Il grande affare della guerra: così il conflitto ucraino ha fatto esplodere gli acquisti di armi
di TODAY (Alfonso Bianchi)
Solo i Paesi europei si sono impegnati per 200 miliardi di euro di spesa aggiuntiva. E tra commesse per nuovi carri armati e aerei da combattimento, l’industria della Difesa farà affari d’oro
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin ha scatenato una corsa al riarmo nell’Unione europea. O meglio ha accelerato un trend che ormai andava avanti a livello mondiale, portando così la spesa per la Difesa a livelli mai visti prima. Secondo i calcoli dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri) nel 2021 la spesa militare globale era già aumentata per il settimo anno consecutivo, superando per la prima volta nella storia i 2mila miliardi di dollari. Stiamo parlando del 2,2% del prodotto interno lordo dell’intero pianeta, pari a 268 dollari a persona. La spesa militare mondiale è aumentata dello 0,7% rispetto al 2020 e del 12% rispetto al 2012.
In UE aumenti per almeno 200 miliardi
Fare una stima precisa di quanto è aumentata la spesa militare dei Paesi europei dallo scoppio della guerra è difficile, le cifre esatte andranno in bilancio sul prossimo anno, e quindi al momento si possono fare dei calcoli solo basandosi sugli annunci. E almeno nell’Ue sono stati da capogiro. Germania, Danimarca, Romania, Italia, Svezia, Austria, Polonia e Paesi Bassi sono tra coloro che hanno annunciato aumenti della spesa per la Difesa. In totale, questi aumenti annunciati, secondo i calcoli della Commissione, ammonterebbero ad ulteriori 200 miliardi di euro di spesa aggiuntiva, in alcuni casi portando alcune nazioni ad andare anche oltre il 2% del Pil richiesto dagli impegni Nato. Se pensiamo che nel 2020, gli Stati membri hanno speso collettivamente più di 200 miliardi di euro per la Difesa e che nel 2021 la loro spesa combinata è salita a 220 miliardi di euro, capiamo che queste cifre potrebbero anche raddoppiare quest’anno.
La Germania fa la parte del leone in Europa
A fare la parte del leone è stata la Germania con il cancelliere Olaf Scholz che il 27 febbraio scorso, dopo soli tre giorni dall’inizio dell’invasione, ha annunciato che il governo aveva deciso di stanziare 100 miliardi di euro per gli investimenti militari dal bilancio del 2022, oltre il doppio dei 47 miliardi di euro dell’intero bilancio della Difesa tedesca del 2021, portando Berlino a sforare il 2 percento richiesto dall’Alleanza atlantica, una cifra contro la quale il Paese aveva fatto resistenza per anni. Al Vertice di Versailles del marzo scorso, i leader dell’Ue hanno deciso non solo di “investire di più”, ma anche di “investire meglio”, incrementando gli acquisti e gli investimenti collaborativi nel settore militare. Per questo hanno incaricato la Commissione e l’European Defence Agency di completare un’analisi delle lacune negli investimenti, analisi presentata il 18 maggio scorso e secondo cui in termini di capacità, le lacune più urgenti riguardano il rifornimento delle scorte, la sostituzione dei sistemi dell’era sovietica e il rafforzamento di quelli di difesa aerea e missilistica.
Addio carri sovietici, benvenuti quelli americani
E della necessità di sostituire i sistemi di era sovietica si è potuta avvantaggiare l’Ucraina di Volodymyr Zelensky, sempre alla ricerca di armamenti per resistere all’avanzata russa, e a cui sono stati donati o venduti molti dei vecchi carri armati di diversi Paesi membri, soprattutto quelli ex comunisti. Ad aprile la Polonia ha inviato circa 200 vecchi T-72 a Kiev, e nello stesso mese ha firmato un accordo dal valore di 4,5 miliardi di dollari per l’acquisto di 250 carri armati Abrams dalla statunitense General Dynamics Land Systems. A luglio ne ha poi acquistati direttamente da Washington altri 116 usati per “rafforzare in modo significativo” il suo sistema di Difesa e mantenere la promessa di portare il budget militare a oltre il 3% del Pil.
L’Italia non resta a guardare
Anche la spesa italiana si prevede in crescita, ma quanto dipenderà anche dalle scelte del nuovo governo ovviamente. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio sulle spese militari italiane Mil€x, dallo scioglimento delle Camere sono comunque stati già presentati oltre venti programmi di riarmo per un investimento totale pluriennale per le prime fasi confermate che supera i 12,5 miliardi di euro. L’onere complessivo delle successive fasi dei programmi, già prefigurate ma non ancora sottoposte a voto, potrebbe superare i 22 miliardi di euro. In precedenza l’Osservatorio Mil€x aveva già stimato che quest’anno sarebbe stato superato il muro dei 25 miliardi con un aumento del 3,4% rispetto al 2021 e un balzo di quasi il 20% in 3 anni, e questo basandosi sui dati del bilancio approvato lo scorso anno. Le cifre alla fine di quest’anno potrebbero rivelarsi molto più alte. Ad agosto la statunitense Lockheed Martin si è aggiudicata un contratto da 524 milioni di dollari per la consegna di ulteriori 18 caccia F-35 Lightning II di quinta generazione all’Italia.
La Cina batte tutti
Per quanto ingente la spesa europea per la Difesa sembra essere quasi solo un goccia nel mare se confrontata con gli altri giganti mondiali. Nell’ultimo decennio, gli Stati Uniti e la Russia hanno aumentato i loro bilanci per la difesa a un ritmo molto più elevato rispetto all’Europa, e la Cina in misura ancora maggiore rispetto a entrambi loro. Se dal 1999 al 2021, la spesa combinata per la difesa dell’Ue è aumentata del 19,7%, quella degli Usa è cresciuta del 65,7%, quella di Mosca del 292% e quella di Pechino addirittura del 592% della Cina. La Russia ha aumentato le spese militari del 2,9% nel 2021, raggiungendo i 65,9 miliardi di dollari, in un momento in cui stava rafforzando le proprie forze lungo il confine ucraino. Si è trattato del terzo anno consecutivo di crescita e la spesa militare russa ha raggiunto il 4,1% del Pil lo scorso anno. L’Ucraina, che era intenta a rafforzare le sue difese, aveva aumentato la spesa militare del 72% dall’annessione della Crimea nel 2014 fino al momento dell’invasione.
La guerra, un settore mai in crisi
E comunque, Ucraina o meno, per l’industria delle armi la guerra è un settore sempre conveniente, in cui non pare esserci mai un momento di crisi. Nel 2021 si sono verificati conflitti armati attivi in almeno 46 Stati del pianeta: 8 nelle Americhe, 9 in Asia e Oceania, 3 in Europa, 8 in Medio Oriente e Nord Africa e 18 nell’Africa sub-sahariana. Come negli anni precedenti, la maggior parte ha avuto luogo all’interno di un singolo Paese, tra le forze governative e uno o più gruppi armati non statali. Tre sono stati i conflitti armati maggiori, con più di 10mila morti (Afghanistan, Yemen e Myanmar) e altri 19 sono stati conflitti cosiddetti ad alta intensità (con più di mille ma meno di 10mila morti): Nigeria, Etiopia, Messico, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Brasile, Somalia, Iraq, Burkina Faso, Sud Sudan, Mali, Sudan, Repubblica Centrafricana, Niger, Camerun, Pakistan, Colombia, Mozambico e Filippine.
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