Oligarchia finanziaria multinazionale,classe media globale e plebe flessibile sono le nuove classi

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5 risposte

  1. Giulio Bonali ha detto:

    Continuo a preferire (non per dogmatismo o pregiudiziale attaccamento a liguaggi e gerghi della mia ahimé lontana gioventù, ma semplicemente perché mi sembrano più utili a cercare di capire i fattie e ad agire) definizioni delle classi sociali basate sugli oggettivi rapporti (di proprietà dei mezzi di) produzione e non sui di volta in volta prevalenti orientamenti soggettivi.
    Secondo quesra buona vecchia semantica (convenzionale e arbitraria come ogni altra semantica, ma a mio avviso più efficace nel tentativo -comunque difficilissimo!- di comprendere e mutare lo stato di cose presenti), il fatto che la grande borghesia capitalistica sia oggi approdata al più ripugnante nichilismo e che anche fra le altre classi, medie e proletariato (generalmente parlando), prevalga una disperante pochezza culturale e difetto di coscienza non ne fa classi sociali diverse da quelle che erano nel '700, '800 e prima metà del '900 (ritengo che, semmai, le relative differenze da allora, rilevanti e da considerare con attenzione, sono altre).

  2. altrecorrispondenze ha detto:

    da un punto di vista strutturale Giulio ha ragione: la borghesia è tecnicamente la classe che tiene le redini del rapporto di dominio. Preve-Orso fanno questo discorso perchè la vecchia borghesia "etica"  -considerata da un punto di vista umanistico- dava luogo al contraddittorio dialettico della "coscienza infelice" , contraddittorio molto fecondo (Marx, Lenin, arte, scienza ecc)
    non so quanto della dialettica politica otto novecentesca sia utilizzabile

  3. stefano.dandrea ha detto:

    Giulio e Altrecorrispondenze,

    in ciò che dite c'è del vero e c'è del falso. E nella misura in cui c'è del falso, le precisazioni di Preve – che in questo blog ho teso fin da principio a porre in risalto, pur non conoscendo la produzione di questo filosofo, salvo pochi articoli – sono feconde.

    La vecchia borghesia, aveva un ethos che non toccava soltanto la sfera puramente morale ma anche quella materiale. Era il punto di vista morale sui rapporti di produzione. Quando una famiglia cominciava a vendere un bene per mantenere il proprio livello di vita, o quando l'impresa non produceva più (per ragioni strutturali e non congiunturali) il sovrappiù che in precedenza produceva, allora la famiglia borghese CAPIVA CHE ERA INIZIATA LA FINE. La fine dell'ascesa, ma anche la fine del tenore di vita mantenuto per anni, SEMPRE MOLTO AL DI SOTTO DI CIO' CHE ASTRATTAMENTE SAREBBE STATO POSSIBILE (c'era da mettere da parte la dote per le figlie, il denaro petr costruire la casa agognata e altro denaro per fare in seguito l'investimento che avrebbe consentito il salto: il credito bancario per la borghesia dell'ottocento, soprattutto della prima metà era un fenomeno molto relativo e molto minore rispetto al capitalista moderno).

    Tutto ciò è finito per la borghesia, ma è finito anche per il proletariato, che ha scambiato il sol dell'avvenire con il centro commerciale, la carta di credito revolving e il telefonito acquistato a rate. Può darsi che la morale borghese, fondata sul RISPARMIO (quel risparmio che i costituenti non soltanto tutelarono ma dichiararono di voler "promuovere") non fosse quanto di meglio si possa desiderare – ma quella morale consentiva alle famiglie ascese di quattro o cinque generazioni e non sono pochi i grandi scrittori o artisti prodotti da quella morale (interruppero la saga familiare ma furono agevolati dalla storia della famiglia). Tuttavia la morale del proletariato soddisfatto – il maggior consumo possibile, anche grazie all'indebitamento – non è un progresso ma chiaramente un regresso.

    Questo è un profilo di immensa rilevanza. Se il proletariato non inventa un ethos superiore a quello borghese ottocentesco, ma tende ad affermare la prassio della borghesia decadente, forse la società migliore è una società borghese, con ampia mobilità sociale. Essenzialmente la società che ancora abbiamo vissuto negli anni 50-70, nella quale non esistevano carte di credito, di debito, credito al consumo, finanziarie, leasing, e simili.

    Se vogliamo rifiutare questa conclusione, dobbiamo comunque provare a en unciare un ethos relativo ai rapporti economici.

  4. altrecorrispondenze ha detto:

    Preve mette l'accento sull'aspetto "comunitario"  della  vecchia etica borgese europea (posto fisso, nazione, classismo, fedeltà coniugale ecc ecc), secondo lui in qualche modo descritta da hegel a suo tempo. E' una lettura che ha la sua ragione d'essere.Sono abbastanza daccordo. Infatti ho usato la distinzione fra classe "strutturale" e quella "umanistica e contraddittoria". Ho pochi dubbi anche sul contemporaneo tramonto delle forme comunitarie proletarie, tema che Preve ha trattato abbastanza diffusamente.
    Proprio in base al discorso previano direi che non c'è alcuna possibilità del ritorno in Europa ad una borghesia "industriale", con la sua etica, il senso dello stato ecc (che ha causato due guerre mondiali, meglio non riprovarci)  e anche -necessariamente- con un proletariato come polo dialettico.
    La comunità va veramente ripensata -Preve dà  il suo apprezzato contributo- forse non da zero ma sicuramente a fondo, troppo facile farla corrispondere con lo Stato, dimenticando la sua inclinazione a difendere gli interessi di classe. Se questa è una strategia politica, penso difenda lo status quo
     Sono peraltro certo che Preve stesso non scorda mai il rapporto fondamentale di dominio, i rapporti feticizzati e disumani,  in questo la borghesia (se vogliamo chiamarla post-borghesia non cambia nulla) è sempre quella, l'importante è la cosa non il nome

