A che cosa serve l’Unione Europea?
da TERMOMETRO GEOPOLITICO
(Francis Lee)
(NDR – abbiamo scelto di proporre il seguente articolo perché offre alcuni interessanti spunti di riflessione, benché in alcuni passi possa risultare controverso ai più)
Nel 2011 ho scritto un articolo per una pubblicazione sconosciuta di nome “Chartist”. Era intitolato: “Europa: il progetto incompiuto”. Scrivevo quanto segue:
“Al momento, il progetto della UE sembra essere bloccato nella terra di nessuno, incapace di andare avanti con l’integrazione politica o di ritirarsi in un’area di protezionismo del marco tedesco nordeuropea, lasciando gli Stati periferici alla tenera pietà del capitalismo globalizzato e senza limiti. Ma in questa fase di sviluppo sembra essere rimasto un sufficiente idealismo europeo delle origini per perseverare ulteriormente con lo sforzo politico in corso”. (Ibidem, pagina 19).
Purtroppo, si vive e si impara.
Io ora credo che questo punto di vista, abbastanza giustificabile e plausibile nel momento in cui lo scrivevo, è ora diventato difficile, se non addirittura impossibile, da sostenere. E la ragione è esposta nella prossima frase, e cioè:
“Per fare questa scelta, si devono solo considerare le alternative anglo-americane (al modello europeo) e, più in generale, la globalizzazione”.
Era, comunque, basato sul tacito presupposto che il modello europeo di capitalismo fosse in qualche modo fondamentalmente diverso dal modello atlantista, un paradigma incarnato nell’asse Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea. Non era così. Col tempo si è rivelato essere un’idea fondamentalmente sbagliata. Il Regno Unito, ovviamente, è sempre stato legato mani e piedi agli Stati Uniti in termini di politica sia estera che economica con la fine del “sistema della preferenza imperiale” pretesa dagli Stati Unito come quid pro quo per il prestito americano negoziato da Keynes, poco prima della sua morte nel 1946. Poi ci fu l’intervento americano nella crisi di Suez del 1956, che ha di fatto posto fine a una politica estera indipendente del Regno Unito. Questo attaccamento, come se fosse un cane, del Regno Unito agli imperativi americani (la cosiddetta “relazione speciale”) è poi aumentato con la svolta neoliberista e la controrivoluzione Reagan-Thatcher degli anni ’80. Vero, Il Regno Unito ha sempre avuto un maggior atteggiamento atlantista rispetto ai suoi vicini europei. Ma l’Europa continentale doveva diventare affascinata dall’atlantismo come il Regno Unito (e come, più recentemente, quegli Stati europei ex-comunisti, che lo sono probabilmente di più).
“Non è solo il Regno Unito a essere atlantista, lo sono (e non da meno) anche gli Stati dell’Europa continentale… la prova è la posizione centrale della NATO in questa costruzione politica. Che una alleanza militare con un paese fuori dall’Unione (gli Stati Uniti) sia stata integrata de facto nella costituzione europea, in termini di comune politica estera e di sicurezza, costituisce un’anomalia unica nel suo genere. Per alcuni paesi europei (Polonia e Stati Baltici) la protezione della NATO, cioè quella degli Stati Uniti contro il loro ‘nemico russo’, è più importante della loro adesione all’Unione Europea” (“The Implosion of Capitalism” di Samir Amin, 2014).
Questa americanizzazione dell’Europa, questa annessione invisibile, è stata raggiunta con una combinazione di potere soft e poter forte, un’assimilazione culturale, politica, economica e militare del vecchio mondo da parte del mondo nuovo. Dobbiamo capire che gli Stati Uniti non fanno “partnership”: ogni relazione geopolitica che gli Stati Uniti stabiliscono con altri Stati è sempre basata sul concetto “Io Tarzan, tu Jane”.
“Ne consegue che né l’Unione Europea né alcuno dei suoi Stati membri hanno più una politica estera indipendente. I fatti mostrano che c’è solo una singola realtà: un allineamento dietro qualsiasi cosa decida da sola Washington (forse in accordo con Londra)”. (Amin, ibidem).
