L'UE scrimina il gioco d'azzardo in italia
di Stefano Rosati
Accostare parole come libertà fondamentali ad altre come giochi d’azzardo può sembrare discutibile, ad alcuni potrebbe sembrare persino un ossimoro; su questo tema, tuttavia, negli ultimi anni si sono registrati numerosi interventi del legislatore italiano, spinto da procedure d’infrazione avviate dalla commissione europea, e una singolare querelle tra la corte di cassazione e la corte di giustizia europea.
In Italia l’organizzazione e la gestione delle scommesse sportive può essere svolta solo da soggetti muniti di apposita concessione governativa e di autorizzazione di polizia. L’esercizio di tale attività in carenza dei predetti titoli abilitativi è sanzionata penalmente con la reclusione fino a 3 anni (articolo 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401).
L’autorizzazione di pubblica sicurezza non può essere rilasciata a persone con precedenti penali e legittima la polizia ad accedere in qualunque momento nei locali dell’allibratore per controllare il rispetto della legge. Presupposto per ottenere l’autorizzazione è essere già titolari della concessione governativa.
Secondo la normativa interna, vigente fino al 2002, alla gara per ottenere la concessione non possono partecipare, al fine di garantire la trasparenza dell’assetto proprietario, società di capitali.
I principali allibratori europei sono tutte società di capitali quotate in borsa.
È evidente che questa disposizione costituisce, secondo la terminologia cara agli epigoni della libera concorrenza, una barriera all’ingresso. Barriera, tuttavia, non discriminatoria perché applicabile a tutte le società di capitali, a prescindere dalla nazionalità.
Malgrado ciò, a seguito di una procedura d’infrazione avviata nei confronti della repubblica italiana, il (precedente) governo Berlusconi si è affrettato a rimuovere l’ostacolo.
Alle prossime gare bandite dal tesoro per ottenere la concessione potranno quindi partecipare anche le potenti società inglesi.
Le ultime gare, cui la lobby dei bookmakers britannici non ha potuto partecipare, sono state però bandite nel 97; le concessioni allora rilasciate scadranno nel 2011.
Questo avrebbe voluto dire rinunciare per molti anni ai lauti guadagni derivanti da un mercato in forte espansione (in Italia, si sa, cresce solo il futile!) e trovare, in seguito, altri soggetti molto più radicati sul territorio.
Per aggirare il problema, le società inglesi hanno istituito centri trasmissione dati in Italia. Si tratta in sostanza di succursali delle case da gioco inglesi, aperte da agenti italiani, nelle quali è possibile accedere on-line al server delle società d’oltremanica per partecipare alle scommesse dalle stesse gestite.
Contro i gestori di tali centri, tutti sprovvisti dei richiesti titoli abilitativi (concessione e autorizzazione) sono stati avviati numerosi procedimenti penali.
L’argomento principale, addotto dai gestori sprovvisti del titolo abilitativo a proprio difesa, è stato il contrasto della normativa italiana con (la normativa europea che prevede) le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi.
La corte di giustizia europea, cui la questione era stata rimessa dai giudici italiani, in un primo momento, pur riconoscendo il contrasto della normativa italiana con le dette libertà, ha ammesso che la deroga fosse giustificata da motivi di ordine pubblico, quali l’esigenza di evitare infiltrazioni criminose, e ha rimesso ai giudici nazionali il compito di verificare se in concreto sussistano tali ragioni di ordine pubblico e se tali divieti non siano in realtà sproporzionati rispetto alle finalità effettivamente perseguite (sentenza 6 novembre 2003, Gambelli e a., in causa C-243/01).
Alcuni giudici hanno disapplicato la legge italiana ritenendola in contrasto con il diritto comunitario, altri, all’opposto, hanno applicato la sanzione penale agli agenti italiani sprovvisti dei titoli abilitativi.
La questione inevitabilmente è giunta in cassazione. Secondo i giudici della suprema corte, pur essendo innegabile che la politica espansiva dell’offerta di gioco perseguita dal governo italiano escluda la possibilità di giustificare le misure restrittive con motivi di tutela del consumatore o contrasto alla ludopatia (effettivamente motivazioni così nobili non albergano più in Parlamento da parecchio tempo), il sistema è compatibile con il diritto comunitario.
Secondo la cassazione lo scopo reale della normativa italiana di cui trattasi è quello di canalizzare in circuiti controllabili l'esercizio delle attività di gioco d'azzardo al fine di prevenire infiltrazioni criminose, soprattutto della criminalità organizzata (Sezioni Unite della Cassazione 26 aprile 2004, n. 111).
La corte di giustizia ha mostrato di non gradire affatto la posizione assunta dalla suprema corte italiana.