  5. Frank Pais ha detto:

    La soggettività storica che viene legata alla formazione ed allo sviluppo della società capitalistica
    è stata chiamata Borghesia. Con questo termine, tuttavia, non viene connotata una
    soggettività unica e singolare, anche se collettiva, ma viene connotata una doppia soggettività
    dialetticamente interconnessa. Da un lato, una soggettività economica, che coincide con le
    strategie complessive della riproduzione capitalistica, che ha come finalità interna anonima
    ed impersonale (e dunque in un certo senso “destinale”) l’allargamento della forma di merce
    a tutti gli ambiti della vita individuale e sociale. Dall’altro lato, una soggettività culturale, che
    tende ad una forma di universalizzazione potenzialmente comunitaria (o neocomunitaria) di
    una nuova forma di vita associata sorta sul superamento dei rapporti sociali asiatici, feudali
    e signorili.
    13. L’intreccio fra le due varianti della soggettività borghese (economica e culturale) ha
    determinato la storia degli tre secoli prima in Europa e poi nel mondo. È bene insistere su
    questo intreccio, perché è proprio da questo intreccio contraddittorio che è sorto lo scenario
    politico ed ideologico cui siamo abituati. Quando parliamo di filosofia “borghese” (Spinoza,
    Kant, Hegel, eccetera) o di grande letteratura “borghese” (Goethe, Dickens, Flaubert, Tolstoj,
    Kafka, ecc.) alludiamo a qualcosa di ben distinto dalla semplice riproduzione capitalistica
    allargata.
    14. Che cosa caratterizza in ultima istanza l’identità culturale borghese? Si tratta di una domanda
    cruciale. L’identità culturale borghese non può identificarsi con la semplice apologetica
    capitalistica, perché la sua stessa tendenza a criticare i fondamenti religiosi delle società feudali
    e signorili la porta irresistibilmente a concepire forme di universalismo potenzialmente
    8 petite plaisance
    egualitario. Nello stesso tempo, l’identità culturale borghese percepisce la dissoluzione delle
    comunità subalterne come irreversibile, anche se ne è spesso attratta dagli elementi solidaristici
    contenuti in esse (populismo russo, terzomondismo, ecc.).
    Qui nasce quella specifica “coscienza infelice” borghese che è la principale matrice storica e
    filosofica della protesta contro il capitalismo e nello stesso tempo della denuncia contro l’ipocrisia.
    Marx e Nietzsche sono integralmente prodotti della dialettica interna della coscienza
    infelice borghese.
    15. Lo sviluppo sistemico del capitalismo comporta necessariamente la dissoluzione delle
    precedenti comunità subalterne contadine ed artigiane. Nel corso dei secoli (e talvolta dei
    millenni) queste comunità avevano sviluppato forme ricche ed elaborate di cultura identitaria,
    ma avevano sempre rinunciato alla “universalizzazione” di queste forme culturali, ed in ciò
    stava appunto la loro forza (di resistenza) e la loro debolezza (di egemonia complessiva). Con
    la progressiva penetrazione del capitalismo queste comunità subalterne sono messe in grave
    difficoltà, perché mentre le precedenti forme di potere classista si accontentavano della loro
    subalternità ma non miravano alla loro dissoluzione i nuovi rapporti sociali di produzione
    “totalitari” tendono proprio alla loro dissoluzione.
    16. Se la dialettica della classe borghese è costituita dalla storia della sua duplicità (classe
    economica e classe culturale) la dialettica della trasformazione delle comunità subalterne è
    anch’essa caratterizzata da una duplicità. Sul piano politico le comunità subalterne si ridefiniscono
    come Popolo, e sul piano economico si definiscono come Proletariato. Le loro culture
    solidaristiche si organizzano politicamente sul terreno della democrazia e del suffragio universale,
    e si organizzano economicamente sul terreno della resistenza sindacale (trade unions,
    sindacati socialdemocratici). Il terreno mutualistico e cooperativistico, lungi dall’essere un
    terreno arretrato (come sosterrà poi il marxismo economicistico), è in realtà il terreno più
    avanzato possibile per chi intende mantenere la sua identità solidaristica precedente.
    17. Il dramma delle classi subalterne e delle comunità in dissoluzione sta nel non riuscire
    a produrre un profilo complessivo (economico e culturale) realmente alternativo a quello
    borghese e capitalistico. I comportamenti antagonistici della classe operaia sono sistematicamente
    legati alle prime fasi storiche della sua incorporazione nel sistema di fabbrica, poi
    giunge quasi fatalmente la progressiva integrazione. Il processo reale è invertito rispetto alla
    rappresentazione ideologica falsata che ne dà la vulgata dell’economicismo marxista. Le classi
    operaie hanno comportamenti “rivoluzionari” nelle primissime fasi dell’incorporazione delle
    comunità subalterne nel sistema di fabbrica, e poi passano sistematicamente a comportamenti
    “riformisti”, cioè di piena integrazione.
    18. Si ha dunque una generalizzata “economicizzazione del conflitto”. Il conflitto sindacale
    e politico resta, ed anzi addirittura sembra crescere, ma cresce ormai sulla base della accettazione
    strategica del quadro di comportamenti e di consumi della società capitalistica. Ma
    l’economicizzazione del conflitto ha una dinamica integrativa convergente con la dinamica
    interna al capitalismo, fondata sulla generalizzazione della forma di merce anche ad ambiti
    della vita individuale ed associata cui prima era estranea.Costanzo Preve "Marx e Nietzsche"Editrice Petite  Plaisance

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