In maniera analoga, la politica economica europea è allineata agli interessi americani e alle pratiche americane. Non sorprende, dato che gli Stati Uniti sono da 100 anni la forza economica dominate (sebbene ora siano in fase discendente). Hanno il controllo della riserva monetaria mondiale, che gli permette di gestire un deficit costante dei suoi conti, visto che può pagare le sue importazioni semplicemente stampando la propria moneta. Gli Stati Uniti tendono anche a dominare le istituzioni multilaterali, come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, avendo anche il numero più alto di voti nell’FMI. I politici americani usavano la loro influenza nel Fondo per perseguire gli obiettivi di politica finanziaria ed estera degli Stati Uniti. L’FMI offre i prestiti più alti ai paesi fortemente indebitati con le banche commerciali americane o di altri paesi. In più, l’FMI offre prestiti più alti ai Governi che sono stretti alleati degli Stati Uniti (International Politics, 2004 – 41, 415–429). New York è il secondo centro finanziario al mondo (dopo Londra) con il più consistente mercato di capitale liquido al mondo. In valore assoluto, gli Stati Uniti sono – almeno in termini nominali – la più grande economia al mondo (sebbene, in termini di parità di potere d’acquisto, l’economia cinese è oggi più grande).
In aggiunta, il “soft power” degli Stati Uniti (e del Regno Unito), che riguarda i dipartimenti economici delle università, i think-tank economici, le pubblicazioni (The Wall Street Journal, Financial Times, The Economist), i circoli d’affari e finanziari, il linguaggio universale del business e della diplomazia (l’inglese), ha di fatto dominato e strutturato il discorso ideologico mondiale. Il “consenso di Washington”, insieme alle armi letali di distruzione finanziaria di massa, cioè le armi letali della finanziarizzazione, sono arrivati a dettare la politica e il processo decisionale politico del mondo occidentale.
Ma il progetto neoliberista e neoconservatore avrebbe incontrato delle difficoltà, come dimostrato nelle crisi gemelle che affliggono il blocco euro-atlantico: Grecia e Ucraina.
Grecia
Inizialmente, era del tutto prevedibile che l’ingresso della Grecia nell’eurozona avrebbe portato dei problemi. Per potersi qualificare per l’ammissione, la Grecia ha dovuto dimostrare che era conforme ai parametri di Maastricht. Le regole di Maastricht minacciano multe pesanti ai paesi membri dell’euro che superano il limite del 3% sul deficit di bilancio rispetto al PIL. In più, il debito pubblico totale non deve superare il 60%. E’ interessante notare che sia la Francia che la Germania superano i criteri di Maastricht, ma su questo c’è stato silenzio totale.
I Greci non sono mai riusciti a rispettare il limite del 60% del debito, ma solo il tetto del 3% del deficit con l’aiuto di una sfacciata operazione cosmetica del bilancio.
Tranquilli, nel 2010 un po’ di contabilità creativa è stata fornita dalla principale (famigerata?) banca di investimenti americana Goldman Sachs. L’argomento della Goldman Sachs per il magheggio finanziario è ben noto: in questo caso, è lo swap incrociato di valute, dove il debito governativo emesso in dollari e yen è stato cambiato con un debito in euro per un periodo di tempo determinato e poi riconvertito nelle valute originarie in data successiva. Voilà, i conti tornavano (almeno per un certo periodo). La Goldman Sachs ha incassato una mazzetta di 15 miliardi di dollari per i suoi servizi.
Come membri dell’eurozona, i Greci hanno poi accettato un credito a basso costo dalle banche dell’eurozona, soprattutto francesi e tedesche. Ma ogni accordo tra debitore e creditore significa che entrambi devono comportarsi responsabilmente. La solvibilità del debitore deve essere valutata prima che venga concesso il prestito. Ma indagini rigorose di questo tipo non sono state effettuate: con la deregulation della finanza, tali noiose procedure sono state eliminate e le banche hanno fatto prestiti a chiunque respirasse.
Il resto, come si dice, è storia.
