Impoverimento e acquisti di beni e servizi di consumo

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6 risposte

  1. Paolo Querini ha detto:

    Non so Stefano se siano esatte le premesse.
    Negli anni novanta é indubbio che c'era già gente, tra loro molte coppie giovani che si indebitava. Principalmente si trattava di persone che non consideravano più un opzione mettere su famiglia e vivere in affitto (quindi compravano casa e accendevano un mutuo). Parimenti ritenevano indispensabile possedere un' autovettura nuova e pagavano le rate.
    Di norma si trattava di coppie che grosso modo avevano certezza della continuità del rapporto di lavoro e che pianificavano una famiglia a cui garantire prospettive uguali o migliori di quelle della generazione precedente (uno o due figli ma full optional).
    Salvo disgrazie ho visto queste famiglie centrare puntualmente questi obiettivi con un po' più di impegno e sacrifici.
    Tutto questo ora non é più e non certo a causa degli acquisti compulsivi: Sono venute meno le certezze, inclusa quella di sapere quanto ci può venire a chiedere lo Stato trovandosene nella necessità
    No, non c'entrano i consumi: Stanno drenando le risorse dell' economia reale in un serbatoio sfondato che non si può riempire. Come già da te detto in precedenza: ci stanno ammazzando!

  2. stefano.dandrea ha detto:

    Paolo,

    sono d'accordo senza se e senza ma. Però mi interessa anche che sia chiaro che maggiori consumi, magari non a debito, perché si è deciso di fare due figli, anziché quattro, come ne avevano fatti il padre e la madre, non significano stare meglio economicamente; non significano che ci siamo arricchiti. Questa banalità non è a tutti chiara.

    Se consideriamo coloro che hanno completato studi universitari, sono d'accordo con te. Stanno tutti meglio dei genitori (potenzialmente, ossia se non si dedicano al consumo). Niente a che vedere, tuttavia, con le persone che svolgevano il loro mestiere trenta anni prima.

    Se invece consideri chi non ha fatto progressi sociali, culturali, allora le cose stanno diversamente. Un operaio che ha iniziato a lavorare nel 1995 sta peggio (anche perché mediamente ha consumato moltissimo) rispetto all'operaio di venti anni prima. Se consideri che magari il padre gli ha lasciato una casetta, fatta con mani proprie, ti rendi conto della differenza.

    In ultima analisi, penso che i consumi vadano radicalmente ridotti e saranno di necessità ridotti. Per fare fronte alla crisi, che durerà una decina di anni. Come convogliare il risparmio nella direzione dei migliori investimenti è il problema politico per eccellenza cher avremo davanti

  3. Gianni ha detto:

     
    Se è vero che la riduzione della natalità negli anni 90 e nei primi sei anni del nuovo secolo è dovuta al fatto che “la maggioranza dei trentacinquenni era convinta che mettendo al mondo il medesimo numero di figli avuti dai loro genitori, non sarebbe stata in grado di garantire ai propri figli le medesime possibilità e il medesimo aiuto ricevuti dai genitori.”, come si spiega l’elevata natalità dell’immediato dopoguerra, quando le prospettive non erano certo rosee?

  4. stefano.dandrea ha detto:

    Caro Gianni, non so se mi sono espresso male io o se hai letto male tu. La frase da te riportata in neretto non voleva significare che i giovani hanno cominciato a fare meno figli perché non ce la facevano a mantenerli. La diminuzione della natalità va di pari passo con il benessere. Emmanuel Todd lo ha spiegato piuttosto efficacemente in "Dopo l'impero" (trovi certamente recensioni e interviste in rete). Voleva significare – ma convengo di esser stato troppo sintetico fino all'oascurità – che se si riusciva a garantire ai figli ancora quanto si era ricevuto, ciò dipendeva dalla riduzione del numero dei figli. Insomma, già si riusciva a fare meno, anche se non se ne era consapevoli (tra l'altro) perché riducendo i figli le cose sembrava che restassero immutate

  5. Gianni ha detto:

     
    Caro Stefano, Ti ringrazio per la solerzia nel rispondermi, comunque penso che i figli dal 1990 al 2006 abbiano ricevuto mooolto più di quello che avevano ricevuto i genitori (corsi vari, vacanze all’estero, libri, giochi ecc.)

  6. stefano.dandrea ha detto:

    Caro Gianni,

    non generalizzerei e svolgerei alcune precisazioni.

    Non generalizzerei, perché non sono sicuro che a parità di redditi e rendite, i figli riceveranno complessivamente di più.