Nuovamente investiti della questione, i giudici europei, travalicando un principio fondamentale del diritto comunitario secondo cui alla corte di giustizia è riservata l’interpretazione del diritto comunitario ma spetta al giudice nazionale valutare se il diritto interno è con quello compatibile, hanno dichiarato che la legge italiana contrasta con il diritto comunitario e non deve essere applicata dai giudici nazionali…un tempo soggetti solo alla legge (oggi, purtroppo, anche alla corte di giustizia europea).
Secondo i giudici comunitari è contraddittorio un sistema che da un lato persegue per fini erariali una politica espansiva dell’offerta delle possibilità di gioco e poi prescrive una serie cospicua di misure volte a limitare il numero dei soggetti che possono svolgere l’attività di organizzazione di scommesse (Corte di Giustizia delle Comunità Europee Grande Sezione – Sentenza 6 marzo 2007Cause C-338/04, C-359/04 e C-360/04).
La schizofrenia del legislatore italiano è un fatto pacifico. Qualcosa però non convince.
Il fine di controllo delle infiltrazioni criminali poteva, a parere inconfutabile dei giudici di Lussemburgo, essere perseguito con misure meno invasive delle liberta comunitarie; anziché precludere l’accesso al mercato alle società di capitali, prevedere il potere di chiedere informazioni sulla composizione della compagine azionaria di maggioranza.
Sorge il dubbio che forse qualche aspetto della realtà italiana non sia stato adeguatamente tenuto in considerazione dai paladini delle libertà.
Fatto sta che la corte di giustizia ha dichiarato apertamente che la normativa italiana è incompatibile con il trattato e quindi chi ha esercitato l’attività, sprovvisto di titoli richiesti, non può essere punito (con buona pace di quelli che li hanno ottenuti regolarmente) perché lo stato italiano glieli aveva illegittimamente negati.
Dunque coloro che, facendo concorrenza sleale, hanno esercitato un’attività, sprovvisti dei titoli richiesti dalla legge italiana, potranno continuare tranquillamente a farlo.
L’italiano medio sarà felicissimo perché avrà ancora più occasioni per scommettere.
E i governanti europei ci trattano come quelli nazionali.
Al termine di questa epica battaglia per la libertà sembra proprio che Goethe avesse ragione sugli italiani: “solo dando da bere ai gonzi e spacciando fandonie, indulgendo giorno per giorno alle loro debolezze e rendendoli peggiori, solo allora si diventa popolari”.
Forse la corte di giustizia europea ha deciso di diventare “popolare” in Italia, sottraendo al popolo italiano quella sovranità che un tempo esercitava nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione.
Una Analisi Impressionante
Non capisco il titolo:
“L’UE scrimina…
Forse è
“L’UE discrimina…
Oppure
“L’UE incrimina… ?
Caro e bravo Truman, non dispongo in questo momento di un buon vocabolario e perciò non so se l'uso del verbo, che è frequentissimo nella lingua dei pratici ma anche dei teorici del diritto penale, sia attestato o sia un termine tecnico del tutto sconosciuto ai vocabolari della lingua italiana (ma non credo).
Mi ha fatto venire il dubbio e allora ho inserito il termine ("scrimina") nel mio database di sentenze nel quale l termine scrimina compare 36 volte (da ultima Cassazione penale , sez. IV, 12 novembre 2008 , n. 47045 , la cui massima è la seguente
"In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il particolare stato di necessità che scrimina, ex art. 384 cod. pen., la condotta di favoreggiamento non esclude il dolo che legittima il rigetto dell'istanza, ove si accerti che tale condotta dolosa abbia causato la detenzione risultata ingiusta".
A rigore il diritto penale (qui alludo al linguaggio del legislatore, non dei giyuristi, che hanno un linguaggio di secondo grado) conosce le "scriminanti" (legittima difesa, stato di necessità, ecc), anche dette "esimenti". I due termini designano quelle circostanze che accompagnano il fatto e fanno sì che esso non costituisca reato, mentre lo sarebbe se esso non fosse accaduto in quelle circostanze: "La legittima difesa (lo stato di necessità, il consenso dell'avente diritto) scrimina" il fatto: lo rende un non crimine.
L'uso che ne ho fatto nel titolo è una "estensione" del significato usato generalmente dai penalisti. D'altra parte, non avrei potuto scrivere "abroga" ("l'UE abroga"), perché l'abrogazione, per fortuna, è ancora competenza del legislatore italiano; né avrei saputo quale termine utilizzare, visto che è stata la UE, come è spiegato nell'articolo, a travalicare il confine delle proprie attribuzioni. Avrei, forse potuto dire,"cancella dall'ordinamento italiano il gioco d'azzardo"; sarei stato forse più chiaro ma anche più volgare. Scriminare è, quindi, un termine giuridico che sta per discriminare, dove tuttavia il discriminato non è colui che è trattato peggio, bensì colui che è trattato meglio (in genere a causa di norme di legge che prevedono "cause scriminanti"; nel nostro caso per pura volontà della Corte di Giustizia Europea).
Ciao
Vabbuò, ho ampliato il mio vocabolario.
grazie