Se, però, questi creditori avessero saputo che i debitori non sarebbero stati in grado di ripagare i prestiti, sarebbe aumentato il “debito odioso”. Succede quando il debito nazionale, contratto da un regime per finalità non destinate al miglior interesse della nazione, non deve essere eseguibile. Capitalismo avvoltoio è un altro termine ugualmente sgradevole per la politica nei confronti della Grecia. I fondi avvoltoio prendono di mira aziende e/o paesi in crisi, acquistano i loro bond e le loro azioni a prezzi stracciati e poi, quando le aziende falliscono, fanno causa al proprietario non solo per gli interessi ma anche per il capitale. La politica della Troika nei confronti della Grecia è stata quella di prestito e pignoramento.
Se la Grecia rimane nell’eurozona, continuerà a essere dissanguata, privatizza e, alla fine, smembrata. Deve essere un esempio per impedire ad altri della periferia meridionale di farsi delle idee. E proprio come la signora Thatcher era il socio minoritario di Reagan nel plasmare l’Unione Europea, la Merkel era il gendarme di Obama nelle province restie dell’euro.
E’ interessante notare che una rabbiosa Victoria Nuland (di cui parleremo dopo), Sottosegretaria di Stato per gli Affari Europei e Asiatici presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, è andata in visita ad Atene il 17 marzo 2015 e ha incontrato il Primo Ministro greco Tsipras in merito ai disordini in corso. Basti dire che era preoccupata della geopolitica e del mantenimento della Grecia nella UE e nella NATO, e non del debito. Senza dubbio lei avrà ricordato a Tsipras che ci sarebbero state delle conseguenze se la Grecia non si fosse attenuta alla linea europea. Come Sottosegretaria per i cambi di regime nel Dipartimento di Stato, le istruzioni della temibile signora Nuland erano di minacciare o provocare un cambio di regime nei paesi che gli Stati Uniti e i loro vassalli non approvano.
Ucraina
Precedentemente, la peripatetica signora Nuland è stata impegnata anche in Ucraina (che non era e non è uno Stato membro dell’Unione Europea) per promuovere un cambio di regime (un processo in corso dal 2004 con la cosiddetta rivoluzione arancione) e successivamente è stata responsabile degli eventi di Maidan, che hanno portato nel 2014 all’insediamento del regime prezzolato (con 5 miliardi di dollari, secondo la signora Nuland) di stampo oligarchico-nazista, i cui leader sono stati scelti personalmente da lei e dall’ambasciatore a Kiev Geoffrey Pyatt. Da allora, la generosità dell’Fondo Monetario Internazionale ha continuato a scorrere e ha tenuto l’Ucraina attaccata a una flebo di sovvenzioni dell’FMI senza via di uscita.
E’ stato interessante notare come il trattamento del regime di Kiev da parte dell’FMI sia molto diverso da quello inflitto alla Grecia. Innanzitutto, all’Ucraina è stato accordato un pacchetto di aiuti di 40 miliardi di dollari per quattro anni; in secondo luogo, madame Lagarde ha dichiarato che “in caso non si raggiunga un accordo negoziato con creditori privati e il paese stabilisca che non può onorare il debito, il Fondo può concedere all’Ucraina dei prestiti compatibili con la politica dell’FMI sui prestiti arretrati” (12 giugno 2015). In altre parole, quando l’Ucraina sarà in default, l’Fondo arriverà con i contanti, in violazione della sua costituzione. L’FMI non è, inoltre, neanche obbligato a fare prestiti con gli Stati che sono in guerra. Certamente, non è un modo di agire imparziale ma, certamente, l’FMI è un ente fortemente politicizzato e di parte, ed è un elemento fondamentale dell’establishment mondiale neoliberista e neoconservatore.
Il 17 luglio 2015 l’Ucraina ha mancato il pagamento di una cedola obbligazionaria, determinando un default di 19 miliardi di dollari di debito, mentre uno stallo con i creditori non mostra segni di diminuzione. E’ stato interessante vedere che cosa è successo alla luce della dichiarazione di madame Lagarde. (1).
Ebbene, nella primavera del 2016, al regime di Poroshenko sono stati regalati altri 600 milioni di euro in prestito per l’Ucraina. Ma, ovviamente, non è finita lì. A partire dagli eventi di Maidan del 2014 e considerando questo prestito, l’importo complessivo degli aiuti della UE all’Ucraina ha raggiunto i 2,8 miliardi di euro. Questi “aiuti” sono stati disponibili nello stesso anno: sono stati gli aiuti macro-economici più consistenti mai inviati a un paese non UE. Ma non sembrava fare alcuna differenza.
