Intanto in Giappone…
di GILBERTO TROMBETTA (RI Roma)
56 mila miliardi yen. Circa 430 miliardi di euro. A tanto ammonta il nuovo piano di stimoli messo in campo dal Governo giapponese per aiutare l’economia del Paese, il terzo degli ultimi 2 anni. Una cifra, quella messa in campo dal Giappone, che ammonta al 57% di tutto il Recovery Fund che è destinato però a ben 27 Paesi. E di cui all’Italia spettano, realmente a fondo perduto, solo una manciata di miliardi. E che comunque, tenendo conto anche dei prossimi contributi al bilancio europeo, non saranno sufficienti a far diventare per la prima volta l’Italia percettore netto.
Una ventina di miliardi in cambio dei quali il Governo Draghi si è impegnato a portare avanti un abnorme piano di riforme lacrime e sangue: svendita dei beni pubblici rimasti, ritorno della riforma Fornero, taglio della spesa pubblica (a partire da quella sanitaria), riforma del catasto e via dicendo. Le solite riforme che da 30 anni ci vengono chieste dall’Unione Europea. Le solite riforme che la nostra classe politica non vede l’ora di realizzare. E che spiegano perché avesse bisogno, la nostra classe politica, della scusa del vincolo esterno.
Sono passati quasi 10 anni dall’articolo di Zingales sul Sole 24 Ore in cui sosteneva che la differenza tra Giappone e Grecia fosse di soli 3 anni. In cui sosteneva cioè che il Giappone sarebbe fallito entro il 2015 a causa del suo grande debito pubblico. Quando uscì quell’articolo il rapporto debito/PIL del Giappone era del 230%. Oggi è del 256,9%.
Ma il Giappone, lungi dal fallire, non ha problemi di sostenibilità del debito. Né di tassi di interesse sul debito. Perché? Perché la Banca Centrale del Sol Levante compra titoli di stato come se non ci fosse un domani. Garantendo quindi sia la sostenibilità del debito, sia il mantenimento dei tassi di interesse intorno allo 0%.
«È la sovranità, bellezza! La sovranità! E tu non ci puoi far niente! Niente!».
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