livello finanziario e militare, e tedesche a livello economico e industriale negli ultimi 30 anni. Sono campi di forza che hanno obiettivi divergenti. Europa o Aukus? La vera debolezza strutturale del Governo Draghi, e dei funzionari che in nome e per conto di Draghi governano il Paese, è questa. A chi risponde Mario Draghi e la sua “cabina di regia”?
Lei cosa dice?
Ai “partner” europei o ai partner atlantici? Il resto viene dalla risposta a questa domanda. Ci sono dei momenti in cui le gomme si sgonfiano, gli ammortizzatori si rompono, e anche le macchine stanno comode in garage. Succede così, come per magia.
Le chiederei un commento ad una piccola notizia di provincia: in Australia un conservatore, Dominic Perrottet, è succeduto a Gladys Berejiklian.
Non è affatto una notizia di provincia. Che la premier del New South Wales sia stata costretta a dimettersi per corruzione, in piena pandemia, è un fatto impressionante. L’Australia è il perno di Aukus nella strategia di contenimento cinese. Chi controlla il New South Wales controlla l’Australia. E chi controlla l’Australia controlla quell’emisfero. Canberra non esiste: è una piazza di scambio oggi come lo era per gli aborigeni prima dello sbarco inglese. Ciò che conta è Sydney.
Dove vuole arrivare?
La premier armena Berejiklian è stata responsabile del più crudele e violento lockdown del mondo occidentale, con scene da Argentina più il pub del venerdì sera. Adesso questa ex premier è stata costretta a dimettersi. E in suo luogo non è arrivato un conservatore; è arrivato un premier cattolico, Dominic Perrottet, in un paese ateo o vagamente anglicano, che ha promesso di invertire radicalmente la rotta del paese. E a cui si affidano le speranze degli australiani. Un esponente di un partito minore – Clive Palmer, leader di United Australia Party – parla, in certe interviste, di contatti della Berejiklian con AstraZeneca e Pfizer. Ma è evidente che si tratta di sciacallaggio politico di un piccolo partito che cavalca l’evento. Nondimeno è interessante. Non trova? Cambia un po’ Aukus e il clima dell’Anglosfera.
Un’ultimissima battuta. Draghi: “il governo va avanti. La sua azione non può seguire il calendario elettorale, perché deve seguire quello delle riforme del Pnnr”. Attenti alla politica estera, però. O no?
Mi sembra evidente che l’unica politica del Governo italiano è il Pnrr. Altro non sa e non può fare. Il Mes sta al Pnrr come un triciclo a una Suzuki. Cosa questo voglia dire lo capiremo meglio tutti tra qualche anno. Forse anche prima.
Prima quando?
Presto, se la curiosa pretesa di autonomizzarsi militarmente dall’Anglosfera continuerà a questi ritmi. Cosa vuole, la politica estera dell’Italia si fa altrove. Qui si fa solo attuazione interna e un po’ di moralismo.
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