Le cose vanno così male che, nonostante la generosità dell’FMI, l’Ucraina gareggia con la Moldavia per essere il paese più povero d’Europa. Le Nazioni Unite prevedono che l’Ucraina perderà un quinto della sua popolazione entro il 2050.
In aggiunta, l’Ucraina ha anche uno dei più alti tassi di mortalità al mondo. Cattive condizioni di salute e un ampio abuso di alcol e droga hanno portato un aumento della mortalità in Ucraina. Il paese ha anche il più alto tasso di mortalità al mondo per malattie infettive, come la tubercolosi, il che significa che un’assistenza medica inadeguata ha contribuito alla crescita della mortalità nel paese. La pandemia di coronavirus ha solo aggravato questi problemi sanitari.
Anche il tasso di natalità in Ucraina è diminuito. Secondo la Banca Mondiale, negli anni ’90 le famiglie ucraine avevano due figli a nucleo famigliare. Le recenti difficoltà economiche, comunque, hanno costretto le famiglie ad avere solo un figlio a nucleo famigliare. Gli effetti dell’economia ucraina in crisi e del conflitto in Donbass hanno anche scoraggiato molte giovani coppie dall’avere figli, cosa che ha contribuito alla diminuzione del tasso di natalità nel paese. Potrei andare avanti ma sarebbe indecente farlo. Diciamo solo che l’ingerenza dell’Unione Europea e della NATO negli affari interni di questa nazione assediata ha portato a una catastrofe economico-politica.
Conclusioni
La decisione di far arrivare l’Unione Europea, insieme alla NATO, proprio ai confini con la Russia, inizialmente sotto la guida e la politica dell’amministrazione Clinton, è stato un chiaro segnale che i Governi della UE erano finiti sotto il dominio americano. Con questa svolta decisiva, il progetto Unione Europea era finito, sostituito da un progetto militare nord-atlantico sotto il comando americano.
La strategia egemonica degli Stati Uniti – illustrato diffusamente sia nella dottrina di Wolfowitz sia nelle più recenti enunciazioni e azioni del dominante partito americano della guerra (una coalizione di neoconservatori, falchi liberali e interventisti liberali) – è chiaramente visibile dietro la sparizione di ciò che una volta era il progetto europeo.
E’, comunque, del tutto possibile che, anche contro i desiderata e gli imperativi geopolitici americani, l’Unione Europea possa spaccarsi internamente a causa delle tensioni tra Stati e delle incongruenze economiche. Una cosa è certa: la UE non può durare con l’attuale struttura, né se lo merita.
Questo “Grande Gioco” del XX e XXI secolo andrà a finire con una sola parte (il blocco euroasiatico) che diventa più forte e con l’altra (il blocco atlantista) che diventa più debole.
Mi ricorda la scena la scena del film “Apocalypse Now”, in cui il Capitano Willard (interpretato da Martin Sheen) riassume il peggioramento della situazione geopolitica degli Stati Uniti. Non ricordo le parole esatte ma era qualcosa del tipo: “Charlie (il vietcong) sta nella giungla e diventa più forte, io sto in una stanza d’albergo e divento più debole”.
Vero, verissimo.
Nota
(1) Quando si tratta di obbligare le nazioni a pagare i debiti intergovernativi, l’FMI e il Club di Parigi detengono la leva principale. Come coordinatore dei prestiti di “stabilizzazione” della banca centrale (l’eufemismo neoliberista per imporre l’austerità e destabilizzare le economie debitrici, in stile greco), l’FMI può non solo negare il proprio credito ma anche quello dei Governi e delle banche globali che partecipano quando i paesi debitori hanno bisogno di un rifinanziamento. Quegli Stati che non accettano di privatizzare la propria infrastruttura e di venderla ad acquirenti occidentali, sono minacciati con sanzioni, sostenute dal “cambio di regime” sponsorizzato dagli Stati Uniti e dalla “promozione della democrazia” in stile Maidan. (Michele Hudson)
FONTE: http://sakeritalia.it/europa/a-che-cosa-serve-lunione-europea/
Commenti recenti