    Intanto, basta la considerazione che i genitori spendono di più per sé stessi, per concludere che a parità di redditi e rendite, i figli avranno meno rispetto alla generazione precedente. E' chiaro che se tu consideri un laureato nel 1985, figlio di un operaio in famiglia monoreddito e paragoni ciò che il laureato lascerà al figlio, probabilmente il tuo giudizio è corretto. Non lo è se paragoni il laureato nel 1985 figlio di operaio in famiglia monoreddito e il laureato nel 1965 figlio di operaio in famiglia monoreddito, le cose sono più incerte.

    Va anche detto che tutti coloro che sono vissuti al di sopra delle loro possibilità, indebitandosi per finanziarie o con mutui esosi (dal 1996 gli immobili sono aumentati al punto che servivano molte più annualità di stipendio per acquistarli rispetto a venti anni prima), magari hanno acquistato ai figli più beni e servizi di consumo ma è ancora da verificare se alla resa dei conti (dalle mie parti si dice: "Alla trinità se conta quando se retorna": la Trinità era un santuario molto lontano) daranno ai figli di più. Infatti è certo che hanno pagato interessi per carte di credito, scoperti, mutui, finanziarie e leasing che un tempo, ritardando gli acquisti, non venivano pagati. Per quaranta o cinquanta anni di vita di una famiglia fai un po' il conto. Sapranno aiutare i figli nello studio come sono stati aiutati? Pagheranno matrimonio e mobili per la nuova casa? Lasceranno ai figli una caparra o addirittura un appartamento? Talvolta si, ma soltanto perché hanno fatto un figlio o due, anziché tre o quattro. Spesso no. Considera anche che stai parlando della generazione di genitori che si è fatta scippare la poensione e che un giorno dovrà farsi aiutare dai figli (mentre fino ad adesso ancora accade il contrario).

    Poi dobbiamo anche riflettere sul valore di ciò che è stato dato ai figli. Pagare la scuola calcio comporta una spesa ma non dà nulla rispetto a lasciar giocare i figli nei campetti (anzi toglie molto). Oggi due professori di liceo mandano i figli in vacanza al'estero. Io andavo in campeggio. Ma quanti sono i professori di liceo che lasceranno ai figli migliaia di volumi, molti di grande valore? I giochi sono il punto più dolente. Quanto costava costruire archi con il nocciolo o cacciaballe con il sambuco? Quanto costava una bicicletta che durava anni e con la quale si saltavano fossi e si cadeva ogni giorno? Oggi i bambini a nove anni fanni i giretti dell'isolato o della casa portando il casco. Mentre il ciclocross lo fanno gli adulti, sempre con casco, all'età di quaranta anni! E sei sicuro che i giochi elettronici, che pure costano, arricchiscano i bambini più di salire sugli alberi o su castelli e chiesette diroccati o più di bagnarsi in acque sorgive o di catturare ranocchie o di giocare a castagnate o a cerbottane, scorrazzando per il quartiere, liberi dagli sguardi degli adulti? E sei sicuro che, per il figlio di un professore, avere un motorino che costa oltre uno stipendio del padre sia un arricchimento rispetto ad avere un motorino che costava la metà dello stipendio di mio padre?

    Si tratta di argomenti molto complessi. Ma alla fine il criterio è quello: immaginiamo di mettere al mondo il medesimo numero di figli messi al mondo dai genitori; immaginiamo di voler lasciare ad essi e di volerli aiutare come siamo stati aiutati e verifichiamo se ce la facciamo. A mio avviso, da un po' di tempo parecchi rispondono di no: non sarebbero in grado. La riduzione del numero dei figli, la scomparsa dell'idea di accumulare un risparmio da lasciare ai figli (oggi molti lasciano debiti), il ricorso all'indebitamento e la convinzione che un uomo più consuma e più è ricco sono tutti fattori che fanno dimenticare l'essenziale. Non sto facendo lezioni a nessuno. Io sono avvocato e docente universitario e mia moglie è magistrato; i miei erano professori di liceo e i suoi avevano un negozietto in un paesino (il padre è stato a lungo camionista). Ebbene, non è nemmeno certo che riusciremo ad aiutare i figli come i genitori hanno aiutato noi (ma ce la metteremo tutta). Ma non vi è alcun dubbio che non lasceremo ad essi niente rispetto a ciò che avrebbero lasciato un magistrato e un docente unoversitario che svolgeva la professione di avvocato trenta anni fa.

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