Affari d’oro con le privatizzazioni
di GERARDA MONACO
Per nessuna ragione si dovrebbero affidare ai privati servizi essenziali. Nel caso di Autostrade, men che meno. Questa, infatti, controllata dall’Iri, riuscì non solo a rimborsare i debiti contratti per finanziare gli investimenti, ma anche a generare una corposa redditività. Di conseguenza, sorge spontaneo il quesito riguardante le motivazioni che condussero a disfarsi di questo riuscitissimo esempio di interventismo statale.
Probabilmente, come sostiene il professor Giorgio Ragazzi, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Bergamo, la risposta è tanto semplice, quanto spiazzante: “Incrementarne l’efficienza non fu mai considerato o indicato come obiettivo della privatizzazione. Né la diffusione dell’azionariato, altro obiettivo perseguito in quegli anni dalla Thatcher, sembra aver avuto alcun peso nelle decisioni del Governo italiano. L’obiettivo pressoché unico di questa privatizzazione fu dunque quello di far cassa. A questo obiettivo fu subordinata la regolamentazione di tutto il sistema delle concessioni autostradali e ne trassero grandi benefici anche tutti gli altri concessionari. Altri aspetti, come quello di incentivare l’efficienza dei concessionari e limitarne gli extraprofitti furono considerati secondari”.
Evidentemente, quindi, si procedette allo smembramento dell’Iri, consegnata pezzo dopo pezzo ai privati, non, come hanno voluto farci credere, perché le sue imprese risultavano un fardello insostenibile per il bilancio statale, ma per via di alcune sue perle che avrebbero fruttato somme sostanziose, le quali sarebbero tornate molto utili per rientrare nei famigerati parametri del 3% deficit/Pil e del 60% debito/Pil decisi dall’Unione europea per attentare allo stato sociale.
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